Adesioni fino al 90%, nonostante il crumiraggio organizzato dai manager
Successo del primo sciopero nazionale dei lavoratori Ikea
Contro la revoca del contratto integrativo che porta ai lavoratori, per il 70% precari, il taglio dei bonus e delle maggiorazioni per il lavoro festivo

“Ikea è stata presa a modello nelle aule universitarie come caso di impresa partecipativa, che coniuga il benessere dei lavoratori con il buon business”, spiega Gioia, che lavora per l’Ikea dal 2000. Ma il capitalismo dal “volto umano” non esiste. E quando la crisi economica e finanziaria morde e riduce i profitti il “buon” padrone passa direttamente a tagliare posti di lavoro e salario. Così anche il colosso svedese che conta 21 meganegozi in Italia, per approfittare dei vantaggi concessi ai padroni dal neoduce Renzi col famigerato Jobs act, non si è sottratto alla legge del massimo profitto imponendo ai lavoratori, a maggioranza precari e part-time, la revoca del contratto integrativo, che prevedeva alcuni benefici rispetto al contratto nazionale del commercio, dopo aver fatto fallire le trattative tra sindacati e azienda il 3 luglio.
Praticamente la dirigenza ha chiesto ai rappresentanti dei lavoratori di trasformare il premio aziendale fisso in elemento “variabile” (cioè tagliare quel bonus di 59,5 euro al mese, circa 700 euro all’anno, che rappresentano una risorsa per i lavoratori per la maggior parte con contratti part time), di ridurre drasticamente le maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo (la maggior parte del fatturato viene realizzato durante i fine settimana, per questo l’Ikea chiede ai lavoratori più flessibilità a meno costo), e di definire un nuovo sistema di gestione turni. Una proposta inaccettabile e da respingere che mira a tagliare i già miseri salari dei lavoratori, part time per primi, a raddoppiare il supersfruttamento e ad annientare le conquiste dei contratti integrativi aziendali.
E per la prima volta, da quando l’Ikea ha aperto il primo negozio in Italia nel 1989, i sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, hanno indetto l’11 luglio uno sciopero nazionale al quale hanno aderito dall'80 al 90% delle lavoratrici e dei lavoratori. Il 6 luglio era stato indetto solo nei megastore di alcune città.
Da una parte all’altra della penisola centinaia di lavoratori e lavoratrici hanno organizzato cortei interni ed esterni ai punti vendita, volantinaggi per informare i clienti, che in molti casi hanno solidarizzato con loro, piccoli comizi, flash mob e altre forme di protesta. C’è stato un simbolico funerale del contratto integrativo, e anche una cocomerata. Sulle magliette gialle gli slogan e messaggi di protesta: "I diritti non si smontano", "Lavoratori... low cost", "Per Ikea sono un numero ma io valgo di più". Ikea è riuscita a tenere comunque aperti i 21 megastore sfruttando il lavoro degli stagisti e dei lavoratori a tempo determinato (quelli più sottoposti a ricatto, ovviamente), mettendo alle casse gli stessi dirigenti.
La disdetta del contratto integrativo, unita alla richiesta di diminuire o eliminare alcune voci retributive, peseranno particolarmente su quel 70% dei seimila addetti con contratti part-time. Stefano Morgantini, della Filcams, che lavora all’Ikea di Collegno afferma: “La disdetta del contratto affonda in particolare chi ha un part-time a 20, 24 o 28 ore. Sono più della metà dei miei colleghi. Persone che senza premi e domeniche guadagnerebbero circa 550 euro al mese, e solo grazie alle integrazioni arrivano a 750”. E puntualizza: “Solo chi ha il vecchio contratto per lavorare la domenica riceve il 130% in più della paga giornaliera. Ma sono solo il 10% dei dipendenti. Per tutti gli altri il lavoro festivo vale il 30% in più, non oltre”. La tendenza della multinazionale è invece quella di equiparare i festivi e le domeniche ai giorni feriali.
Non basta. Ikea vorrebbe inoltre cambiare i criteri per l'assegnazione del premio di partecipazione. “Sono misure che renderebbero il lavoro più precario - chiarisce Morgantini - con un premio fisso tutti, part-time e full-time, sanno di poter contare su una settantina di euro in più al mese”. Senza contare che questa decisione unilaterale dell’azienda spazza via gli accordi interni ai singoli punti vendita, faticosamente ottenuti negli anni: “Piccoli ma importanti traguardi come la pausa di quindici e non di dieci minuti, e le otto festività ’sacre’ pagate al 130%”.
Il nuovo incontro è già stato fissato per il 22 luglio prossimo ma se la multinazionale insiste sulla linea dura i lavoratori e le categorie confederali del commercio sono pronti a nuove e più incisive forme di lotta.
Ai lavoratori Ikea sono giunti messaggi di solidarietà anche dai dirigenti dei tre sindacati confederali; singolare fra questi quello di Susanna Camusso che si è limitata a ri-postare l’hashtag inventato dai lavoratori #IdirittiNonSiSmontano#. Possibile che non avesse null’altro da dire?

15 luglio 2015