Si ripete nella Cina socialimperialista una bolla speculativa come negli Usa nel 2008
Il capitalismo provoca gli stessi effetti ovunque

Mentre l'Europa era alle prese con la crisi greca che per la prima volta metteva in dubbio la sopravvivenza stessa dell'euro, dall'Oriente arrivavano i primi boati di una tempesta finanziaria di gigantesche proporzioni, tale da potersi ripercuotere sull'intero sistema economico e finanziario mondiale, tanto da essere paragonata, almeno potenzialmente, a quella del 2008 del crac della Lehman Brothers, se non a quella del 1929 che iniziò la grande depressione: l'8 luglio scorso, infatti, in quello che è già stato denominato il “mercoledì nero”, dopo un anno ininterrotto di rialzi che avevano fatto crescere i listini del 150%, è arrivato il tanto temuto sgonfiamento della bolla finanziaria cinese, con le Borse cinesi che dopo la sospensione del 40% del listino per eccesso di ribasso hanno chiuso con un secco -5,9%, toccando il punto più basso di una curva discendente che durava da tre settimane. E che aveva portato le due principali Borse di Shanghai e Shenzhen a perdere rispettivamente il 28,6% e il 33,2%, bruciando circa 2.800 miliardi di dollari di capitalizzazione.
Il governo cinese ha tentato di frenare, con massicce iniezioni di liquidità sul mercato, l'ondata di panico che aveva scatenato la corsa di milioni di piccoli investitori a disfarsi dei titoli per cercare di riprendere almeno in parte i propri soldi. Il sisma generato dalle Borse cinesi si è trasmesso immediatamente alle vicine Borse di Hong Kong (-5,6%), Taiwan (-3%) e Tokyo (-3,1%), ma si è sentito distintamente fino a Seul e a Sidney, provocando un brivido di paura anche in tutto il sistema borsistico mondiale. Ben oltre le apprensioni per la possibile uscita della Grecia dall'euro, visto che l'economia cinese è ormai la prima al mondo secondo molti analisti, che quello cinese è il secondo mercato borsistico mondiale dopo quello statunitense, e che la ricchezza bruciata nelle ultime settimane in Cina equivale a ben 11 volte il Pil (prodotto interno lordo) della Grecia e circa 6 volte il suo debito pubblico.

Le cause della bolla finanziaria
La bolla finanziaria cinese era stata gonfiata per mesi da un progressivo e massiccio ingresso in Borsa di 90 milioni di piccoli risparmiatori, spinti a investire i loro risparmi dal precedente sgonfiamento della bolla immobiliare, dai bassi tassi di interesse sui depositi bancari, e dal miraggio di guadagni facili fatto balenare e incoraggiato dalle stesse autorità governative ansiose di indirizzare la naturale tendenza al risparmio delle masse popolari (calcolato intorno al 50% del Pil) a sostegno dei consumi interni e della crescita economica capitalista, da tempo giunta a una fase di rallentamento per effetto del calo delle esportazioni dovuto alla crisi mondiale, con una crescita del Pil attualmente intorno al 7% dopo anni di crescita a due cifre.
Il continuo aumento del valore dei titoli, avviato da questo flusso di nuovi investimenti, aveva seminato a sua volta una sorta di febbre di massa a speculare in Borsa, innescando un giro vizioso di continui aumenti e acquisti che in circa un anno avevano fatto salire la capitalizzazione delle Borse cinesi del 150%. Tra i piccoli investitori contagiati dalla febbre della speculazione si era diffuso perfino il fenomeno di comprare titoli a debito, ben oltre le proprie possibilità economiche, secondo la perversa pratica occidentale del margin financing: mettendo cioè in pegno i titoli stessi, il che consente di investire anche 10 volte il valore dei propri soldi, ma in caso di perdita obbliga a ripagare i titoli al loro intero valore di acquisto.
Ma, come accade sempre in questi casi, quando a giugno la bolla finanziaria è arrivata all'apice e sono apparsi i primi segni di nervosismo, i grandi investitori nazionali (quasi tutti legati ai nuovi magnati capitalisti e alla corrotta borghesia che controlla il partito e lo Stato) sono stati sveltissimi a vendere in tempo i titoli in loro possesso, scatenando il panico e lasciando i borsini di provincia, dove si concentra la maggioranza dei 90 milioni di piccoli investitori, col cerino in mano e con i portafogli titoli ridotti a un terzo del loro valore. E ovviamente il governo cinese, che prima ha finto di non vedere che la bolla si andava gonfiando soprattutto a causa di leve speculative e in maniera ormai del tutto staccata dall'economia reale, che invece stava decisamente rallentando, è intervenuto con le sue contromisure quando ormai era troppo tardi per evitare che gli speculatori se ne scappassero con le plusvalenze lasciando la miriade di piccoli investitori con un pugno di mosche in mano.

Una crisi solo rinviata?
Le contromisure di emergenza prese dalla Csrc (China Securities Regulatory Commission, la Consob cinese che controlla la Borsa), che ha bloccato le vendite delle quote azionarie oltre il 5% in possesso di aziende per i prossimi sei mesi, dalla Banca centrale cinese che ha rifinanziato il fondo che l'agenzia di Stato mette a disposizione degli intermediari finanziari, permettendo così alle aziende di finanziarsi emettendo obbligazioni, e le decisioni del governo di vietare le vendite allo scoperto e altre leve finanziarie, di autorizzare i fondi pensione a investire in azioni, e di obbligare le 21 maggiori società di brokeraggio a creare un fondo di garanzia di 19 miliardi di euro, sono servite solo ad arginare momentaneamente la frana, permettendo alle Borse di Shanghai, Shenzhen e Hong Kong di recuperare qualche punto percentuale e tirare un po' il fiato.
Ma intanto sul terreno restano le macerie lasciate da una bolla speculativa che è stata fatta crescere incontrollatamente dalla cricca socialimperialista al governo in Cina, che come l'apprendista stregone della favola scatena i “liberi spiriti animali” del capitalismo per forzare il Paese nella corsa alla supremazia mondiale, salvo poi tentare disordinatamente di riprenderne il controllo attraverso l'apparato statale quando questi gli sfuggono di mano e minacciano di travolgere tutto, come è già successo nel 2008 al capitalismo occidentale.
Secondo un rapporto della Merrill Lynch, i 90 milioni di piccoli investitori del continente che “hanno alimentato gran parte della crescita del mercato di quest'anno” difficilmente potranno beneficiare di un eventuale recupero delle Borse, se mai ci sarà: “Il risultato netto di questo mercato volatile è un trasferimento di ricchezza dalle persone comuni ai detentori di ricchezza, tra cui molti grandi azionisti”, sottolinea la banca americana. Il che, aggiungiamo noi, è una legge elementare del capitalismo, già pienamente riconfermata dalla crisi finanziaria internazionale iniziata con lo sgonfiamento della bolla del 2007-2008, che dura tutt'ora e che ha portato ad un imponente drenaggio di reddito e di ricchezza dalla maggioranza più povera alla minoranza più ricca della popolazione in tutti i Paesi capitalisti. A dimostrazione che il capitalismo segue solo la sua logica economica inesorabile e provoca gli stessi effetti ovunque; e ciò del tutto indipendentemente dalle cricche capitaliste statali al potere e dalle diverse mascherature politiche che queste possono assumere per meglio ingannare e sfruttare i popoli.

22 luglio 2015