I referendum non possono sostituire la lotta di classe

Dopo l'approvazione del disegno di legge sulla “Buona scuola” sta crescendo il dibattito nei movimenti di lotta e in seno ai sindacati sull'opportunità di raccogliere le firme per indire dei referendum abrogativi su questa e su altre “riforme” renziane imposte con la forza in parlamento, come il famigerato Jobs Act e la legge elettorale fascista Italicum.
Una raccolta di firme per un referendum abrogativo sulla legge Renzi-Giannini è stata annunciata per esempio, nello stesso giorno della sua approvazione definitiva, da 34 comitati bolognesi che si sono riuniti per portare avanti una legge di iniziativa popolare “per una buona scuola per la Repubblica”. E il 12 luglio l'assemblea nazionale dei movimenti per il No alla “Buona scuola”, convocata a Roma con la presenza di tutti i sindacati ma anche di parlamentari, esponenti di forze politiche e culturali, per approvare un pacchetto di iniziative di mobilitazione contro la legge per i prossimi mesi, ha discusso anche della possibilità di indire un referendum abrogativo, sul quale ha rinviato però ogni decisione ad un incontro nazionale per domenica 6 settembre a Bologna.
La questione è apparsa infatti controversa ed è stata sostanzialmente respinta per l'immediato, in quanto per avere la speranza di indire un referendum nel 2016 occorrerebbe raccogliere 500 mila firme entro il prossimo 30 settembre, e a molti è parso pressoché impossibile riuscirci, “a scuole chiuse, con quesiti incompleti, con una tempistica ingestibile e con risultati incerti, se non ancora peggio dannosi, per il proseguimento della lotta comune”, come sottolinea il documento finale dell'assemblea.
Comunque il dibattito è in corso, non solo nel mondo della scuola ma anche fuori di esso, come dimostra il documento adottato dall'assemblea nazionale della Fiom che si è tenuta il 10 e 11 luglio a Bologna, in cui si sostiene la necessità di decidere, in sede di direttivo Cgil, “come avviare un coerente percorso referendario abrogativo della recente legislazione in materia di lavoro”. Con specifico riferimento al Jobs Act e al decreto Sacconi del 2011, che consente ai contratti aziendali e territoriali di derogare alle disposizioni di legge in materia di mansioni, orari di lavoro, assunzioni e licenziamenti e alle “relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. E in questa strategia referendaria il documento include anche il tema della “difesa della scuola pubblica”.
“Credo sia il momento di prendere in considerazione la possibilità del ricorso referendario, sia per la scuola che per il Jobs Act”, ha dichiarato infatti Maurizio Landini in una pausa dell’assemblea nazionale dei metalmeccanici Cgil, convocata per discutere del rinnovo del contratto della categoria. Lo scorso febbraio Susanna Camusso aveva avanzato l'idea di un'iniziativa di legge popolare per un nuovo Statuto dei lavoratori, e in questo ambito non aveva escluso la possibilità di un referendum abrogativo del Jobs Act. Il segretario della Fiom e leader di Coalizione sociale si riferisce a questo chiedendo, come ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it, “che la Cgil faccia ciò che aveva deciso a febbraio e che non ha ancora fatto. Visto che siamo a luglio, sollecitiamo che si faccia quello che si era detto. É venuto il momento di azioni referendarie”.
C'è poi il deputato Pippo Civati, da poco uscito dal PD, che col suo movimento “Possibile”, nell'evidente tentativo di costruirsi una base elettorale, ha presentato in Cassazione ben 7 referendum abrogativi, di cui due sull'Italicum, tre sull'ambiente e due sul Jobs Act. Più uno sulla “Buona scuola”, centrato sull'abrogazione del potere di chiamata diretta concesso al preside-manager, che per ora è in sospeso in attesa di valutazioni da parte del mondo della scuola. Anche se, come ha ammesso mestamente l'ex renziano pentito, che dice di essere stato “lasciato solo” dagli altri partiti e movimenti, sono forti le preoccupazioni sulla possibilità di raccogliere le 500 mila firme necessarie entro l'estate per poter avere i referendum nel 2016: “Io sono andato a parlare con Landini, ne ho discusso con Sel e con i sindacati. Ma finora non ho ricevuto risposte chiare”, ha confessato infatti a Il Fatto quotidiano del 17 luglio.

I referendum non fermano Renzi
A nostro avviso tutte queste iniziative pro referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all'offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi: sia per la frammentazione del potenziale fronte referendario, sia per i tempi troppo stretti, e sia per la difficoltà di formulare i quesiti in rapporto a leggi così complesse, che possono essere quindi abrogate solo in alcune parti e non in blocco. E d'altra parte, se per organizzarli bene e raccogliere le firme occorrono alcuni mesi, i referendum non potrebbero essere celebrati, se tutto va bene, prima del 2017, quando le “riforme” di Renzi saranno già in vigore da un pezzo e avranno già fatto danni irreparabili, sia alla scuola pubblica che ai diritti dei lavoratori; per non parlare, a quel punto, della fascistizzazione delle istituzioni attuata con la controriforma piduista del Senato abbinata all'Italicum.
Ma anche a prescindere da ciò l'obiezione più importante per noi è che queste iniziative tendono - di fatto o volutamente, a seconda di chi le propone - non eventualmente ad affiancare, bensì a sostituire la lotta di classe, rimpiazzandola con l'illusione di ottenere per via legalitaria e costituzionale quello che non si crede (o non si vuol credere) possibile strappare con le lotte: sia a livello sindacale, nelle fabbriche, nelle scuole e in tutti i luoghi di lavoro, sia a livello politico, con la lotta di piazza e lo sciopero generale.
Nella presente situazione politica, sindacale e sociale, spostare la lotta contro il governo del nuovo duce Renzi e la sua politica di destra antioperaia e antisindacale, liberista, piduista e interventista, sui referendum e altre iniziative legalitarie come i ricorsi alla Corte costituzionale, ai tribunali, ecc., significa di fatto lasciargli campo libero per poter proseguire indisturbato, almeno per i prossimi mesi, nella sua infame opera di cancellazione sistematica dei diritti e delle conquiste dei lavoratori, di distruzione e privatizzazione della scuola pubblica, di demolizione dello Stato sociale (per poter ridurre le tasse ai ricchi e alle imprese capitaliste come voleva fare Berlusconi), di abolire il Senato e completare la controriforma fascista e piduista della Costituzione del '48, di liberalizzare la speculazione edilizia, la cementificazione del territorio e la trivellazione selvaggia del mare, di aumentare le spese militari e imbarcare il nostro Paese in nuove avventure interventiste e neocolonialiste, a cominciare da quella contro la Libia e lo Stato islamico.

Spazzare via il nuovo duce e il suo governo
I referendum non possono sostituire la lotta di classe, che è il motore dei cambiamenti sociali e politici. La possono affiancare oggettivamente e anche utilmente, com'è successo in passato per i referendum sul divorzio, l'aborto, l'acqua pubblica, ecc., ma non è questo il caso. I referendum di cui si parla adesso, o sono proposti da sindacati, comitati e movimenti di lotta della scuola che non hanno fiducia nell'unificazione delle lotte con la classe operaia e gli altri lavoratori, tendendo ad isolarsi in lotte corporative e settarie, o sono proposti da opportunisti politici come Civati e Landini, che li agitano solo in chiave elettoralistica, come specchietto per le allodole e surrogato della lotta di classe per far cadere il governo Renzi, lotta che non hanno il coraggio di invocare e tanto meno intraprendere. O, peggio ancora, dal Movimento 5 Stelle, che appare orientato a presentare mozioni con richiesta di referendum sulla “Buona scuola” negli 11 Consigli regionali in cui è presente (ne bastano 5 favorevoli per ottenerlo), contando sull'appoggio della Lega neofascista e razzista, con la quale flirta sul reddito di cittadinanza, a cominciare da regioni come il Veneto di Zaia, la Lombardia di Maroni e la Liguria di Toti.
Occorre invece, fin dalla riapertura delle fabbriche e delle scuole, mettere in campo tutta la forza unitaria della classe operaia e dei lavoratori, compreso i precari, degli insegnanti, del personale Ata e del movimento studentesco, in modo che il prossimo autunno sia un autunno caldissimo di mobilitazione e di lotte: non soltanto per opporsi in massa all'applicazione di provvedimenti antisindacali e fascisti come il Jobs Act e la “Buona scuola”, per il rinnovo dei contratti nell'industria e nel pubblico impiego, per respingere l'annunciato attacco alla sanità e ai servizi sociali, e così via. Ma anche e soprattutto con l'obiettivo politico di spazzare via Renzi e il suo governo, attraverso le lotte di piazza e lo sciopero generale, prima che il nuovo duce riesca a completare il suo disegno fascista e piduista blindando il suo potere per altri vent'anni come Berlusconi e Mussolini.
Poi ciascuno andrà per la propria strada, a seconda se è favorevole o contrario a questa società borghese. Noi marxisti-leninisti continueremo a lottare contro il capitalismo, convinti che è ora che il potere passi al proletariato che crea tutta la ricchezza del Paese, e che è ora che si sprigioni la lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.

22 luglio 2015