Mogherini: Unità contro l'Is
L'Iran sul nucleare capitola all'imperialismo mondiale. A Netanyahu non basta
Lo Stato sciita di Rohani punta all'egemonia nel medioriente contro lo Stato islamico

 
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità il 20 luglio la risoluzione numero 2231 che recepisce l'accordo sullo sviluppo del nucleare iraniano raggiunto lo scorso 14 luglio a Vienna tra i negoziatori del gruppo "5+1" (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia, più la Germania) e la delegazione di Teheran e ne elenca le modalità di applicazione. La risoluzione stabilisce che il trattato negoziato a Vienna entrerà in vigore "non prima di 90 giorni" dal voto del Consiglio, stabilisce l'annullamento di sette risoluzioni dell'Onu sugli embarghi contro l'Iran non appena l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) avrà verificato il rispetto da parte iraniana di una serie di misure fra le quali la riduzione entro le prossime settimane delle riserve di uranio arricchito da 12 mila chili a 300 chili e un taglio dei due terzi delle centrifughe per l'arricchimento che dovranno passare da 19 mila a poco più di 6 mila.
Resteranno invece in vigore l'embargo sulle armi convenzionali per altri cinque anni e quello che impedisce a Teheran di procurarsi componenti e tecnologia per missili balistici per altri otto anni. Il governo iraniano potrà comunque acquistare armi convenzionali e componenti per missili balistici con l'approvazione, caso per caso, dello stesso Consiglio di Sicurezza. La risoluzione prevede che sia formata una commissione composta dai delegati del gruppo "5+1" e Teheran per discutere eventuali violazioni dell'intesa da parte del governo iraniano che in caso di mancato accordo porterà il caso al Consiglio di sicurezza per la decisione finale cui i Paesi membri permanenti non potranno porre il veto.
La risoluzione Onu è stata definita dal presidente americano Barack Obama un “messaggio chiaro, il segnale che la comunità internazionale, al di là dei Paesi firmatari, riconosce come l'intesa sia l'approccio più forte per evitare che Teheran si doti della bomba atomica”, apprestandosi a farla valere nella discussione e approvazione entro 60 giorni al Congresso Usa.
Sulla battaglia parlamentare nella Camera e nel Senato americani a maggioranza repubblicana dove l'approvazione sembrerebbe non affatto scontata, conta anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha affermato: “Dicono che una decisione delle Nazioni Unite sia la fine della storia, non è vero, perché fino a quando le sanzioni del Congresso americano saranno in vigore, l'Iran sarà costretto alla fine a fare concessioni, e non solo a riceverle”. L'intesa è “una tragedia”, ha ripetuto al Palazzo di vetro l'ambasciatore israeliano, “è un grave errore strategico”, ribadendo gli opposti commenti che erano rimbalzati da Washington a Tel Aviv dopo la firma dell'intesa di Vienna. Una intesa non solo tecnica, sul tema del controllo da parte dei paesi imperialisti dello sviluppo della tecnologia nucleare iraniana, ma con un peso politico tale dal ridefinire, quantomeno nel breve e medio periodo, gli equilibri fra i paesi imperialisti che giocano sullo scacchiere mediorientale; dall'imperialismo americano alle potenze imperialiste che cercano l'egemonia locale come Israele, la Turchia e le potenti petromonarchie del Golfo Persico alle quali si aggiunge adesso con riconosciuta pari dignità imperialista l'Iran di Hassan Rohani.
Nel salutare il raggiungimento dell'intesa a Vienna il presidente iraniano Hassan Rohani affermava tra l'altro che “nessuno può dire che l'Iran si è arreso. L'accordo è una vittoria legale, tecnica e politica per l'Iran. L'Iran non sarà più chiamato una minaccia mondiale”, certo ma ha pagato un prezzo altissimo all'imperialismo. Cedendo sul taglio delle scorte dell'uranio arricchito e delle centrifughe ma anche sulle ispezioni condotte dai tecnici dell'Aiea che avranno accesso 24 ore su 24, sette giorni su sette ai siti nucleari iraniani, anche quelli militari, salvo un breve preavviso.
Rohani affermava che il popolo iraniano ha “duramente sofferto per le ingiuste sanzioni” internazionali ma pensava soprattutto alle conseguenze penalizzanti per la borghesia iraniana e al fatto che con la prossima caduta delle sanzioni l'Iran potrà riavere a disposizione le centinaia di miliardi di dollari congelati all'estero e potrà riprendere la piena cooperazione economica con tutti i paesi. Ma soprattutto potrà sedere al tavolo quantomeno delle potenze imperialiste egemoniche locali, con le sue posizioni e puntare all'egemonia sulla base della sua forza economica.
In una dichiarazione del 18 luglio, la guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, affermava che “l'intesa non cambierà la politica iraniana nei confronti dell'arrogante governo americano. La Repubblica islamica non rinuncerà a sostenere i suoi amici nella regione, i popoli oppressi di Palestina, Yemen, Siria, Iraq, Bahrein”. Un discorso concluso da “Morte all'America" e "Morte a Israele".
Una risposta indiretta a Obama che in una precedente intervista aveva affermato che “non possiamo abbassare la guardia. Dobbiamo continuare a lavorare con i nostri alleati, i paesi del Golfo e Israele, per fermare il lavoro che l'Iran sta facendo al di fuori del programma nucleare. Ma il punto qui è che se avessero armi nucleari sarebbe tutto differente. Su questo punto stiamo raggiungendo il nostro obiettivo".
Ognuno gioca le sue carte. E sono meno pesanti quelle che restano in mano agli imperialisti sionisti di Tel Aviv che col premier Benjamin Netanyahu definiscono l'accordo sul programma nucleare iraniano "un errore di proporzioni storiche" mentre il ministro degli Esteri Tzipi Hotovely assicurava che Israele "impiegherà ogni mezzo diplomatico per impedire la conferma dell'accordo" che segna la "resa dell'Occidente all'asse del male guidato dall'Iran".
Una chiave di lettura politica dell'intesa era fornita dall'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, l'italiana Federica Mogherini, che in conferenza stampa a Vienna affermava che “questo è un accordo per la non proliferazione nucleare. Contribuisce alla sicurezza e alla stabilità in una regione come il Medio Oriente che ha bisogno di pace. Questo di per sé è già un atto storico. Ma è la sua valenza politica a offrire scenari del tutto nuovi”. L'Iran “adesso potrà avere un ruolo fondamentale per risolvere la serie di conflitti che incendiano il Medio Oriente. Pensiamo alla Siria, all'opera di persuasione che potrebbe esercitare su Assad. Pensiamo al peso che ha avuto in Iraq. Ha sostenuto un governo di unità nazionale che conteneva sciiti, sunniti e curdi. Oggi potrebbe fare ancora di più”, precisava la Mogherini sottolineando che l'accordo “contribuirà in modo positivo alla pace e sicurezza regionale e internazionale, in una regione mediorientale da troppo tempo segnata da una pericolosa conflittualità e dalla recrudescenza del terrorismo”, leggi da una guerra comune contro lo Stato islamico (Is).
L'accordo siglato a Vienna è stato voluto e costruito soprattutto dagli Usa di Obama che in questo momento ha bisogno di un alleato come Teheran per uscire dall'impasse in cui si trova la politica imperialista americana nella regione una volta emersa la forza dello Stato islamico. Is che tra l'altro dal maggio scorso ha messo piede anche in Afghanistan, nel distretto di Khak-e-Safid della provincia occidentale di Farah, scontrandosi con formazioni talebane; una situazione simile a quella iniziale in Siria dove ha poi conquistato il ruolo di principale avversario del regime di Assad.
La coalizione imperialista contro lo Stato islamico non raggiunge i risultati sperati da Obama; la Turchia aspetta quantomeno che cada Assad e bada a che non assumano troppa forza le formazioni curde, l'Arabia saudita non ha truppe di terra da schierare, finanzia gruppi della resistenza siriani in attesa che cada l'asse sciita Teheran-Damasco-Hezbollah e pensa a fronteggiare l'espansionismo dell'Iran in Yemen, il governo fantoccio di Baghdad è debole. Chi combatte davvero l'Is sono le formazioni sciite filoiraniane in Iraq, con Teheran che diventa un nuovo decisivo alleato dell'imperialismo americano nella regione, affiancando e in concorrenza i “vecchi” Israele e Arabia saudita.

22 luglio 2015