Appalti dell’acqua in Campania
Uniti nel malaffare politicanti, imprenditori e camorra
Chiesto l’arresto del deputato Sarro (FI), neorenziano per turbativa d’asta. Arrestato l’ex senatore UDEUR Barbato, grande elettore di De Luca

Ennesimo terremoto in Campania sul fronte della camorra, del malaffare e della corruzione, una vera e propria fogna che ha travolto le istituzioni nazionali e locali in camicia nera, imprenditori e camorristi legati al clan dei Casalesi. Nella rete della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli - le indagini sono state condotte da Antonello Ardituro e poi dai pm anticamorra Sandro D’Alessio, Maurizio Giordano, Catello Maresca, Cesare Sirignano - sono finiti una serie di costruttori che hanno aggirato l’interdittiva antimafia per mettere le mani su gare milionarie relative alle reti fognarie e idriche del territorio campano, attraverso l’operazione denominata “Medea”.
La contestazione è associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta. Il grande burattinaio è considerato, ancora una volta, il boss detenuto Michele Zagaria che ha pilotato gli appalti truccati per un decennio, al punto che il procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo, ha affermato che si è verificato “ancora una volta l’infiltrazione della camorra evoluta nella politica locale e nazionale, con lo scopo di manipolare le opere pubbliche”.
La DDA ha arrestato 13 persone e ha presentato richiesta di autorizzazione a procedere alla Camera per il deputato Carlo Sarro (FI), implicato nella vicenda al pari dell’ex sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, e l’ex senatore e grande elettore di De Luca, Tommaso Barbato. Del Gaudio, in particolare, avrebbe ricevuto un finanziamento di 30mila euro per la propaganda elettorale promettendo che, in caso di sua vittoria, avrebbe assicurato le gare agli imprenditori collusi di Casapesenna (ossia: Pino, Orlando e Antonio Fontana, Vincenzo Pellegrino, Lorenzo e Bartolo Piccolo, finiti tutti in carcere) che avrebbero “gestito gli appalti in totale egemonia per la rete idrica in Campania, come se non ci fossero state altre ditte in tutta la regione”, ha sottolineato il procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli. “Il tutto – ha aggiunto lo stesso Borrelli – avveniva attraverso il creatore del sistema, Tommaso Barbato, all’epoca dirigente dell’Acquedotto, perennemente in contatto con Franco Zagaria, cognato defunto del boss Michele”.
Barbato, dunque, come “figura di riferimento in Regione” e degli imprenditori come “bancomat di Zagaria”: questi ultimi ben istruiti al punto da tentare la scalata persino nell’associazionismo camorristico denunciando finte estorsioni per tenere lontani i sospetti dei magistrati antimafia. A fare da collegamento, inoltre, vi sono stati anche due appartenenti alle “forze dell’ordine”: il carabiniere Alessandro Cervizzi (agli arresti domiciliari) e il finanziere Silvano Monaco. Il primo passava informazioni sulle indagini in corso agli imprenditori Fontana: “lo fece – afferma nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, Egle Pilla – per garantire un lavoro alla sua primogenita all’ospedale di Caserta e in cambio di vacanze al Sestriere per il secondo figlio”; Monaco, invece, avrebbe rivelato notizie in ordine agli accertamenti patrimoniali nel corso delle indagini.
La posizione di Sarro - molto amico del plurinquisito in odore di camorra, Nicola Cosentino - è fortemente critica: da una parte vi sono le forti pressioni dei Fontana per ottenere un appalto presso l’Ato3 Sarnese-Vesuviano il cui commissario è stato l’attuale deputato che avrebbe addirittura intascato una mazzetta record da due milioni e mezzo di euro. Da un altro versante nel suo periodo di commissariamento, il deputato avrebbe garantito appalti ad aziende della famiglia Piccolo favorendo l’ipotesi di reato della turbativa d’asta ai danni della famiglia Fontana che, successivamente, avrebbe ricattato Sarro nel caso in cui gli stessi Fontana non avessero, anche loro, partecipato alla torta. Al punto che in una intercettazione telefonica Pino Fontana urla stizzito: “Carlo Sarro si è venduto tutte le gare, no? Teneva quaranta milioni di gare, io dovevo andare dalla Finanza e dire: sentite controllate queste gare!”. E si pensi che Sarro oltre a essere il coordinatore di FI nel Casertano e un fan di Renzi, è addirittura vicepresidente della commissione Giustizia e membro della commissione parlamentare di inchiesta sulle mafie. Ed è tutto dire. Oramai è diventata una consuetudine che i presunti collusi con le mafie siano sovente alla testa delle istituzioni chiamate a combattere quelle stesse mafie.
In questa complessa vicenda, va detto, spunta anche il ruolo sporco di alcuni appartenenti delle “forze dell’ordine” e della loro collusione con il clan dei Casalesi: oltre al carabiniere e al finanziere, vi è l'episodio della scomparsa della pen drive di Michele Zagaria contenente documenti preziosi per le indagini anticamorra, ma venduta a un agente di polizia per 50mila euro. Cosa c’era nella pen drive ? Chi avrebbe dato a questo oscuro agente i soldi per poterla acquistare e poi farla sparire dalla circolazione? Anche qui i pubblici ministeri ritengono che un ruolo fondamentale lo abbiano avuto gli imprenditori Fontana collusi col clan di Casal di Principe.
L’inchiesta che ha visto gli arresti confermati dal giudice Pilla martedì 14 luglio è stata bissata da un’altra notizia relativa alla condanna da parte del tribunale di S. M. Capua Vetere del clan Zagaria e in particolare del fratello del boss Michele, Antonio, a 12 anni di carcere come reggente del clan. A conferma dell’incredibile quanto ormai sempre più diffuso intreccio politico-affaristico che inquina e infogna la regione Campania ai danni delle masse popolari che non hanno ancora, nella zona di Napoli nord e Caserta sud, un impianto fognario degno di questo nome.

22 luglio 2015