Dopo 70 anni la Camera bassa approva la legge “per la sicurezza” in aperta violazione dell'art. 9 della costituzione
Il Giappone si riarma ed è pronto a partecipare a missioni militari all'estero
Oltre 100 mila manifestanti protestano a Tokyo e in tutto il Paese
L'imperialismo giapponese affiancherà gli Usa nel Pacifico in funzione anticinese

 
Il comandante militare giapponese, l’ammiraglio Katsutoshi Kawano, in missione a Washington per discutere dell'applicazione delle linee guida della difesa definite nel recente trattato militare bilaterale, affermava il 16 luglio che è probabile che il Giappone inizi dei pattugliamenti per sorvegliare il Mar cinese meridionale dato che la Cina sta dimostrando di essere molto determinata nelle questioni della zona. Basta questo per confermare la decisione del governo di Tokyo di riarmarsi e di essere pronto a partecipare a missioni militari oltre i propri confini e per dimostrare che l'imperialismo giapponese si pone al fianco di quello americano in funzione anticinese nell'area del Pacifico; una posizione costruita passo dopo passo dal governo di Shinzo Abe che il 17 luglio aggiungeva al suo percorso il via libera della Camera bassa alla legge “per la sicurezza” che in aperta violazione dell'art. 9 della costituzione autorizza l'impiego delle forze armate fuori dai confini. Un modo eloquente per celebrare l'anniversario dei 70 anni della fine della seconda guerra mondiale e dall'allora sconfitta delle mire espansioniste dell'imperialismo giapponese, oggi di nuovo in ballo.
Il riarmo nipponico ha bisogno di una modifica della Costituzione, imposta nel 1946 dagli Stati Uniti, e il percorso di modifica è iniziato nel luglio 2014 quando il governo Abe ha fatto passare in parlamento una legge che "interpreta" l’art. 9 cancellandone di fatto il divieto di azioni militari all'estero. A inizio 2015 il governo varava un aumento record per il bilancio militare, destinando all'esercito 36 miliardi di euro.
La corsa al riarmo era definita dal governo necessaria di fronte a sfide quali la disputa con Pechino per il controllo dell'arcipelago Senkaku-Diaoyu, l'aumento delle spese militari cinesi, la "minaccia" atomica della Corea del Nord e dalla necessità di affiancare efficacemente l'alleato Usa nel Pacifico, soprattuto nel confronto con la concorrente superpotenza socialimperialista cinese. Se tutto questo non bastasse, Abe ha sventolato anche l'argomento che non partecipare alle missioni internazionali "preclude vitali opportunità di business". E a tappe forzate ha fatto varare nel maggio scorso al suo governo la legge che autorizza le forze armate a combattere all'estero, a sostegno di missioni di pace internazionali e per auto-difesa. Legge che nei tempi previsti è arrivata all'approvazione della Camera bassa, controllata dalla destra. Alla Camera alta il governo ha una maggioranza meno solida ma pur tuttavia in grado di garantirgli il definitivo via libera.
Il governo affermava che le nuove "forze di auto- difesa" saranno autorizzate ad entrare in azione "solo in caso di conflitti che mettano in pericolo la sicurezza della nazione". Una precisazione che non convinceva affatto i pacifisti giapponesi che al voto della Camera bassa rispondevano con manifestazioni cui partecipavano oltre 100 mila persone a Tokyo e in tutto il paese condannando l'alleanza militare con gli Usa e denunciando che il riarmo "aumenta il rischio di una guerra nel Pacifico".
Alla mossa bellicista di Tokyo rispondeva l'avversario da Pechino. Il ministero degli Esteri cinese dichiarava che l'abrogazione della Costituzione pacifista "è un atto senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale" e che adesso "è perfettamente legittimo chiedersi se il Giappone rinuncerà alla sua politica orientata alla difesa, abbandonando la linea dello sviluppo pacifico". Alla domanda Abe ha già risposto di sì.

29 luglio 2015