“Rischio a sottosviluppo permanente”, rileva lo Svimez
Il Sud sempre più lontano dal Nord
Peggio della Grecia. Lavora una donna su cinque, disoccupazione al 20,4%, una persona su tre a rischio povertà, aumento esponenziale dell'emigrazione, minimo storico delle nascite, industria al collasso, investimenti caduti del 59,3%. Per Renzi “l'Italia è ripartita, basta piagnistei”. Emiliano: “Siamo a disposizione del segretario”
Solo il socialismo può salvare il Mezzogiorno

Un allarme preoccupato che non lascia spazio alle chiacchiere propagandistiche, ai silenzi e ai rimandi strategici del nuovo duce Renzi, inchiodandolo alle sue responsabilità. E' quello lanciato il 30 luglio dallo Svimez sulle condizioni del Mezzogiorno nell'anteprima del Rapporto 2015. Nel quadro delineato, che vede una “ripresa” lenta dell'economia mondiale, specie nell’Area dell’Euro, il nostro Paese arranca e il Mezzogiorno sprofonda in un "rischio di sottosviluppo permanente". Non un settore dell'economia meridionale è stato risparmiato dalla crisi, tanto che dal 2008 al 2014 il valore aggiunto segna un -12,8% e nel solo 2014 un -1,2%. L'agricoltura segna un -10,9%, la manifattura -35%, l'industria in senso stretto -33,2%, le costruzioni -38,7%. Alla luce dei dati Svimez inconfutabilmente sono vere tre cose: la crisi e la "gestione" che i governi hanno imposto all'Italia hanno in primo luogo incrementato vertiginosamente le differenze su base territoriale. L'Italia è un Paese sempre più diseguale, dove il Mezzogiorno risulta sempre più ridotto alla desertificazione economica, produttiva, sociale. In secondo luogo l'Italia non è per nulla "ripartita", come afferma mentendo il nuovo duce. La crisi attanaglia anche il Nord che ha perso in 7 anni il 6,6% del valore aggiunto. In questa macroarea è la manifattura ad avere il calo maggiore -17,2%, l'industria -13,9% e le costruzioni -28,9%. E nel solo 2014 il settore manufattiero al Nord segna un -1,3% e l'industria -0,6%.
In terzo luogo la recrudescenza dell'elemento economico della Questione meridionale sta trascinando in una spirale regressiva l'intera economia nazionale, come del resto avevamo già denunciato.
Si possono adottare varie chiavi di lettura politica del rapporto Svimez, ma ciò che è bene mettere in evidenza oggi è proprio questo: tra gli elementi che non consentono all'Italia di risollevarsi c'è proprio la scelta sciagurata dei governi Berlusconi e Renzi, passando per Monti e Letta, di scaricare il maggior peso della crisi sul Sud.
Dalle anticipazioni Svimez, emerge infatti come il crollo meridionale incida sui valori estremamente negativi registrati dell’Italia nei vari campi analizzati. Anche quando le regioni del Centro-Nord presenterebbero dati in linea con quelli degli altri principali Paesi dell'UE, sia pure in tendenziale peggioramento, l'economia meridionale fa scendere di molto le stime. Esempio: il valore aggiunto al Centro-Nord segna nel 2014 il -0,1%, il Sud -1,2%, l'Italia -0,4% (ripartita? Renzi mente). Nel periodo crisi, 2008-2014, il Centro-Nord segna -6,6%, il Sud -12,8%, l'Italia -8%.
Determinanti in questo fallimento dell'economia italiana sono le responsabilità dei governi, non da ultimo Renzi, che nella gestione della crisi hanno unicamente sostenuto le grandi concentrazioni di capitale finanziario, tagliando negli investimenti produttivi. Basti dire che a livello nazionale dal 2001 al 2013 la spesa pubblica in conto capitale scende di 17,3 miliardi di euro da 63,7 miliardi a 46,3 il calo maggiore è al Sud -9,9 miliardi da 25,7 a 15,8. Scendono soprattutto al Sud i trasferimenti a favore delle imprese. Nelle costruzioni in entrambe le macroaree del Paese "il settore ha risentito delle difficoltà di finanziamento e di spesa delle politiche infrastrutturali". Leggasi che il drastico calo di finanziamenti pubblici nel settore delle costruzioni e manutenzioni infrastrutturali in Italia e la concentrazione degli investimenti sulle mostruose grandi opere ha finito per soffocare un importante settore dell'economia, senza contare i danni al territorio e i rischi per le masse popolari, come è successo in Sicilia con il crollo della Palermo-Catania.
Un dato spiega la desertificazione industriale che sta subendo l'intero Meridione. Nel periodo della crisi si è registrato un crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria (-59,3%), oltre tre volte in più rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (-17,1%), che pure è l'area che subisce in valore assoluto le maggiori perdite nel principale settore produttivo.
La rilevanza della Questione meridionale, come "la" Questione nazionale emerge anche dal principale indice della ricchezza. Il tasso di crescita cumulato del Prodotto Interno Lordo in termini reali del Centro-Nord dal 2001 al 2014 è dell'1,5%, quello del Mezzogiorno è del -9,4%. Il dato complessivo per l'Italia non può che essere in discesa (-1,1%). Certo, come hanno denunciato tutti i giornali, il Mezzogiorno fa molto peggio della martoriata Grecia (-1,7%), ma L'Italia intera, a causa della violenta recrudescenza delle difficoltà economiche del Sud, vi è pericolosamente vicina, rimanendo ben distante dai tassi di crescita delle altre potenze europee Germania (+15,7%), Spagna (+21, 4), Francia (+16,3%).
Tornando al divario tra le aree del Paese esso si amplifica ulteriormente guardando all'occupazione. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat. Il tasso di disoccupazione arriva nel 2014 al 12,7% in Italia, quale media tra il 9,5% del Centro-Nord e il 20,4% del Sud. Tra il 2008 e il 2014 delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro ben 576mila sono residenti a Sud. Dati che ancora una volta fanno scendere l'Italia in coda alle classifiche europee. Consideriamo l’occupazione delle donne under 34 (2014): a fronte di una media del Centro-Nord del 42,3% quella del Sud si ferma al 20,8%. Dunque quella italiana resta al 34%, ben al di sotto del 51% dell'Europa a 28.
Per i giovani meridionali si parla di una “frattura senza paragoni in Europa“. Tra il 2008 e il 2014 il Sud ha perso 622mila posti tra gli under 34 (-31,9%). Per gli under 24 nel 2014 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 56%, contro il 35,5% del Centro-Nord. I Neet (i giovani che non studiano e non lavorano) nel 2014 in Italia sono aumentati del 25% rispetto al 2008, arrivando a 3,5 milioni e quasi due milioni sono meridionali. La quota dei Neet è al 27,4% nel 2014 e rispetto al quadro europeo, pur segnato dalla crisi, la differenza è notevole e il Mezzogiorno si colloca in fondo ad ogni classifica europea, persino dopo la Grecia.
Si può parlare ormai di catastrofe occupazionale al Sud con profonde ripercussioni su tutti gli aspetti sociali, in primo luogo il benessere delle masse popolari e la capacità di prospettare un futuro lavorativo e familiare per i giovani. La popolazione meridionale è sempre più povera. Una persona su tre è a rischio povertà al Sud, una su dieci al Nord. In Sicilia il rischio riguarda il 41,8% della popolazione. Le nascite sono ai minimi storici. Nel 2014 il numero dei nati nel Mezzogiorno ha toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia: 174mila.
Aumenta sensibilmente il numero dei migranti verso il Centro-Nord e verso l'estero. Tra il 2001 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1 milione e 667mila meridionali, a fronte di un rientro di 923 mila persone, con un saldo migratorio netto di 744 mila unità. Di questa perdita di popolazione il 70%, 526 mila unità, ha riguardato la componente giovanile 15-34 anni.

La posizione del PMLI
Alla luce di dati tanto drammatici per l'economia meridionale e l'intera economia nazionale appare inconsistente il direttivo del PD del 7 agosto e insultante l’hashtag lanciato da Matteo Renzi sul Sud "#zerochiacchiere". Renzi non si è neanche scomodato a sbandierare, come al suo solito, qualche promessa su fantastiche misure miracolose per il Sud. Ha semplicemente concluso il direttivo con un discorso improvvisato, superficiale, bugiardo, privo di una qualunque strategia di rilancio, che ha rivelato una strafottente ignoranza e un disinteresse arrogante dei fatti politici, storici e culturali del Mezzogiorno d'Italia e dei danni concreti che il crollo causato a Sud sta comportando per l'intera economia e società nazionale.
Un discorso che, confermando come Renzi e il suo esecutivo siano un gruppo di arrivisti borghesi incompetenti sui problemi concreti delle masse e del Paese, imposti al governo con l'unico compito di favorire l'alta borghesia finanziaria, si è concluso con il rilancio della linea fallimentare delle controriforme istituzionali e costituzionali fasciste di stampo pduista, del Jobs Act, dell'attacco ai sindacati. E il Mezzogiorno? “Ha tutto per poter ripartire”, sostiene il premier, se cambia approccio ed esce dalla “cultura del piagnisteo”. In sostanza Renzi se ne è fregato dei dati Svimez e subito i governatori meridionali si sono allineati, in testa l'opportunista neogovernatore della Puglia Michele Emiliano, PD, che, osannando il nuovo duce, dichiara “Siamo a disposizione del segretario”. A disposizione della politica di Renzi? Ciò significa solo essere a disposizione dei tagli ai fondi per il Sud, della disorganizzazione che riguarda il settore, della deindustrializzazione, della crisi agricola, della criminalità organizzata. Ciò significa essere a disposizione delle politiche che hanno ridotto i giovani meridionali, e ormai non solo loro, alla disperazione, ad una vita di disoccupazione, povertà, emigrazione. Significa essere a disposizione dell'affossamento dell'Italia.
E' la riconferma che Renzi e il PD non hanno nessuna soluzione utile e credibile da proporre per il Sud e l'Italia. Lottare per risolvere i problemi del Sud e rilanciare l'economia meridionale e dell'intero Paese significa anzitutto lottare contro il governo Renzi per affossare il Jobs Act, la "Buona scuola", il "Piano casa", lo "Sblocca Italia", le controriforme istituzionali e costituzionali, e per conquistare il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. Significa lottare per creare in tutto il Mezzogiorno una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord attraverso piani straordinari, la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici e l'utilizzazione di aziende pubbliche per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'industria, dell'agricoltura e il turismo, per il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano.
Noi auspichiamo che le masse meridionali soprattutto le giovani e i giovani del Sud, i primi ad essere massacrati dalla crisi del capitale e dai governi borghesi, comprendano che tutte le loro sofferenze hanno origine dal capitalismo. Non si può pensare che lo sviluppo del nostro Mezzogiorno possa realizzarsi compiutamente senza abbattere il capitalismo e i governi che gli reggono il sacco. Il ribaltamento definitivo delle sorti del Sud avverrà solo conquistando l'Italia unita, rossa e socialista.
Intanto tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche, antimafiose e antifasciste cui sta a cuore la sorte del Sud devono unirsi per cacciare Renzi.

2 settembre 2015