La nuova giunta Marino
Monocolore PD a Roma allo sfascio
Tra gli assessori il pro Tav Esposito. Il superprefetto Gabrielli governa di fatto la capitale. Buzzi: “Soldi a tutti i politici, anche a Renzi e a Berlusconi”
Il funerale stile padrino del boss Casamonica conferma che Roma è in mano alla mafia

Il 28 luglio Ignazio Marino ha presentato in Campidoglio la nuova giunta capitolina, varata per far fronte alla grave crisi di credibilità abbattutasi sul Comune per lo scandalo di “mafia capitale” e le incessanti notizie sul crescente sfascio di Roma. Si tratta in pratica di un monocolore PD, con l'estromissione di SEL, che perde il vicesindaco Luigi Nieri (il cui nome compare nelle intercettazioni dell'inchiesta sul duo Buzzi-Carminati) e che non riuscendo ad ottenere il vicesindaco, ma neanche un assessorato qualsiasi di cui si sarebbe forse contentata, ha deciso di uscire dalla maggioranza: “D'ora in poi valuteremo atto per atto, questo è un monocolore PD e Roma è una colonia di Renzi”, ha sentenziato infatti il capogruppo Gianluca Peciola annunciando il passaggio di SEL all'appoggio esterno alla nuova giunta.
Nella squadra di Marino entrano quattro nuovi assessori, tutti scelti tra i suoi fedelissimi e in stretto accordo col premier Renzi, dal commissario incaricato a “bonificare” il PD romano, Matteo Orfini: si tratta del deputato Marco Causi, già assessore al Bilancio nella giunta Veltroni, che assume la carica di vicesindaco con deleghe al Bilancio, alla Razionalizzazione della spesa e al Personale; del senatore piemontese Stefano Esposito, già distintosi come accanito pro Tav e persecutore del movimento di lotta della Val di Susa, e più recentemente nominato commissario del PD a Ostia, a cui vanno i Trasporti e la Mobilità; dell'ex sottosegretario all'Istruzione dei governi Monti e Letta, Marco Rossi Doria, a cui vanno le deleghe al Lavoro e formazione professionale e allo Sviluppo delle periferie; e dell'ex assessore regionale della giunta Marrazzo e nipote del fondatore della Caritas romana, Luigina di Liegro, che assume le deleghe al Turismo, Qualità della vita e Dialogo interreligioso.
In particolare il pro Tav Esposito è stato scelto palesemente per la sua fama di “duro”, con il compito di “normalizzare” i tranvieri dell'Atac, sulle cui spalle Marino ha sempre scaricato la responsabilità del degrado dei trasporti pubblici romani e dei gravi disagi patiti dai cittadini. Esposito dovrà anche tradurre in pratica il progetto di privatizzazione dell'azienda municipale di trasporti più grande d'Italia, che prevede la vendita del 49% della proprietà ad un soggetto esterno a cui affidare anche la gestione, e che Marino aveva già ventilato pochi giorni prima, annunciando l'intenzione di azzerare i vertici dell'Atac e accelerando le “dimissioni” del precedente assessore, il renziano Guido Improta.

La tattica obbligata di Renzi e Orfini
A Causi, invece, Orfini e Renzi affidano il compito di marcare stretto Marino, togliendogli il controllo dei fondi e delle spese, due funzioni chiave per la gestione del Comune e anche in vista del giubileo proclamato dal papa per il prossimo 8 dicembre. Un sottotesto che l'interessato ha smentito, dichiarando alla conferenza stampa di presentazione di non essere “il proconsole di nessuno”, ma anche confermato indirettamente, aggiungendo che “ho posto come condizione per accettare che me lo chiedesse anche Renzi”.
Quanto a Marino ha ostentato sicurezza e ottimismo sul futuro suo e della sua nuova giunta, assicurando di sentirsi “solido” e “sicuro che l'alleanza con SEL sui contenuti continuerà”. Mentre nei confronti di Renzi ha giurato di non sentirsi affatto “commissariato”, ma che anzi “gli assessori li ho scelti tutti io”, e quanto “al pressing del governo” per le sue dimissioni, ha detto di averne solo “letto saltuariamente sui giornali”. In realtà, dopo aver già sconfessato pubblicamente Marino intimandogli “governi se gli riesce se no vada a casa”, alla fine Renzi ha deciso di non dare ascolto ai renziani romani più duri che ne chiedevano la testa. Ha accettato invece la soluzione proposta da Orfini di metterlo sotto “sorveglianza” con un rimpasto ad hoc della giunta. Ma questo solo ed esclusivamente perché, dopo gli scandali che hanno travolto il PD romano, Orfini e i sondaggi lo hanno convinto che lo scioglimento e commissariamento per mafia del Comune porterebbe ad elezioni anticipate dall'esito sicuramente catastrofico per il suo partito e a consegnare il Campidoglio probabilmente ai 5 Stelle.
Ciò non toglie che la sua avversione nei confronti del neopodestà romano sia ormai alla luce del sole, e che consideri i danni di immagine alla reputazione della capitale come danni di immagine arrecati alla sua stessa persona, e anche per questo ha evitato di prendere direttamente in mano la vicenda lasciandola ad Orfini: per non legare cioè il suo nome all'agonia del Comune di Roma, accontentandosi di metterlo sotto tutela del governo e rimandare il più possibile le elezioni anticipate. Perlomeno fino alla prossima primavera, quando si dovrà votare per altre importanti città metropolitane, e al cui appuntamento il nuovo Mussolini spera di arrivare con una situazione più favorevole.
Questa tattica obbligata di Renzi non poteva che essere confermata e rafforzata dopo le nuove vicende accadute in agosto, proprio mentre Marino se ne andava tranquillamente in ferie negli Usa e nei Caraibi. Tra queste gli articoli sul New York Times e su Le Monde che mettevano in luce il degrado cittadino, per la spazzatura non raccolta e per il caos dei trasporti, quello analogo dell'Osservatore romano , preoccupato soprattutto per il giubileo (“Roma è ormai un caso politico”), e soprattutto per alcuni fatti che hanno riacceso i riflettori su “mafia capitale”.

Il riaccendersi di “mafia capitale”
Si comincia il 1° agosto, e si prosegue anche nei giorni successivi, con le rivelazioni sulle dichiarazioni di Buzzi ai magistrati inquirenti, che riguardo al sistema degli appalti e della corruzione dei politici avrebbe fatto il nome dell'imprenditore Peppe Cionci, tra i finanziatori delle campagne elettorali del governatore Zingaretti e dello stesso Marino: “Io gli finanzio la campagna elettorale, così se domani ho un problema lo chiamo e mi riceve, ti fai un'assicurazione sulla vita, sul futuro”. Così Buzzi avrebbe spiegato ai pm il suo sistema, aggiungendo a mo' di esempio che per questo “ho dato 15 mila euro a Matteo Renzi, 10 mila per Berlusconi (…) e abbiamo finanziato Veltroni, Alemanno e Marino: per avere rapporti”.
Si prosegue il 19 agosto con la notizia che il 5 novembre si terrà il maxiprocesso per 59 imputati dell'inchiesta su “mafia capitale”, con la convalida da parte del Gip del rinvio a giudizio di altri 25 imputati, di cui molti esponenti politici del PD romano amministratori o ex dirigenti del Comune e della Regione, come Mirko Coratti, Franco Figurelli, Daniele Ozzimo, Andrea Tassone, Pierpaolo Pedetti. Ma soprattutto a fare più rumore è stata la bomba scoppiata il 20 agosto con la celebrazione tra Cinecittà e il Tuscolano dei funerali in pompa magna del boss del clan mafioso dei Casamonica, Vittorio, in chiesa e con tanto di scorta dei vigili urbani e della polizia. Più che un funerale una dimostrazione di forza e di potere del clan mafioso romano, evidenziata dalla carrozza superlusso trainata da sei cavalli, dalla musica del film “Il Padrino”, dai manifesti inneggianti al defunto raffigurato come il papa sullo sfondo del Colosseo e il titolo di “re di Roma”, dai petali di rose sparse sul funerale da un elicottero, e con un'ostentazione chiaramente rivolta a dimostrare a tutti che la capitale è ancora in mano alla mafia. Il tutto mentre questore, prefetto Gabrielli e ministro dell'Interno Alfano cadevano dalle nuvole e Marino si limitava a mandare un tweet indignato per il “messaggio mafioso intollerabile”, senza interrompere però le sue dorate vacanze.

Marino commissariato di fatto
Da qui poi la decisione di Renzi, fatta prendere dal Consiglio dei ministri del 27 agosto (a cui accortamente ha evitato di partecipare, come del resto Marino, sempre in vacanza), di commissariare di fatto la nuova giunta appena varata, togliendo ulteriormente poteri al sindaco, per mettere una pezza all'immagine che ha fatto il giro del mondo di una capitale in cui la mafia la fa ancora da padrona e il Comune è completamente allo sbando.
Sarà infatti il superprefetto Gabrielli - già nominato da Renzi commissario per il giubileo con “poteri speciali” come per l'Expo - a governare di fatto la città fino alle prossime elezioni, anticipate o no, “affiancando” (leggi supervisionando) Marino con funzionari governativi nominati personalmente, in settori chiave “permeabili al malaffare” come emergenza abitativa, verde pubblico, politiche sociali e patrimonio. Inoltre, a vigilare sugli appalti per le opere pubbliche per il giubileo, da eseguire in tutta fretta in base ad una delibera “tagliatempi”, sarà il commissario all'Anticorruzione, Raffaele Cantone.
Marino resta insomma in Campidoglio, così da evitare l'incubo di disastrose elezioni anticipate per il PD, ma solo come figura decorativa, perché Renzi gli ha messo una robusta camicia di forza, esautorandolo e prendendo il controllo del Comune di Roma per interposta persona. Da parte sua, dagli Usa, il neopodestà si è dichiarato, come se niente fosse, “soddisfatto”, anzi “euforico”, perché con la decisione del Consiglio dei ministri “si è tolta dal tavolo l'ipotesi dello scioglimento del Campidoglio” e si sono spazzati via “i rumors sul commissariamento”. Ma ci ha pensato Gabrielli a riportarlo coi piedi per terra ricordandogli chi comanderà d'ora in poi in Campidoglio: “Nessuna diarchia”, ha dichiarato infatti il superprefetto ai giornalisti, ribadendo che “Roma capitale ha un solo sindaco, che è stato eletto dal popolo”. Ma ha anche aggiunto subito dopo che “qualora le sue indicazioni e le sue proposte rimanessero lettera morta”, il Tuel (Testo unico per gli Enti locali) gli consente “lo scioglimento del Comune qualora vi siano gravi e reiterate violazioni di legge”.

2 settembre 2015