Dopo 41 anni
Ergastolo a due fascisti per la strage di Brescia
Lo Stato, tramite l'informatore del Sid Tramonte, sapeva ma lasciò fare e depistò

Dopo 41 anni di inchieste e tre interminabili processi caratterizzati da una serie infinita di depistaggi, omissioni e manipolazioni e conclusi invariabilmente con le assoluzioni di tutti gli imputati, il 22 luglio i giudici della seconda Corte d'Assise d'Appello di Milano hanno condannato all'ergastolo i neofascisti Carlo Maria Maggi, ex ispettore di Ordine Nuovo in Veneto, e Maurizio Tramonte, ex fonte “Tritone” dei servizi segreti, per la strage fascista di Piazza della Loggia compiuta il 28 maggio 1974 con una bomba piazzata in un cestino dei rifiuti che provocò 8 morti e 102 feriti tra le migliaia di partecipanti che si erano radunati nella piazza centrale di Brescia per partecipare alla manifestazione antifascista indetta dai sindacati.
I familiari delle vittime presenti in aula hanno accolto in lacrime la sentenza del processo d'Appello bis. Il verdetto è stato definito "decisivo per la storia del Paese" da Manlio Milani, presidente dell'Associazione familiari vittime della stage di piazza della Loggia che quel giorno di 41 anni fa perse la moglie. La sentenza di oggi, ha sottolineato Milani, impone una "profondissima riflessione su quegli anni dal '69 al '74".
Maggi (che secondo l'accusa è stato il mandante della strage) eTramonte (che invece ha partecipato alla pianificazione della strage ed era presente in Piazza della Loggia al momento dell'esplosione) erano stati entrambi assolti il 14 aprile 2012 al termine del primo processo d'Appello con una sentenza a dir poco scandalosa che fra l'altro condannava i familiari delle vittime a pagare anche le spese processuali.
Un verdetto infame e beffardo in parte cancellato dalla Cassazione che il 21 febbraio dello scorso anno ha disposto la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado sulla base degli “ingiustificabili e superficiali” motivi dell'assoluzione in riferimento alla “gravità indiziaria” delle dichiarazioni del “pentito” Carlo Digilio, alias "zio Otto", l'armiere di Ordine Nuovo. La stessa Suprema Corte ha anche stigmatizzato i giudici della sentenza d'Appello accusandoli fra l'altro di essere: “affetti da ipergarantismo distorsivo della logica e del senso comune” e consigliandoli di non seguire “semplici congetture alternative insufficienti a scalfire un complesso di prove di rilevante gravità”, ma allo stesso tempo ha anche confermato le scandalose “assoluzioni per insufficienza di prove” del generale dei carabinieri Francesco Delfino (all'epoca comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, accusato di aver prima assecondato la strage e poi di aver depistato le indagini) e di Delfo Zorzi, membro di Ordine nuovo accusato di essere l'esecutore materiale della strage, che oggi vive da ex latitante in Giappone e fa l'imprenditore sotto il nome di Hagen Hoi.

Il coinvolgimento degli apparati dello Stato
La corte del processo d'Appello bis, apertosi lo scorso 26 maggio, ha ritenuto utile valutare, rinnovando parzialmente il dibattimento, diversi indizi emersi di recente fra cui le testimonianze di alcuni detenuti che avevano condiviso con Maurizio Tramonte, tra il 2001 e il 2003, lo stesso carcere. Due (Vincenzo Arrigo e Renato Bettinazzi) hanno riferito delle confidenze dello stesso Tramonte in ordine alla sua presenza in piazza della Loggia al momento dello scoppio della bomba. Ad Arrigo, Tramonte mostrò anche una foto che custodiva in cella, scattata nei momenti immediatamente successivi alla strage, in cui si era riconosciuto confuso tra la folla. Una foto che il perito incaricato dalla Procura di Brescia ha ritenuto totalmente "compatibile" con le "caratterizzazioni morfologiche e metriche" di Maurizio Tramonte.
Grazie alle nuove indagini è stata anche definitivamente accertata la partecipazione di Tramonte alla riunione di Ordine Nuovo la sera del 25 maggio 1974 ad Abano Terme (Padova) in cui insieme a Carlo Maria Maggi e altri ordinovisti fu preparata la strage.
Il dibattimento ha confermato anche che il Sid, Servizio informazioni difesa (nato nel 1966, sciolto nel 1977 e sostituito dal SISDE e SISMI poi a sua volta sostituiti nel 2007 da AISI e AISE) ha sempre coperto Tramonte e Maggi, pur sapendo dei loro progetti criminali, e nulla fece all'epoca per impedire la strage. Un dato incontestabile confermato fra l'altro dalle stesse informative che Tramonte, estremista di destra ma anche informatore dei servizi con il nome in codice di “Tritone”, inviava ai superiori. Ordine Nuovo poté in questo modo attivare i propri depositi di armi ed esplosivi, in primis quello occultato al ristorante Scalinetto a Venezia, nella disponibilità di Maggi e Digilio, dove fu prelevata la gelignite con cui venne confezionato l’ordigno di Brescia.
Nel corso di questo processo gli inquirenti hanno provato definitivamente l’esistenza della "santa barbara" di Paese, in provincia di Treviso, posta in un casolare gestito da Giovanni Ventura. Il nome di Ventura è di nuovo ricomparso in questo processo. Nella sua agenda, sequestrata nel dicembre 1972 e mai visionata con attenzione, compariva il numero di telefono di Carlo Digilio. Grazie alle ispezioni bancarie si è appurato come i due fossero legati da rapporti economici. Si è così completato un quadro. Ordine Nuovo nel Veneto si articolava in più cellule armate, da quella di Venezia-Mestre, con Maggi, Carlo Digilio e Delfo Zorzi, a quella di Padova, costituitasi attorno alle figure di Franco Freda e di Giovanni Ventura. Una rete eversiva che operò in funzione dello stragismo, da Piazza Fontana a Brescia.

40 anni di processi, coperture e depistaggi
Nei precedenti processi, si era arrivati in qualche modo a riconoscere la colpevolezza di altri esponenti di Ordine Nuovo: da Carlo Digilio a Marcello Soffiati, non più processabili perché defunti a cui si aggiungono ora quelle di Tramonte e Maggi, ormai ottantenne e malato e quindi non carcerabile.
Ma sullo sfondo restano ancora da chiarire le gravissime e oggettive complicità dello Stato e dei suoi apparati.
Il primo filone d'indagine (prima e seconda istruttoria) inizia nel 1974 e si conclude con la sentenza di Cassazione del settembre 1987; quasi subito le indagini vengono depistate su un gruppo di piccoli delinquenti e giovani estremisti di destra della Brescia-bene. Figura chiave del processo è Ermanno Buzzi, noto neofascista che traffica in opere d'arte nonché assiduo frequentatore dei covi di estrema destra. Condannato in primo grado, alla vigilia del processo d'Appello (aprile 1981) Buzzi fu trasferito nel carcere speciale di Novara, dove fu subito strangolato dai terroristi neri Mario Tuti e Pierluigi Concutelli per impedirgli di fare possibili rivelazioni.
Il secondo filone d'indagine parte nel 1984, con la terza istruttoria che viene avviata sulla base delle rivelazioni fatte in carcere da alcuni ex camerati "pentiti" fra cui Angelo Izzo. Gli imputati per strage (tutti assolti nell'89) sono Alessandro Stepanoff, Sergio Latini e Cesare Ferri: estremista di destra, quest'ultimo, collegato al gruppo ordinovista milanese de "La Fenice" di Giancarlo Rognoni e alle S. A. M. (Squadre armate Mussolini) di Giancarlo Esposti. L'iter giudiziario si conclude nel 1993 con la sentenza-ordinanza della quarta istruttoria emessa dal Giudice istruttore Gianpaolo Zorzi che per la prima volta parla di un quarto livello di responsabilità, "non concentrico - scrive - ma intersecantesi con gli altri e quindi sempre presente, come un comune denominatore: quello dei sistematici, puntuali depistaggi", dal lavaggio della piazza subito dopo l'eccidio, alla misteriosa scomparsa di Ugo Bonati, figura chiave nel primo processo, all'omicidio che ha chiuso per sempre la bocca a Buzzi; depistaggi che sono arrivati persino a sabotare la rogatoria in Argentina per impedire l'interrogatorio di Guido Gianni, criminale legato all'estrema destra e latitante. Nella quinta e ultima istruttoria le indagini ruotano intorno alla cellula mestrina dell'organizzazione eversiva neofascista Ordine Nuovo (la stessa di piazza Fontana), in collegamento al gruppo milanese de "La Fenice" di Rognoni. Il giudice Zorzi identificò nel giovane missino Maurizio Tramonte la fonte "Tritone" (che era l'informatore dietro una mole di documenti emersi dagli archivi del Sid a partire dalla fine degli anni Ottanta). Nel 1995, Tritone-Tramonte comincerà a collaborare con i ROS dei Carabinieri e le sue dichiarazioni insieme agli atti provenienti dall'istruttoria di Guido Salvini per la strage di piazza Fontana sono alla base del terzo processo conclusosi nel 2010 con l'assoluzione di tutti e cinque gli imputati, sentenza confermata poi in appello nel 2012.
Per questo terzo processo sono state centrali anche le dichiarazioni di Digilio, unico condannato nell'ultimo processo per la strage di piazza Fontana. A partire da "Tritone" e Digilio, l'imputazione per concorso in strage era stata infatti estesa anche ai vertici mestrini di Ordine Nuovo (Maggi e Zorzi), a Pino Rauti e al generale Delfino, che fu incaricato delle indagini alla base della prima istruttoria che si chiuse con l'assoluzione di tutti gli imputati.
Adesso però le motivazioni con cui la Cassazione nel febbraio 2013 ha deciso di rifare il processo d'Appello e le relative condanne inflitte a Maggi e Tramonte confermano che in questi quarant'anni, da parte dello Stato, dei servizi segreti e dei settori reazionari della magistratura è stato fatto di tutto per ignorare ed inquinare le prove, nascondere o prosciogliere gli esecutori e i mandanti della strage e pilotare i processi verso il nulla di fatto e l'assoluzione di quasi tutti gli imputati.
Non a caso, Federico Sinicato, avvocato dei familiari delle vittime delle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia ha dichiarato: “Non escludo che tra le pieghe di questa sentenza si possa trovare anche qualche ulteriore stimolo per riaccendere un faro anche sul 12 dicembre del ’69 strage per la quale la Procura di Milano ha smesso ormai da anni di indagare... è scandaloso accettare che Piazza Fontana rimanga un buco nero come nella fotografia del salone della Banca che tutti gli anni i giornali ripropongono a commemorazione. Auguriamoci, dunque, che questa sentenza avvii un percorso virtuoso liberando tutti dai sempre oscuri riferimenti ad un passato innominabile o misconosciuto”.

2 settembre 2015