Sull'esempio di Mussolini, Craxi e Berlusconi
Grave attacco di Renzi al diritto di sciopero
I Beni culturali equiparati ai servizi pubblici essenziali. Di questo passo il diritto di sciopero sarà limitato in tutti i settori. Anche il M5S contro i lavoratori
Rispondere con lo sciopero generale

“Certo, ci sono alcuni sindacalisti che pensano ancora di poter prendere in ostaggio la cultura e la bellezza dell'Italia. Non hanno capito che la musica è cambiata. Non gliela daremo vinta, mai. E il decreto legge lo dimostra in modo inequivocabile”. Questa risposta del nuovo duce Renzi ad un “lettore” del suo gazzettino personale L'Unità , svela quasi apertamente, nella sua tronfia vanteria, il vero obiettivo politico e il carattere preordinato e strumentale dell'operazione del 18 settembre, scattata la mattina con la violenta campagna mediatica antisindacale per la ritardata apertura del Colosseo a causa di un'assemblea del personale, e conclusasi, dopo sole poche ore, con la riunione urgente del Consiglio dei ministri che ha approvato in fretta e furia un decreto fascista mirato espressamente a colpire il diritto di sciopero e altri diritti sindacali dei lavoratori dei beni culturali.
Un'operazione, quindi, non improvvisata per reazione a un presunto “abuso” sindacale, bensì di sapiente manipolazione dell'opinione pubblica, che si può capire in tutta la sua perfidia e premeditazione solo se la si inscrive nell'ossessivo disegno neofascista e piduista che Renzi sta sistematicamente attuando contro il sindacato e i lavoratori, per schiacciare ed esautorare il primo, e cancellare ogni diritto e ogni conquista ai secondi. L'assemblea che ha ritardato per due ore l'apertura del Colosseo (e non provocato la sua “chiusura”, come hanno detto a bella posta tutti i media e il governo), era infatti un evento annunciato già dall'11 settembre, ed era stata regolarmente autorizzata in base alla normativa sindacale del settore dei beni culturali. Settore che è già equiparato ai servizi pubblici essenziali per l'esercizio limitato di questo ed altri diritti sindacali. Ma non per quanto riguarda il diritto di sciopero (per esempio la possibilità della precettazione), ed è su questo che interviene, guarda caso, il decreto governativo, equiparando in tutto e per tutto musei e aree archeologiche a ospedali, trasporti, scuole ecc., strumentalizzando così l'evento come se invece di un'assemblea autorizzata e preannunciata si fosse trattato di uno sciopero senza preavviso.
 
Un'operazione preparata da tempo
Ma c'è di più: non solo l'assemblea era stata autorizzata e annunciata con largo anticipo, ma la ritardata apertura non riguardava solo il Colosseo, bensì altri monumenti della capitale come Foro e Palatino, Terme di Diocleziano e Ostia Antica, come anche altre strutture museali in tutta Italia, come per esempio Palazzo Pitti a Firenze, senza che per questi altri siti nessuno abbia sollevato scandalo per i “disagi” causati ai turisti e all'“immagine dell'Italia”. Tutte queste assemblee erano state convocate per discutere la grave situazione in cui versa il personale, per colpa dei continui tagli agli organici e del superlavoro che sono costretti a fare i sempre meno dipendenti. Che per di più aspettano ormai da quasi un anno che il ministero del Tesoro paghi loro gli arretrati per le turnazioni e le aperture straordinarie, festive, serali, ecc., compresi gli eventi spettacolari di cui si vanta tanto il ministro Franceschini. Arretrati che per questi lavoratori sono arrivati ad ammontare fino ad un terzo dello stipendio!
Quindi il ministro dei Beni culturali (Mibact) era perfettamente a conoscenza di tutto ciò quando, non appena le agenzie e i telegiornali hanno cominciato a parlare di “chiusura del Colosseo” e trasmettere le immagini dei turisti in coda, esprimeva sui social network la sua “indignazione” anticipando il decreto del pomeriggio: “Assemblea al Colosseo e turisti fuori in fila. La misura è colma: oggi in Consiglio dei ministri proposta Musei come servizi pubblici essenziali”, twittava prontamente Franceschini. Seguito di rincalzo dal neoduce Renzi, che twittava a sua volta: “Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l'Italia. Oggi decreto legge Colosseo”. Persino il sindaco Marino, ansioso di sfruttare l'occasione per oscurare almeno per un giorno il suo discredito per le note vicende di “mafia capitale”, si è accodato alla campagna di “indignazione” scrivendo su facebook che “la chiusura del Colosseo è uno schiaffo” e uno “sfregio per il nostro Paese”, parlando anche di “ricatti” dei lavoratori.
Come mai non hanno suscitato altrettanto scandalo e indignazione la chiusura del Ponte Vecchio, regalato per un giorno dall'ex sindaco di Firenze ai manager della Ferrari per una cena milionaria? O quella della Biblioteca Nazionale di Firenze (a cui recentemente Franceschini ha tagliato metà del personale!), concessa a privati per una sfilata di moda? E perché allora i media borghesi non denunciano i danni immensi per l'Italia causato dai continui tagli alle risorse e al personale operati indistintamente da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi, che hanno accelerato il degrado e lo sfascio in cui versano tutti i beni culturali? E che dire poi della criminogena clausola del “silenzio-assenso” inserita nella legge Madia, che permette di costruire senza autorizzazione perfino nei siti archeologici?
E si potrebbe continuare per un pezzo. “L’accesso alla cultura - denuncia lo storico dell'arte Tomaso Montanari - è davvero un servizio pubblico essenziale. Ma non è negato dalle assemblee sindacali, è negato dalla politica suicida ed eversiva dei governi della Repubblica che hanno indiscriminatamente tagliato i fondi (Berlusconi li dimezzò nel 2008, e dopo nessuno ha mai rimediato) e il personale (proprio Franceschini e Renzi hanno appena ridotto di un terzo le piante organiche del Mibact). D’altra parte, l’assemblea sindacale verte proprio su questo: con gli organici ridotti così, non si riesce più ad andare avanti”. Nel caso del Colosseo, per esempio, si parla di una struttura aperta 7 giorni su 7, spesso anche la sera, per 363 giorni l'anno, con un'affluenza che nel 2014 ha registrato 6 milioni di ingressi: e per gestire tutto questo ci sono appena 40 persone in tutto. In queste condizioni le code dei turisti ci sono per forza, e non quando c'è assemblea ma tutti i giorni, come ci sono per forza il degrado e la sporcizia della struttura, e sono abituali i furti di manufatti portati via dai turisti: eppure solo in questa occasione i media e il governo gridano allo scandalo!
 
Attacco fascista al diritto di sciopero
É dunque più che evidente che il decreto antisciopero che poi il governo ha approvato a tambur battente (e il cui testo oltretutto non è stato reso noto) era già pronto da tempo nel cassetto di Franceschini e Renzi, che sapevano dell'agitazione e l'aspettavano proprio come il pretesto ad hoc per imporlo con pugno di ferro. E non a caso - come ha notato anche il quirinalista de La Stampa , Ugo Magri - proprio il giorno prima il ministro era andato al Quirinale per colloqui col capo dello Stato: evidentemente per concordare l'assenso preventivo di Mattarella al decreto e non rischiare, data l'artificiosità del pretesto, di vederselo bocciare per mancanza dei necessari requisiti di “necessità” e “urgenza”.
Che si tratti di un'operazione preordinata e che l'obiettivo sia colpire il diritto di sciopero, attraverso l'assimilazione dei beni culturali ai “servizi pubblici essenziali”, lo rileva anche il coordinatore nazionale per la Cgil del Mibact, Claudio Meloni, il quale ha sottolineato che il decreto, “che ancora nessuno ha letto”, in base alle dichiarazioni di Renzi e Franceschini, “va ad incidere in maniera rilevante sul diritto di sciopero”. “I beni culturali - spiega infatti Meloni - erano già inseriti nei servizi pubblici essenziali; immaginiamo che abbiano esteso la previsione di legge anche sulla fruizione dei beni e non solo sulla loro sicurezza. In sostanza gli scioperi andrebbero fatti facendo rimanere i siti aperti, prevedendo una sorta di precettazione. A mio avviso non è un decreto che hanno preparato in due ore”.
 
Sciovinismo mussoliniano di Renzi
E' questo il nocciolo neofascista e piduista dell'operazione di Renzi e Franceschini: assestare con un atto d'imperio favorito e coperto da tutti i media del regime neofascista, un altro colpo demolitore al diritto di sciopero. Si tratta di vero e proprio terrorismo antisciopero e antisindacale se è vero com'è vero che dopo due giorni il ministro stile Minculpop Franceschini ordinava con una circolare che gli fossero comunicati a uno a uno tutti i nomi dei lavoratori che si sono riuniti in assemblea sindacale, come a prefigurare future misure disciplinari che, viste le premesse, potrebbero arrivare al confino di mussoliniana memoria.
Oggi nel settore dei beni culturali, domani, e con lo stesso metodo, in altri settori, fino ad limitarlo per tutti. E questo perché gli scioperi sono “contro l'Italia”, come twitta il neoduce Renzi. Cioè contro l'interesse nazionale e l'“immagine” dell'Italia all'estero. Veramente il patriottismo e lo sciovinismo imperialista sono diventati il chiodo fisso che lo ossessiona e che usa ad ogni piè sospinto (si pensi che era appena tornato dallo show patriottardo inscenato al torneo femminile di tennis a New York) per zittire chiunque gli intralci la strada, a cominciare dal sindacato. E lo sta facendo come, peggio e con più efficacia dei suoi maestri e ispiratori, Mussolini, Craxi e Berlusconi: perché il duce usava la dittatura aperta e il terrore, e Craxi e Berlusconi avevano perlomeno contro la “sinistra” borghese e i media con essa schierati, mentre Renzi li ha tutti al suo servizio e non ha praticamente opposizione. Nemmeno l'opposizione di cartone che il PCI faceva a Craxi e che il PDS-DS-PD riservava a Berlusconi, vista l'inconsistenza dell'imbelle sinistra del suo partito.
Tanto meno Renzi può temere quella della destra borghese, che è tutta con lui in questo attacco fascista al sindacato, ai lavoratori e al diritto di sciopero: “Ora fare legge su sciopero e diritti sindacali per proteggere utenti beni pubblici”, scriveva entusiasta su twitter Maurizio Sacconi, presidente della Commissione lavoro del Senato. E il ministro dell’Interno Angelino Alfano, gli faceva eco, sempre con un twitt: “Approviamo subito legge Sacconi su regolazione #sciopero a tutela utenti beni pubblici. Ieri è iniziato iter al Senato”. La sottosegretaria PD ai Beni culturali, Francesca Barracciu, indagata fra l'altro per peculato e falsa testimonianza, ha persino avuto la faccia tosta di chiamare “reato” l'assemblea sindacale del Colosseo! Pienamente d'accordo col governo forcaiolo Renzi il M5S che per bocca delle senatrici Michela Montevecchi e Manuela Serra che hanno attaccato spudoratamente i lavoratori con queste parole: "Dopo Pompei, succede di nuovo e questa a volta a Roma: Colosseo, Fori imperiali, Palatino, Terme di Diocleziano e Ostia antica chiusi per un'assemblea sindacale mentre migliaia di turisti rimangono fuori in attesa". Arrivando persino a ripetere le parole sull'antitalianità usate dal nuovo duce quando stigmatizzano l'accaduto che si sarebbe negativamente ripercosso “sull'immagine dell'Italia all'estero e in ultimo sulla nostra attrattività"
Eppure la falsità della tesi che assemblee e scioperi in musei e aree archeologiche accadono solo in Italia è palese: basti dare un'occhiata in rete per vedere che scioperi e chiusure succedono in tutti i più importanti musei e monumenti del mondo, come accaduto per esempio l'anno scorso alla Torre Eiffel e quest'anno, per ben 50 volte, alla National Gallery di Londra, il cui personale è da mesi in lotta contro la sua privatizzazione.
Ma nonostante la sfacciata malafede di Renzi e Franceschini non ci pare che i vertici sindacali abbiano colto la gravità di questo loro atto fascista contro il diritto di sciopero e i lavoratori e abbiano risposto a tono. Susanna Camusso si è limitata per esempio a qualche battuta ironica e a lamentarsi così: “Capisco fare attenzione in periodi di particolare presenza turistica, ma se ogni volta che si fa un'assemblea si dice che non si può, si dica chiaramente che non ci possono essere strumenti di democrazia”. In sostanza la Flc-Cgil ha solo riconfermato lo sciopero nel comparto pubblico già programmato per ottobre, mentre ci vorrebbe una risposta dura e immediata al diktat del governo, che non va lasciato passare impunito.
Anche e a maggior ragione per questo, uno sciopero generale nazionale è all'ordine del giorno e si impone al più presto, con manifestazione a Roma sotto Palazzo Chigi, per buttare giù il nuovo duce Renzi, prima che riesca a fare tabula rasa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori e mettere le radici nel Paese per altri vent'anni, come Mussolini e Berlusconi.

23 settembre 2015