In violazione della Costituzione
Il parlamento giapponese autorizza il governo a fare la guerra
Rafforzato l'asse Tokyo-Washington contro il socialimperialismo cinese. Ignorate le manifestazioni dei pacifisti che chiedevano le dimissioni del governo Abe

 
La Camera alta del parlamento giapponese ha approvato il 19 settembre i due provvedimenti passati lo scorso luglio alla Camera bassa che modificano la costituzione e autorizzano il governo di Tokyo a fare la guerra. Nello specifico i provvedimenti trasformati in legge riguardano, il primo, una decina di emendamenti che agevolano tra l’altro l’invio di militari all’estero in soccorso a cittadini giapponesi in “pericolo” o a protezione e sostegno logistico di forze militari alleate; il secondo è una legge che accelera le procedure per approvare l’invio delle forze armate a combattere all'estero a sostegno di missioni di pace internazionali e per auto-difesa.
Con il voto della Camera alta si conclude il percorso della riforma bellicista voluta dal governo di destra di Shinzo Abe che era iniziato alla fine del 2013 con la creazione di un Consiglio di sicurezza nazionale seguito nel 2014 dalla fine del divieto di esportazioni di armi e tecnologia militare e dalla cosiddetta “decisione di gabinetto” del governo che permetteva l’autodifesa collettiva, leggi interventi fuori dei confini nazionali, “interpretando” in maniera diversa l’articolo 9 della costituzione, che sancisce la rinuncia di Tokyo alla guerra e al mantenimento di un esercito di attacco.
Nella visita ufficiale a Washington nell'aprile scorso Abe aveva promesso al congresso Usa che avrebbe chiuso il percorso di approvazione delle leggi entro l'estate e a tale scopo il suo governo aveva decretato l'estensione dei lavori del parlamento dalla scadenza prevista di fine giugno a fine settembre. Un percorso a tappe forzate imposto da Abe che ignorava il parere contrario espresso nelle manifestazioni pacifiste.
Il premier giapponese voleva così rinsaldare l'alleanza politica e soprattutto militare tra Giappone e Usa e a fare dell'imperialismo giapponese un pilastro della politica di "contenimento" messa in opera dall'imperialismo americano contro il nemico comune, il socialimperialismo cinese.
La politica bellicista di Abe era contrastata da una crescente protesta di piazza; lo scorso 30 agosto a Tokyo erano almeno 120 mila i manifestanti che erano sfilati in corteo lungo il viale che portava all'ingresso principale del parlamento nazionale cantando slogan come “No alla guerra”, “Proteggiamo la costituzione”, “Abe dimettiti”, nella principale manifestazione di una giornata di lotta cui avevano partecipato oltre 350 mila manifestanti nelle oltre 300 iniziative organizzate in tutto il paese. Una protesta organizzata da comitati pacifisti e degli studenti che si è fatta sentire a Tokyo con migliaia di manifestanti che gridando no alle “leggi di guerra” e chiedendo le dimissioni del governo Abe, presidiavano per due giorni consecutivi la sede del parlamento prima del voto finale.

30 settembre 2015