Si è conclusa la Conferenza di organizzazione della Cgil
Né Camusso né Landini chiedono la testa di Renzi
Il nuovo duce dichiara guerra a lavoratori e sindacati, ma il dibattito si concentra sulle regole per eleggere il prossimo segretario
L'assise conferma che gli iscritti alla Confederazione non contano nulla

Si è conclusa a Roma la conferenza di organizzazione della Cgil. Nei giorni 16 e 17 settembre all'Auditorium della musica di Roma si sono riuniti 912 delegati sindacali per questa scadenza che, tradizionalmente, rappresenta per il maggiore sindacato italiano un importante snodo tra un congresso e l'altro. Certe volte assume i connotati di un appuntamento di routine, altre volte invece è una occasione per importanti decisioni e cambiamenti.
Stavolta possiamo dire che ci avviciniamo di più alla prima tipologia, o quanto meno non ci sono state decisioni che abbiano fatto intravedere un inversione di tendenza come la gravità della situazione avrebbe richiesto specie rispetto ai temi della rappresentanza, della democrazia nel sindacato e nei luoghi di lavoro, sul tipo di risposta da dare agli attacchi del governo e del padronato ai lavoratori, ai salari, ai diritti compreso quello di sciopero, sulla denuncia della fascistizzazione delle istituzioni democratico-borghesi e del Paese in generale.
Una conferenza di organizzazione che, almeno a parole, si poneva l'obiettivo di mettere al centro del dibattito la sburocratizzazione del sindacato, l'allargamento della democrazia e la partecipazione dei lavoratori, evitando che la discussione si avvittasse attorno alla lotta per la segreteria e alle diverse modalità organizzative per l'elezione del nuovo segretario più o meno congeniali a questo o a quel dirigente. Invece è successo l'esatto contrario.

Timide risposte all'attacco di Renzi e del padronato
Le difficoltà in cui versa il sindacato e la Cgil e l'offensiva che sta subendo richiedevano risposte di ben altro tono. La Conferenza si è tenuta nel bel mezzo di un attacco senza precedenti dove viene messa in discussione l'esistenza stessa del sindacato. Il governo del nuovo duce Renzi, assieme ai capitalisti italiani, stanno cercando di delegittimare le organizzazioni dei lavoratori.
Finora si era cercato di emarginare la Cgil (vedi Berlusconi) adesso si vuole far scomparire del tutto i sindacati perché chiunque ostacoli in qualche modo gli imprenditori è “antiitaliano”. Renzi, Marchionne e Squinzi stanno propagandando l'idea che agli operai ci pensa il padrone, il sindacato è inutile e crea solo problemi, sono ammessi solo sindacati che si attengono ai dettami dell'azienda e hanno l'unico scopo di far digerire ai lavoratori le pretese dei padroni e del Governo.
I sindacati sono definiti “superati” e accusati di essere “un freno allo sviluppo del Paese”, composti da burocrati rappresentanti di lavoratori “privilegiati”, che pensano solo alla loro poltrona e al loro stipendio. In questo favoriti da scandali come quello degli stipendi annui di svariate centinaia di migliaia di euro di alcuni esponenti della Cisl, prese al balzo non solo dalla destra ma anche dal PD e dal M5S che hanno gioco facile ad accusare il sindacato di far parte della “casta” che rovina l'Italia. Lo scopo è quello di fare di tutta l'erba un fascio per togliere di mezzo qualsiasi tipo di rappresentanza ai lavoratori.
Un governo di questa pasta, che ha fatto e sta facendo più danni della grandine, dimostrando con i fatti di essere più deciso di tanti altri esecutivi guidati dalla destra borghese nel portare avanti le controriforme piduiste di stampo neofascista, accanito contro i lavoratori, avrebbe meritato, da parte della Cgil, una risposta ferma e decisa, avrebbe richiesto un contrattacco frontale senza tentennamenti o attendismi
Invece niente. Né la Camusso né Landini chiedono al governo di andarsene. Certo non mancano le critiche, insufficienti e generiche, verso Renzi, verso la politica di austerity dell'Unione europea. Né si poteva negare che i governi, in special modo quello attuale, hanno imposto leggi liberticide come il libero licenziamento, lo spionaggio dei lavoratori, la limitazione del diritto di sciopero; quest'ultimo ha subito un accelerata con la vicenda, o meglio il pretesto, della chiusura del Colosseo per assemblea sindacale.
Ma si fa solo una fotografia sfuocata dell'esistente, senza mettere in campo le risposte da dare per fermare questi attacchi, una strategia che rimetta al centro gli interessi dei lavoratori. Esce confermata la sensazione che la Cgil, dopo un breve idillio con Renzi, sia entrata in contrasto con il suo governo perché il nuovo duce ha gettato alle ortiche la concertazione in favore delle decisioni imposte, cercando in tutti i modi di delegittimare il sindacato, quindi non per propria scelta ma costretta dalle contingenze.
La parte prettamente politica del documento redatto per l'occasione, così come l'intervento introduttivo di Nino Baseotto e quello conclusivo di Susanna Camusso, non fanno un'analisi globale degli ultimi avvenimenti, la critica a Renzi è solo su singoli aspetti, sopratutto non viene mai denunciata la natura neofascista del governo e delle sue controriforme, ne tanto meno si accenna a una qualsiasi autocritica. Eppure era assolutamente necessaria almeno su due punti: l'atteggiamento tenuto dalla Cgil, di sostanziale accondiscendenza, sulla “riforma” Fornero e la debole e tardiva opposizione al Jobs Act.
Eppure la disponibilità alla lotta c'è stata. La classe operaia è depotenziata dalla deideologizzazione e decomunistizzazione, però le manifestazioni dell'autunno 2014 contro il Jobs Act e quelle della primavera del 2015 contro la “buona scuola” di Renzi hanno dimostrato che i lavoratori italiani rappresentano tuttora una grande forza e hanno voglia di lottare, basta difendere i loro diritti e indicargli obiettivi precisi.
Ce lo potevamo aspettare che la Cgil non chiedesse la testa di Renzi, ma quanto meno ci si poteva augurare che lo indicasse come l'attuale nemico numero uno dei lavoratori. Ma anche stavolta si è persa l'occasione per rilanciare la mobilitazione e arrivare in tempi brevi a uno sciopero nazionale con manifestazione sotto Palazzo Chigi. La Camusso nel suo intervento al massimo si è spinta a dire che si ripartirà dal cercare l'intesa con Cisl e Uil per modificare la legge Fornero (che andrebbe cancellata). Tutto qua? Renzi dichiara guerra ai lavoratori e ai sindacati e la risposta della Cgil è solo questa? Non lo possiamo certamente accettare.
Anche sul piano più strettamente organizzativo non ci sono inversioni di tendenza. Bensì la crisi di rappresentatività della Cgil, specie tra i giovani e i precari è sotto gli occhi di tutti. Ma bisogna prendere atto che sono le scelte politiche che determinano quelle organizzative. In fin dei conti il grande apparato burocratico, in larga misura staccato dalla base, riflette un sindacato che va a braccetto con le istituzioni borghesi, impegnato a collaborare per la competitività del sistema capitalistico italiano.
E quando si lanciano proclami bellicosi alle parole non seguono i fatti. Si dice che la Cgil continuerà la battaglia contro il Jobs Act contrastandolo nei nuovi contratti di categoria ma gli ultimi due firmati, settore del commercio e quello bancario, invece lo recepiscono in pieno: demansionamenti, controlli a distanza ecc. Mentre si dice di voler allargare la democrazia interna la Conferenza di Organizzazione conferma che gli iscritti non hanno voce in capitolo perché nessuno li ha interpellati e in sala vi erano sopratutto funzionari a tempo pieno.

Esclusi gli iscritti e i lavoratori
In un comunicato gli Autoconvocati Cgil, ovvero delegati delle RSU (rappresentanze sindacali unitarie) e RSA (rappresentanze sindacali aziendali) denunciano che il messaggio che viene dato è quello che “voi delegati non contate niente”. “Come delegati di base che quotidianamente sono in prima linea, nei luoghi di lavoro, con le iscritte e gli iscritti, con le lavoratrici e i lavoratori, sentiamo l’assoluta necessità di portare il nostro punto di vista non preconfezionato alla Conferenza di Organizzazione, dalla quale siamo stati completamente esclusi.” E come dargli torto?
Alla fine la tanto strombazzata “riforma” organizzativa che avrebbe permesso una maggiore partecipazione della base, un adeguamento “alle mutate condizioni del lavoro” si riduce da una parte a tagli alle strutture per motivi economici e dall'altra alla creazione a tutti i livelli di un nuovo organismo: le Assemblee Generali. Non deve ingannare il nome, sostanzialmente si tratta di una copia dei già esistenti Comitati Direttivi, con un numero doppio di componenti e di cui il Direttivo sarà parte integrante. Quindi sempre organismi eletti dalle stesse strutture sindacali e non dai lavoratori.
Si dichiara di voler portare democrazia nelle aziende ma poi si invoca a gran voce che diventi legge l'accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. Quell'intesa è la negazione stessa della democrazia nei luoghi di lavoro, è l'estensione a tutti del famigerato “modello Marchionne”, sancisce il monopolio di Cgil, Cisl e Uil, isola le categorie, le fabbriche le aziende e i sindacati che si ribellano agli accordi al ribasso che comprimono salari e diritti, nega persino il diritto di sciopero a chi non è d'accordo.
Si ripete di continuo che il contratto nazionale rimane centrale per la Cgil ma da un lato si firmano contratti che lo “derogano”, cioè lo ignorano, e dall'altro si dà la disponibilità alla Confindustria a trattare un “nuovo” modello contrattuale quando anche i sassi sanno che le associazioni padronali vogliono a tutti i costi arrivare a cancellare quello nazionale in favore di quello aziendale legato alla produttività.
Il documento conclusivo ha ottenuto un'ampia maggioranza con 587 voti favorevoli ma non sono mancati i “mal di pancia” tanto che ci sono stati 151 voti contrari e 8 astenuti. Hanno votato no Landini e la Fiom, l'area “il sindacato è un altra cosa”, rappresentata adesso da Sergio Bellavita dopo l'abbandono della CGIL di Giorgio Cremaschi, la nuova area “democrazia e lavoro” nata dal dissolvimento di “lavoro e società” che ha tra i suoi esponenti di spicco Gianni Rinaldini e Nicola Nicolosi.
Nei loro interventi questi esponenti hanno criticato la Cgil per aver apportato modifiche allo Statuto (con la creazione delle Assemblee Generali) che non rientravano nei compiti della Conferenza, e denunciato come questo rinnovamento sia solo di facciata. Landini, che apparentemente ha fatto l'intervento più critico verso la Camusso ha esternato critiche alla segreteria per l'appoggio poco convinto alla Fiom a Pomigliano, si è però concentrato sulle regole per l'elezione del prossimo segretario.
Ormai abbiamo capito che il leader della Fiom è per un'elezione diretta e plebiscitaria, poiché ha una maggiore esposizione mediatica, mentre la Camusso e i suoi sono per il vecchio metodo dove il segretario viene scelto dal gruppo dirigente, abbarbicato alle poltrone, dove i legami e le appartenenze assicurano al candidato/a che lei designerà un sicuro sostegno.
I problemi di democrazia sono però molto più profondi e passano dal protagonismo e dal potere sindacale reale dei lavoratori, dei delegati di fabbrica che devono avere un ruolo maggiore e che devono esprimere anche i dirigenti, anziché essere cooptati e scelti dallo stesso gruppo ristretto che guida la Cgil come avviene adesso. Le assemblee generali, quelle vere nei luoghi di lavoro, devono avere tutto il potere su tutte le questioni. Contemporaneamente va data la stessa dignità ai precari, compreso quello della rappresentanza.
I veri protagonisti della vita sindacale devono diventare i Consigli dei delegati, ovvero i rappresentanti dei lavoratori liberamente eletti senza alcun vincolo, limitazione o vantaggio, mentre le attuali RSU e RSA sono condizionate dagli apparati di Cgil, Cisl e Uil. I lavoratori devono avere la possibilità di discutere e di votare gli accordi e tutte le scelte che li riguardano, deve essere possibile revocare in ogni momento il mandato a quei rappresentanti sindacali che non riscuotono più la fiducia dei lavoratori.
Queste ed altre innovazioni avrebbero veramente il potere di sprigionare la democrazia nelle fabbriche e lei luoghi di lavoro. Ma tutto ciò non sarà possibile fino a quando non ci saranno le condizioni per creare un Grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta, che scompagini e si liberi degli attuali sindacati di regime e di quelli che si ispirano all'anarcosindacalismo, riunendo la stragrande maggioranza dei lavoratori in un sindacato che operi per la difesa degli interessi fondamentali e immediati dei lavoratori, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo.

30 settembre 2015