Nel Cda Diaconale, calunniatore del PMLI
I partiti del regime neofascista si spartiscono la Rai
Nel gioco anche il M5S col parolaio Freccero. Sponsorizzato da Renzi un ex di Lotta Continua, Guelfi
Patto Renzi-Berlusconi su Maggioni presidente e Dall'Orto direttore generale

Non è ancora la Rai che voleva lui, magari per decreto: una Rai di governo, tutta fatta di renziani e senza canone, così da dipendere solo dall'esecutivo. Ma ci si avvicina molto, in attesa che il parlamento finisca di approvare la sua “riforma” che trasformerà l'ex “servizio pubblico” finora spartito tra i partiti parlamentari in un'ente strutturato come un'azienda privata e gestita direttamente dal governo. Nel frattempo il nuovo duce Renzi si “accontenta” di spartire il nuovo Consiglio di amministrazione (Cda) e il nuovo presidente della Rai con Berlusconi, con un contentino ciascuno a centristi, Forza Italia-Lega e M5S-SEL. Tenendo per sé non solo la maggioranza assoluta dei consiglieri, più mezzo presidente in condominio con Berlusconi, ma soprattutto il direttore generale della Rai, che non è ancora il manager dotato dei pieni poteri di amministratore delegato come previsto dalla “riforma” già approvata in prima lettura al Senato, ma di sicuro è già l'emanazione diretta del presidente del Consiglio.
É questo in termini politici il risultato dell'elezione del nuovo Cda della Rai che la Commissione parlamentare di vigilanza ha effettuato il 4 agosto, dopo la decisione di Renzi di non aspettare l'approvazione della sua “riforma della Rai” per rinnovare i vertici dell'azienda già scaduti, e di procedere invece subito alla loro rielezione con la legge Gasparri ancora in vigore: quella stessa legge che il bugiardo di Rignano aveva spergiurato di voler cancellare, e che in ogni caso “mai più” sarebbe stata usata per eleggere i vertici della Rai.

L'accelerazione di Renzi sulle nomine Rai
“Leggo stravaganti ricostruzioni secondo cui 'Renzi vuole mettere le mani sulla Rai' – aveva detto il nuovo duce a marzo nel presentare le linee della sua “riforma”. Non ero bravo in matematica, ma voglio ricordare che per come funziona la Gasparri, se rinnovassimo il Cda con questa legge le forze politiche di governo avrebbero già la maggioranza. Se volessi mettere davvero le mani sulla Rai mi basterebbe non fare niente. Noi vogliamo dare ossigeno all'azienda”. Manco a dirlo, come sempre dopo il famoso “Enrico stai sereno”, ha fatto esattamente il contrario di quel che a parole proclamava: ha messo pesantemente le mani sulla Rai e lo ha fatto proprio con la legge Gasparri. E per di più, a dimostrazione che il patto del Nazareno non è mai veramente morto, attraverso un nuovo inciucio con il padrone di Mediaset, infischiandosene del conflitto di interessi e del fatto che sia il principale concorrente della Rai.
La decisione di procedere al rinnovo dei vertici con la Gasparri senza aspettare l'approvazione della “riforma” era stata presa a fine luglio, quando il governo si era reso conto che ciò avrebbe richiesto tempi lunghi, visti anche i rapporti tesi con i parlamentari della minoranza PD e i numeri risicati in Senato, chiamato ad approvare per primo il provvedimento. Di lì a poco, Infatti, il 30 luglio, il governo era stato battuto su un emendamento firmato da FI, Lega e M5S (e con alcune modifiche anche dalla minoranza PD), che chiedeva lo stralcio della delega al governo della materia riguardante il canone: che riservava cioè al governo ogni decisione sulla sua soppressione totale o parziale. Il Disegno di legge era stato poi approvato senza ulteriori problemi anche con i voti della minoranza PD, ma il segnale aveva convinto ancor di più Renzi ad accelerare sulle nomine per blindare subito il suo controllo sulla Rai, sia pure in condominio col suo maestro di Arcore e con qualche strapuntino agli altri partiti. Anche perché di una Rai al suo servizio permanente effettivo ne ha un bisogno sempre più vorace, per supportare al meglio la sua campagna mediatica sulla fantasiosa “ripartenza dell'Italia” grazie al suo governo e alle sue “riforme”. E i risultati si sono subito visti, con un aumento esponenziale delle sue già straripanti presenze sulle reti Rai, che nemmeno Berlusconi negli anni del suo strapotere si sarebbe mai sognato di avere.

Chi sono i membri del nuovo Cda:

I renziani
Sui 9 consiglieri del Cda, di cui 7 eletti dalla Commissione di vigilanza, 1 dal Tesoro, cioè dal governo, più il presidente nominato dal Cda, almeno 5 sono o renziani o legati in qualche modo alla maggioranza di governo: a cominciare dal renzianissimo Guelfo Guelfi, pisano di 70 anni, di professione pubblicitario, ex Lotta Continua legato a doppio filo a Sofri, spin doctor e gosth writer personale di Renzi fin dai tempi in cui questi si faceva le ossa alla Provincia e al Comune di Firenze. A riprova che gli ex trotzkisti e sessantottini pentiti sono sempre in prima fila per servire il potente di turno, vedi il neo direttore del gazzettino renziano L'Unità .
Ci sono poi la cinquantenne storica dell'arte, ex portaborse di Orfini, di origine dalemiana, Rita Borioni, eletta in omaggio al più fedele alleato di Renzi tra le file della sinistra (o ex sinistra) del PD; e c'è il cinquantatreenne ex DC ed ex Margherita Franco Siddi, giornalista della Nuova Sardegna (gruppo Espresso), distintosi per aver diretto il sindacato nazionale dei giornalisti Fnsi, e in quella veste aver firmato il peggior contratto della storia della categoria, il cosiddetto “equo compenso” che ha condannato legioni di giovani giornalisti al precariato a vita facendo da schiavetti agli editori.
C'è poi il professore di economia, vicepresidente della fondazione Edison, già consigliere di Tremonti e consigliere economico di Renzi dall'ottobre 2014, Marco Fortis. Quest'ultimo è stato nominato dal Tesoro, forse perché da quando sta alla corte di Renzi non ha mai cessato di decantare la miracolosità dei suoi provedimenti per la “ripresa” dell'economia. Di lui ne aveva parlato Il Fatto Quotidiano notando la strana coincidenza con la sua nomina a consigliere di Palazzo Chigi e un provvedimento del governo che congelava una richiesta di risarcimento danni per 1,1 miliardi di euro alla Edison per il disastro ambientale della discarica di Bussi; in attesa che poi ci pensasse la Corte di assise di Chieti con un'assoluzione generale a mettere una pietra tombale su quel processo.
Sempre alla maggioranza di governo, per contentare Alfano e Casini, va ascritta anche l'elezione a consigliere di Paolo Messa, ex portavoce di Marco Follini, il fondatore dell'UDC, alleato di Berlusconi e da tempo confluito nel PD. Messa, che è stato al ministero dell'Ambiente sotto l'ex ministro Clini, oggi plurindagato, è attualmente editore della rivista Formiche e direttore del Centro studi americani presieduto dall'ex capo della polizia e dei servizi segreti Gianni De Gennaro, nominato da Renzi a capo di Finmeccanica.

I berlusconiani
Il “centro-destra” (Forza Italia e Lega) si è aggiudicato due consiglieri: uno è Giancarlo Mazzucca, direttore de Il Giorno ed ex direttore de Il Resto del Carlino , raccomandato da Bruno Vespa che aveva declinato l'offerta di candidato di prima scelta. É stato anche deputato di FI ed è membro della fondazione Italia-Usa (quanti “amerikani in questo Cda!). L'altro è il settantenne Arturo Diaconale, neofascista e seguace della prima ora di Berlusconi, per il quale diresse come redattore capo il tg Studio aperto , e più recentemente varò una lista civetta alle ultime regionali in Campania denominata “Vittime della giustizia”. Col suo fogliaccio neofascista L'Opinione delle libertà , che vendeva solo poche migliaia di copie ma pompava fior di finanziamenti pubblici, nel 2002 Diaconale fu tra i calunniatori del PMLI, in coordinamento con Feltri per Libero e Moncalvo per La Padania , nell'imbastire una grave provocazione alla vigilia del Social forum europeo e della storica manifestazione del 9 novembre a Firenze contro la guerra all'Iraq, attraverso presunte “rivelazioni” dei servizi segreti sul coinvolgimento del nostro partito in organizzazioni terroriste islamiche, tra cui Al Qaida.

Il “diverso”
Anche il M5S ha avuto la sua poltrona, con l'elezione del sessantottenne, parolaio esperto dei media, Carlo Freccero, votato anche da SEL. Una carriera iniziata a Rete 4, quando ancora era di Mondadori, e proseguita all'ombra di Berlusconi per il quale curava i palinsesti di Canale 5 e Italia 1, nonché della prima tv privata francese, La Cinq. Nel 1996 Freccero cambia casacca e approda alla direzione di Rai 2, dove si fa la sua attuale nomea di intellettuale di sinistra lanciando personaggi come i fratelli Guzzanti e Serena Dandini, e promuovendo trasmissioni “trasgressive” come Il Miglio Verde di Santoro e Satyricon di Daniele Luttazzi. Fu poi rimosso da Rai 2 un mese dopo l'”editto bulgaro” di Berlusconi contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Nel 2007, col governo di “centro-sinistra”, torna alla Rai come direttore di RaiSat e poi di Rai 4, andando in pensione nel 2013. Freccero nega di essere un lottizzato di Grillo (citando a riprova il suo dissenso sull'alleanza di Grillo con lo xenofobo inglese Farage), e sostiene di voler essere “un boccone indigesto” per la Rai renziana, ma intanto come primo atto ha votato anche lui per l'elezione all'unanimità della Maggioni alla presidenza. Se il buondì si vede dal mattino...
Chi è rimasto a bocca asciutta, in questa pur classica riedizione del manuale Cencelli, è la sinistra PD, a cui era stato promessa una poltrona di consigliere, per la quale erano stati fatti i nomi di Vincenzo Vita o Beppe Giulietti, storici portavoce di Articolo 21, ma forse proprio per questo accantonati all'ultimo momento in favore del più “presentabile” ex direttore del Corriere della Sera , Ferruccio De Bortoli. Solo che Bersani aveva sottovalutato l'insofferenza del premier per chi lo aveva accusato di essere “in odore di massoneria”, né d'altra parte ha voluto chiedere i voti di SEL e del M5S, per non essere accusato di frazionismo. E così De Bortoli è stato bocciato ed al suo posto è passato un secondo candidato di FI, a cui sulla carta ne sarebbe toccato solo uno, con grande giubilo di Gasparri che si è vantato per la vittoria e per il Cda lottizzato ancora con la legge che porta il suo nome.

Un presidente targato Nazareno
L'elezione della quarantenne Monica Maggioni, direttrice di RaiNews24, alla presidenza del Cda Rai, è poi un altro capolavoro targato Nazareno, le cui fila sono state tessute ancora una volta da Maria Elena Boschi e da Gianni Letta, scartando fior di pennivendoli dell'una e dell'altra parte come Folli, Ostellino, Sorgi, Palombelli ecc. Un presidente donna (come lo voleva Renzi) ma diviso a mezzadria con Berlusconi, e che riflette perfettamente e garantisce nel tempo il duopolio di fatto Rai-Mediaset. La Maggioni deve la sua carriera in Rai alla partecipazione come giornalista “embedded” al seguito delle truppe Usa nell'invasione imperialista dell'Iraq del 2003. Una rapida carriera dai marines fino ai piani alti di viale Mazzini a cui non devono essere infatti estranei la partecipazione da giovane a un programma esclusivo di studi in America organizzato dal Dipartimento di Stato e i suoi rapporti speciali che intrattiene da tempo con il club Bilderberg e la commissione Trilateral, alle cui riunioni è regolarmente invitata. Tanto quanto alle feste annuali per il 4 di luglio all'ambasciata americana e ai convegni dell'Ispi (Istituto studi di politica internazionale).
Per Berlusconi è una garanzia, perché nel 2010 fu tra i 92 firmatari a sostegno del berlusconiano direttore del Tg1 Minzolini; e per Renzi pure, perché come direttrice di RaiNews24 è riuscita perfettamente nella missione di smantellare quel poco di informazione “indipendente” assicurata dal suo predecessore Mineo e fare di questa rete, con una dovizia di mezzi spropositata (e con ascolti in calo), un perfetto megafono del governo, del Papa, di CL e di quant'altro possa esaltare l'era neofascista renziana.

Un direttore targato Leopolda
Quanto al cinquantenne Antonio Campo Dall'Orto, Renziano della prima ora per aver aderito insieme all'allora direttore di Canale 5, Giorgio Gori, di cui era il vice, al progetto presentato per la prima volta alla Leopolda, e per questo nominato personalmente da Renzi direttore generale, come dire suo plenipotenziario alla Rai, non si può certo dire che non sia gradito anche a Berlusconi, avendo iniziato la sua carriera proprio nel Biscione. Senza contare il licenziamento in tronco dell'odiato Luttazzi per uno sketch non gradito su Giuliano Ferrara, quando Dall'Orto era presidente di La7 all'epoca proprietà della Telecom di Tronchetti Provera. Rete che lasciò con una perdita di 120 milioni di euro e con un'audience del 2-3%, per poi approdare a Mtv.
Del resto anche la nomina da parte del duo Maggioni-Dall'Orto dei due vicedirettori generali, il berlusconiano Giancarlo Leone e il renziano Luigi De Siervo, in attesa di spartirsi col metodo Boschi-Letta anche le direzioni delle reti e dei tg, rafforza ulteriormente la spartizione targata Nazareno della Rai operata dal nuovo duce Renzi e dal suo predecessore Berlusconi. Ed è di buon auspicio anche per trovare un'intesa tra i due banditi sui voti in parlamento per far passare la “riforma” che dovrà sancire definitivamente la nuova Rai renziana e di governo.

30 settembre 2015