Cancellato il Senato della prima Repubblica democratica borghese. Varato il Senato della repubblica neofascista, piduista, presidenzialista e interventista
Uniamoci per la vittoria del No al referendum

Il 13 ottobre, con 179 sì, 16 no e 7 astensioni, in un'aula del Senato semivuota per l'uscita di tutti i partiti di opposizione - M5S, FI Lega e (solo parzialmente) SEL, che così ha evitato di votare No - il governo si è approvato la controriforma costituzionale che cancella il Senato della prima Repubblica democratica borghese, completando così l'affossamento definitivo della Costituzione del 1948 come prescritto nel piano della P2 di Gelli, già iniziato da Craxi e portato avanti da Berlusconi, e adesso portato a compimento dal nuovo duce Renzi.
Nasce il Senato della repubblica neofascista, piduista, presidenzialista e interventista, con l'abolizione del bicameralismo perfetto, pilastro della forma parlamentare della Repubblica che assicurava il controllo reciproco tra le due Camere, e la trasformazione del Senato di 315 rappresentanti in una camera di 100 membri, di fatto non più eletti a suffragio universale ma nominati dall'alto, di cui 5 dal capo dello Stato e 95 dalle segreterie dei partiti maggioritari scegliendoli tra i governatori regionali (in numero di 74) e i sindaci (21). Senza potere legislativo, se non su provvedimenti di interesse regionale e costituzionale e poco altro, e senza più alcun potere di controllo sul governo, dato che il nuovo Senato non voterà la fiducia e potrà solo esprimere pareri non vincolanti sulle leggi approvate dalla Camera. Non potrà neppure pronunciarsi sulla dichiarazione di guerra, che ora potrà essere votata dalla sola Camera! In compenso i governatori e i neopodestà nominati senatori godranno ancora dell'immunità parlamentare, cosicché il salvataggio dei politici corrotti resterà assicurato come adesso.
Inoltre la Camera dei deputati, di fatto unico organo rimasto a legiferare e a votare la fiducia al governo, e a mantenere gli attuali 630 seggi, sarà tenuta a garantire l'approvazione “a data certa” ai provvedimenti giudicati dal governo “essenziali per l'attuazione del programma”: in pratica con l'obbligo di approvarli o respingerli entro 70 giorni, “senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale”. E' chiaro che un meccanismo simile sovverte radicalmente l'equilibrio tra i poteri istituzionali disegnato nella Carta del '48, riducendo drasticamente il potere del parlamento e aumentando di conseguenza quello del governo e del presidente del Consiglio in particolare, sancendo con ciò una trasformazione surrettizia della repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, nella forma del premierato.
Grazie a tutto ciò e al meccanismo perverso dell'Italicum, un “fascistissimum” peggiore del porcellum e della stessa legge Acerbo di mussoliniana memoria, infatti, un singolo partito (cioè di fatto il suo leader) che controlli anche solo il 20% dell'elettorato può arrivare a controllare la maggioranza assoluta della Camera, avendo perciò la fiducia assicurata per il suo governo e la via libera ai suoi provvedimenti per tutta la legislatura. Che cos'è questo se non un regime presidenziale di fatto nella forma di premierato travestito da repubblica parlamentare?
 

Poteri mussoliniani per il premier
Il potere legislativo ridotto a una sola camera e con ulteriori limitazioni, e l'altra camera nominata dai partiti, senza potere legislativo e di controllo, ma che partecipa all'elezione del capo dello Stato, dei giudici costituzionali e del Consiglio superiore della magistratura, consentirà al candidato premier vincente non soltanto di garantirsi la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e di scegliersi i senatori, ma anche di nominare il presidente della Repubblica, di controllare 10 dei 15 giudici della Corte costituzionale (5 nominati dal capo dello Stato e 5 dal parlamento, di cui 3 dalla Camera e 2 dal Senato), e di assoggettare il Csm, tramite un terzo di consiglieri e il vicepresidente nominati dal parlamento, più il presidente che poi è lo stesso capo dello Stato. Per l'elezione di quest'ultimo parteciperanno solo i 730 parlamentari e non più anche i delegati regionali, e serviranno i 3/5 dei votanti dalla settima votazione in poi. Apparentemente sembrerebbe una maggiore garanzia democratica, dato che finora bastava la maggioranza assoluta alla quarta votazione. Ma siccome si tratta dei 3/5 dei votanti e non degli aventi diritto, in realtà, in mancanza di accordo tra i partiti, e in presenza perciò di molte astensioni, può tornare utile al partito vincente pigliatutto.
Se a tutto questo aggiungiamo anche la riduzione dei diritti democratici ed elettorali borghesi dovuta all'abolizione delle Province, che taglia ulteriormente la rappresentanza politica per le masse già decurtata del Senato, e le nuove soglie di sbarramento per i referendum abrogativi e per le leggi di iniziativa popolare, le cui firme da raccogliere sono state aumentate rispettivamente da 500 mila a 800 mila e da 50 mila a 150 mila, non si fa fatica a capire che nel complesso si tratta di poteri affidati ad un presidente del Consiglio che non hanno precedenti nella storia dell'Unità d'Italia, tranne nel caso di Mussolini.
 

Senato ai comandi di Boschi e Grasso
A tutto ciò va aggiunto anche il modo arrogante e fascista con cui questa “riforma” è stata imposta al parlamento. Si presuppone che per manomettere ben 40 articoli della Costituzione occorra quantomeno un parlamento legalmente eletto e un largo consenso tra le sue componenti politiche. Invece ciò è stato fatto incredibilmente da un parlamento di nominati, zeppo come non mai di corrotti e inquisiti, eletti con una legge dichiarata anticostituzionale dalla Consulta, e forzando fino all'abuso i regolamenti parlamentari da parte della maggioranza per zittire ogni opposizione. Con il presidente del Senato Grasso che si è messo docilmente al servizio del governo, non vergognandosi nemmeno di consultarsi direttamente con la ministra Boschi, per sterminare migliaia di emendamenti col ricorso massiccio a “tagliole”, “canguri” e mille altri artifici procedurali, pur di arrivare ad approvare il provvedimento entro i ristretti tempi già stabiliti in partenza.
Il massimo dell'indecenza si è raggiunto sull'articolo 1, quando per abolire tutta una serie di votazioni a scrutinio segreto Grasso ha ammesso un maxiemendamento presentato come prestanome dal PD Cocianchic (un ex capo scout di Renzi), ma scritto direttamente dalla segretaria di Palazzo Chigi. Per non parlare della dozzina di voti del gruppo ALA del plurinquisito e massone Verdini, grande amico di vecchia data della famiglia Renzi, che sono stati utilissimi, e in alcuni casi provvidenziali, per aiutare la maggioranza a bocciare gli emendamenti dell'opposizione nelle votazioni a scrutinio segreto. Voti ben accetti e che “non puzzano”, come ha dichiarato il PD Giachetti, nonostante che due senatori verdiniani fossero appena stati censurati per aver rivolto insulti osceni a senatrici del M5S.
Del resto lo stesso Renzi ha ammesso di gradire i voti di Verdini (“non è il mostro di Lochness”, ha dichiarato a La Repubblica) e ha sempre difeso il suo diritto di partecipare al “processo costituente”, infischiandosene altamente delle proteste della sinistra del suo partito. In ogni caso i voti di Verdini gli sono serviti da deterrente per scoraggiare in partenza ogni eventuale tentativo della minoranza interna di rompere il patto raggiunto in Direzione e rialzare la testa in parlamento. Non a caso un senatore verdiniano, nella votazione finale, ha rivendicato da Renzi il riconoscimento di questo sporco ruolo, dichiarando che “Se è la volta buona dipende anche da noi”.
 

L'opposizione di facciata di Berlusconi e la resa della sinistra PD
Anche Berlusconi, dimostrando che il patto del Nazareno da cui è nata questa controriforma piduista non è mai morto, ha dato una mano di sottobanco a Renzi per farla passare, arrivando in suo soccorso con i suoi voti per bocciare un emendamento della minoranza PD che chiedeva il voto a maggioranza assoluta anziché semplice da parte della Camera sulla dichiarazione di guerra. La sua “opposizione” al ddl Boschi, con tanto di uscita dall'aula nella votazione finale è puramente strumentale, per non pregiudicarsi le trattative in corso sull'alleanza con il caporione leghista Salvini, e in questo quadro l'uscita di Verdini da Forza Italia appare come una mossa concordata per continuare il patto del Nazareno per interposta persona. D'altra parte il pregiudicato di Arcore non può nemmeno fare troppo il duro con Renzi, che gli sta sfilando un parlamentare dopo l'altro con una sfacciata compravendita che si è vista anche nella votazione finale, con due senatori di Forza Italia che sono rimasti in aula per votare sì al provvedimento.
Non ha voluto mancare la solenne occasione neanche il rinnegato Napolitano, intervenuto sotto gli applausi scroscianti di tutto il PD e complimentato personalmente anche da Verdini, per rivendicare di essere anche lui uno dei padri della controriforma fascista e piduista, ruolo che del resto la Boschi gli ha riconosciuto pubblicamente.
Ma in ultima analisi è la sinistra PD che porta la responsabilità di aver permesso che si compisse questo golpe anticostituzionale, accettando il patto offerto in Direzione da Renzi, i suoi voti in cambio di un piatto di lenticchie. Dopo aver già votato supinamente il provvedimento per ben due volte dichiarando di rimandare la battaglia a questo passaggio decisivo in Senato, e dopo aver minacciato “il Vietnam” parlamentare fino alla vigilia della discussione in aula, rivendicando l'elezione diretta dei nuovi senatori, bersaniani, cuperliani, prodiani e compagnia bella si sono accucciati per l'ennesima volta al nuovo duce in cambio di qualche ritocco formale a un paio di articoli, che non cambiano di una virgola l'impianto fascista e piduista della controriforma Renzi-Boschi: in pratica, tutto quello che hanno ottenuto è l'aggiunta di una frasetta nebulosa che lega la nomina dei senatori da parte dei Consigli regionali alla “conformità” al voto espresso dagli elettori nell'elezione dei Consigli stessi. Più l'innalzamento a 3/5 dei votanti del quorum per eleggere il capo dello Stato, che come abbiamo già detto è un'arma a doppio taglio.
Con ciò questi rinnegati hanno dimostrato ancora una volta che l'unica cosa che loro interessa non è la difesa della Costituzione e delle libertà democratiche che tanto sbandierano, bensì la poltrona parlamentare e un minimo di spazio condominiale all'interno del PD renziano. Arrivando addirittura a rivendicare adesso il loro contributo al “successo” della controriforma piduista, come ha fatto Bersani saltando incredibilmente sul carro di Renzi con questa dichiarazione a commento del voto finale: “Evitiamo le polemiche interne, almeno in questo momento. Tutto il PD ha fatto un grande lavoro e dev'esserne orgoglioso. Oggi è il giorno del PD pride”.
 

Soddisfatte “le cancellerie e i mercati”
Con la capitolazione della sinistra PD, i voti di Verdini e all'occorrenza quelli di sottobanco di Berlusconi, il cammino finale della controriforma in parlamento sarà una passeggiata per Renzi. Mancano infatti un'altra lettura alla Camera di ratifica delle poche modifiche fatte al Senato, e poi, passati tre mesi, altre due letture alla Camera e al Senato, ma sul testo finale blindato che sarà approvato senza ulteriori modifiche a maggioranza assoluta, che a questo punto appare scontata. Per poi essere sottoposto a referendum confermativo presumibilmente ad ottobre 2016 (al quale il PMLI invita a votare No), dopodiché, se vincesse il sì, il Senato della Repubblica democratica borghese verrebbe definitivamente cancellato e sostituito dal Senato della repubblica neofascista, piduista, presidenziale e interventista.
É quello che chiedeva la banca americana JP Morgan in un documento del 2013, accusando le Costituzioni dei Paesi del Sud Europa di essere troppo “antifasciste”, e suggerendo ai governi di controriformarle e fascistizzarle per avere più stabilità e favorire la cancellazione dei “troppi diritti” che esse garantirebbero ai lavoratori. Ed è a questo che si è rifatto spudoratamente anche il capogruppo PD al Senato Zanda, quando nella dichiarazione di voto finale ha detto: “L’Italia è entrata in una fase nuova nella quale le cancellerie e i mercati sanno che ai nostri impegni seguono le decisioni e alle decisioni seguono i fatti. Questo è il punto. Col nostro voto diciamo all’Europa che la più importante delle nostre riforme, quella del bicameralismo, verrà alla luce sul serio!”.
Bisogna battere questo disegno piduista, sapendo che non si può contare sulle corrotte e addomesticate aule parlamentari, ma unicamente sulla mobilitazione e la lotta delle masse. E che il miglior modo per affossare la controriforma costituzionale neofascista e la legge elettorale Italicum “fascistissimum” è quello di lottare tutti uniti per buttare giù al più presto il governo Renzi. Cacciarlo via prima che riesca a fare tabula rasa dell'intera sovrastruttura democratica del capitalismo borghese nonché di tutti i diritti e le conquiste dei lavoratori e delle masse popolari italiane che sta demolendo giorno dopo giorno.

14 ottobre 2015