Asse tra Confindustria e Renzi
Squinzi chiude sui contratti e rompe con i sindacati
A rischio il contratto nazionale di lavoro. Anche Landini morbido. Eppure, il salario minimo è accettabile solo se stabilito dalla contrattazione sindacale, non intacca il contratto nazionale e abbia cifra congrua
Che aspettano i sindacati a indire lo sciopero generale?

Il presidente degli industriali chiude unilateralmente la trattativa sulle nuove forme contrattuali e non ha intenzione di riaprirla. Adesso secondo lui sta al governo scrivere le nuove regole che dovranno guidare la contrattazione e stabilire quale sarà il quadro che regolerà i rapporti tra le cosiddette “parti sociali”. Si può dire che Squinzi ha fatto e disfatto: prima ha chiesto insistentemente a Cgil, Cisl e Uil di sedersi attorno a un tavolo poi, alle prime discussioni, lo ha rovesciato annunciando che non ci sono spazi di manovra.
Un atteggiamento che tradisce palesemente l'asse che intercorre tra Confindustria e il governo del nuovo duce Renzi. Non c'è bisogno di avere menti politicamente sofisticate per capire che tra i due soggetti le mosse sono concordate per aprire uno scenario di questo tipo: i padroni chiedono di cancellare il contratto nazionale, i sindacati tentennano ma non possono cedere tutto e subito, la trattativa viene chiusa e il governo interviene con l'introduzione di un salario minimo al posto dei contratti, limitazione del diritto di sciopero e salari da contrattare in azienda. Persino Barbagallo della Uil lancia l'accusa: “Il presidente di Confindustria non la racconta giusta: si sono improvvisamente svegliati e fanno da sponda a un possibile intervento del governo”.
Eloquente il titolo del fogliaccio berlusconiano Libero: “Ecco il piano Renzi per spianare i sindacati. Non sarà più possibile incrociare le braccia se non sono d’accordo almeno il 30 per cento degli iscritti. E il salario minimo legale eliminerà le trattative, togliendo potere a Camusso e compagni”. Del resto era chiarissimo fin dall'inizio che cosa intendeva Confindustria per “riforma contrattuale”, tutti cambiamenti che andavano a discapito dei lavoratori e a favore delle aziende con un ulteriore impoverimento dei salari e un aumento della flessibilità.
Squinzi aveva condizionato il rinnovo dei contratti nazionali in scadenza all'accordo con CGIL CISL UIL sulla riforma del modello contrattuale. Ma aveva anche previsto che il contratto nazionale dovrebbe trasformarsi in una cornice con poche regole generali e con gli aumenti contrattuali solo per le aziende che non praticano la contrattazione decentrata o di secondo livello, pretendendo anche di non applicare più il principio dell’inflazione programmata perché “troppo favorevole per i lavoratori”. Addirittura alcuni mesi fa Federchimica aveva chiesto una riduzione dei salari nel prossimo contratto dei chimici perché in questo erano andati oltre l'inflazione prevista.
Inoltre in questo “nuovo” modello contrattuale Confindustria vuole inserire con maggiore forza elementi ancora marginali in Italia, ovvero assicurazioni sanitarie e pensionistiche aziendali e private sul modello americano che andrebbero parzialmente a sostituire il sistema sanitario e sociale pubblico ridotto a brandelli dal governo Renzi e da quelli precedenti. Mentre fa capolino la partecipazione dei lavoratori alla cogestione delle aziende private sul modello tedesco, che in salsa italiana assomiglia tanto al modello mussoliniano dove la classe operaia doveva accettare di buon grado i sacrifici perché le aziende, come si diceva nel ventennio fascista, non sono solo del padrone ma dei lavoratori e più in generale della nazione.
Cgil, Cisl e Uil, date le premesse, non dovevano neppure sedersi al tavolo della trattativa e rimandare al mittente l'invito. Ma hanno accettato lo stesso e tuttora, nonostante la rottura, si dichiarano disponibili alle trattative purché si avviino contemporaneamente quelle per il rinnovo dei molti contratti in scadenza che per ora rimangono bloccati anche se Squinzi, bontà sua, ha detto che “Le categorie andranno avanti con le proprie piattaforme e da Confindustria arriverà nei prossimi giorni un decalogo di cose che si possono fare e non fare in eventuali trattative che ritenessero portare avanti”.
Fino ad ora le regole contrattuali sono state scritte tramite accordi tra associazioni padronali e organizzazioni dei lavoratori, in base ai rapporti di forza. Sarebbe la prima volta che il governo interviene in una materia così complessa e delicata, e le intenzioni non sono benevole verso i lavoratori. Renzi è in piena sintonia con la Confindustria, anzitutto sulla cancellazione o riduzione ai minimi termini del contratto nazionale di categoria.
In discussione anche il diritto di sciopero, ne abbiamo avuto una prova ultimamente con la canea scatenata contro i lavoratori del Colosseo e relativo e immediato decreto antisciopero. Si sta parlando di una legge che preveda almeno il 30% di consensi per indire un’astensione dal lavoro. Con la definizione di “pubblica” utilità da estendere a quasi tutte le categorie, anche a chi lavora nel settore dell'energia, elettricità, gas, alle scuole, musei, la distribuzione e via discorrendo, oltre a quelli dove ci sono già limitazioni come la sanità e il trasporto pubblico.
Come abbiamo già detto il governo sta pensando anche a una legge per istituire un salario minimo. Di per se potrebbe essere anche una misura positiva se vi fosse l'intenzione di eliminare quelle paghe da fame, seppur legali, che vigono in alcuni settori. Ad esempio nelle cooperative di pulizie le lavoratrici prendono 5 euro e mezzo nette l'ora. Ma l'intenzione del governo è di tutt'altro tipo, ovvero togliere la contrattazione ai sindacati e spingere i salari al ribasso, con la possibilità di poter uscire dai contratti nazionali come ha fatto la Fiat di Marchionne. Il salario minimo è accettabile solo se stabilito attraverso la contrattazione sindacale, non intacca la valenza del contratto nazionale e abbia cifra congrua. Poiché si tratterebbe di 6 euro l'ora, con questa cifra non si fa altro che legalizzare retribuzioni vergognose.
Nonostante l'Italia abbia salari tra i più bassi d'Europa, uno degli obiettivi principali del “nuovo” modello contrattuale voluto dai padroni e dal governo è quello di comprimerli ancor di più. Squinzi accetta solo aumenti legati alla produttività aziendale mentre Renzi continua a tenere bloccato il contratto del Pubblico impiego nonostante la Consulta lo abbia giudicato incostituzionale. Eppure a sentire il nuovo duce “L'Italia è uscita dalla crisi” mentre il ministro Padoan sentenzia “la ripresa è in corso ed è superiore alla attese”. Si è scaricato sui lavoratori il peso della crisi capitalistica e quando appaiono i primi, timidi e ancora contrastanti sintomi di ripresa si pensa subito a bloccare chi non arriva alla fine del mese e aumentare i margini di guadagno per i padroni.
Piuttosto blanda la reazione dei sindacati. La Cisl lascia sempre la porta aperta, mentre Cgil e Uil rilanciano proposte che, seppure in parte, vanno nella direzione voluta da Confindustria, poco convincente anche Landini. Il segretario della Fiom lancia una sua proposta di nuovo modello che, a parte la difesa generica del contratto nazionale, sposa anche tesi come quella del salario legato all'andamento dell'economia nazionale (leggi politica dei redditi), ma sopratutto non denuncia questo attacco contro i diritti e i salari dei lavoratori che prosegue imperterrito e non si è fermato neppure dopo l'approvazione del Jobs Act.
Un attacco concentrico che richiederebbe una reazione da parte dei sindacati di ben altro spessore. Cosa si deve ancora aspettare per indire uno sciopero generale nazionale? C'è un assoluto bisogno di una risposta forte e decisa per respingere questo inaccettabile nuovo modello contrattuale, per chiedere il rinnovo dei contratti del settore privato e lo sblocco di quello del pubblico impiego, per ottenere congrui aumenti salariali, per la difesa del diritto di sciopero e, non per ultimo, far scendere in campo la classe operaia e i lavoratori contro le “riforme” piduiste e neofasciste del governo Renzi che hanno rimesso la camicia nera all'Italia.

14 ottobre 2015