Strage di Stato ad Ankara
Oltre 100 morti e diverse centinaia di feriti

 
Un sanguinoso attentato che ha provocato oltre 100 morti e diverse centinaia di feriti ha colpito il popolo curdo e i progressisti turchi che partecipavano alla manifestazione indetta nella capitale Ankara il 10 ottobre dal partito curdo Hdp e da alcuni sindacati che sotto lo slogan "Pace, lavoro e democrazia" aveva l’obiettivo di protestare contro l’escalation degli attacchi dell'esercito nelle regioni curde della Turchia e di chiedere la fine del conflitto tra lo Stato e i separatisti curdi del Pkk. L'attentato, non rivendicato, è avvenuto nei pressi della stazione centrale dove il corteo è stato colpito da due esplosioni, forse di due attentatori suicidi, avvenute a distanza di pochi minuti l’una dall’altra.
Il leader del'Hdp, Selahattin Demirtas, accusava il partito dell’Akp del presidente Erdogan di avere “le mani sporche di sangue”. “In questo paese, chiunque parli contro il governo viene distrutto. Se non si sostiene il governo si viene privati dei diritti umani fondamentali" accusava Demirtas, che denunciava come anche in questa campagna elettorale che porterà al voto anticipato dell'1 novembre il suo partito era oggetto di attentati. “Purtroppo si è verificato un altro massacro e coloro che si erano riuniti per manifestare per la pace sono stati brutalmente feriti e uccisi. Un atroce e barbaro attacco, una continuazione di quelli di Diyarbakir e Suruc", affermava Demirtas riferendosi all'attentato a un suo comizio a Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, alla vigilia del voto di giugno, in cui morirono 2 persone, e a quello del 20 luglio a Suruc, con 33 attivisti morti, rivendicato dallo Stato Islamico.
La tesi dell'attentato terroristico addebitato allo Stato Islamico era sostenuta dal presidente Recep Tayyip Erdogan e dal premier Ahmet Davutoglu. Ma la stessa sera del 10 ottobre le diverse migliaia di manifestanti che scendevano in strada a Istanbul gridavano "Erdogan assassino" e denunciavano la "strage di Stato".
Gli stessi slogan gridati l'11 ottobre a Ankara dai manifestanti riuniti in piazza Sihhiye, dove si sarebbe dovuta svolgere la protesta del giorno prima; la polizia caricava la manifestazione impedendo persino che alcuni partecipanti deponessero dei garofani nel punto della strage. Manifestazioni in particolare dei curdi e scontri con la polizia si svolgevano in varie parti del paese; a Diyarbakir i manifestanti si sono difesi con barricate improvvisate dagli attacchi della polizia che ha usato le armi e gli scontri sono continuati fino a notte.
Il 12 e 13 ottobre, nel corso dei due giorni di sciopero indetti da alcuni sindacati di categoria e dai sindacati dei lavoratori pubblici, si sono svolte in tutto il paese manifestazioni in di denuncia delle repressioni poliziescha e in solidarietà con le famiglie delle vittime della strage.
Non hanno battuto ciglio, fra gli altri, i leader dell'Unione europea imperialista che nelle riunioni del 15 e 16 ottebre a Bruxelles per discutere degli aiuti ai Paesi terzi per l’emergenza profughi, hanno anzi attestato che la Turchia è un "Paese sicuro" e destinavano al governo di Ankara fino a 3 miliardi di euro per trattenere nel paese i profughi siriani diretti verso l’Europa, e discutevano della possibilità di definire la libertà d’ingresso nell’Ue per 75 milioni di turchi.
Per effetto della cosiddetta emergenza profughi, da parte della Ue, e in particolare dalla Germania della cancelliera Merkel che ha rimpolpato l'aiuto finanziario con l’elargizione di altri bonus, la Turchia vede cadere d'un botto parte delle resistenze a entrare nella "famiglia" imperialista europea purché Erdogan si impegni a controllare le frontiere di terra e di "assicurare che i rifugiati che sono in Turchia restino in Turchia, evitando che viaggino verso la Ue". Un riconoscimento e un aiuto diretto a Erdogan a tre settimane dalle elezioni anticipate che ha indetto non avendo mantenuto la maggioranza assoluta in parlamento anche per l'ingresso in parlamento del partito curdo Hdp.

21 ottobre 2015