Perpetrato da Suharto 50 anni fa
Occultato il genocidio dei comunisti indonesiani
Gli errori parlamentaristi, governativi, riformisti, legalitari e pacifisti del Partito comunista d'Indonesia

Sotto il diktat del governo del presidente indonesiano Jokowi gli organizzatori della più nota manifestazione culturale del paese del Sudest asiatico, l'Ubud Festival, sono stati costretti a cancellare la sessione prevista per il 29 ottobre sul genocidio anticomunista perpetrato proprio 50 anni fa dal generale golpista e fascista Suharto. Gli organizzatori del Festival hanno motivato la decisione di obbedire alle autorità col fatto che altrimenti avrebbero messo a rischio l'intera manifestazione che si svolge a Bali e prevede 225 eventi tra mostre, film e dibattiti. La punta di un iceberg, che ha visto il sequestro di riviste studentesche, negata la proiezione di film, insomma nel paese, come nei libri di scuola il massacro di un milione di comunisti deve restare un tabù. Ancora oggi coloro che nel 1965 furono gli artefici del genocidio e che attualmente non solo ricoprono ancora le più alte cariche del potere, ma continuano a vantarsi, impuniti, degli orrendi crimini di cui sono rei confessi.
Il genocidio indonesiano è stato un chiaro esempio di come la barbarie imperialista dei nostri giorni non sia un fenomeno nuovo, ma una caratteristica intrinseca e permanente del dominio imperialista del mondo. Uno degli episodi più sanguinosi della guerra con cui l'imperialismo ha cercato di contenere e sconfiggere l'ascesa del potente movimento di liberazione nazionale e sociale della seconda metà del XX secolo, sull'onda della sconfitta del nazifascismo e dell'immenso prestigio dell'Unione Sovietica di Stalin e del movimento comunista internazionale che vedeva in quegli anni splendere la stella rossa della Cina di Mao. Come affermato nel 1967 dall'allora presidente USA Richard Nixon “con il suo patrimonio di risorse naturali, il più ricco della regione, l'Indonesia è il tesoro più grande del Sud-est asiatico”. Per impossessarsi di questo tesoro, l'imperialismo affogò nel sangue l'antimperialismo del popolo indonesiano.
 

Il governo antimperialista di Sukarno
La dura lotta per l'indipendenza dall'Olanda prima e dall'impero britannico, poi, accentuò l'antimperialismo dei patrioti indonesiani. All'interno del movimento di liberazione nazionale i comunisti svolgevano un ruolo cruciale, tanto che il Partito comunista d'Indonesia, PKI, era il terzo maggiore partito comunista del mondo, con un numero di membri stimato in 3 milioni e con le organizzazioni sindacali e giovanili affiliate, poteva contare sul sostegno di oltre 17 milioni di persone. La forza dei comunisti indonesiani era conseguenza del ruolo svolto nella lotta per l'indipendenza, ma anche nelle lotte dei lavoratori e dei contadini per difendere i propri interessi di classe. Sostenitori del presidente Sukarno, i comunisti indonesiani cercarono di accentuare il carattere antimperialista della politica estera e il controllo nazionale sulle immense risorse naturali del paese, raggiungendo rilevanti successi nelle elezioni comunali e provinciali di Giava nel giugno-agosto 1957, arrivando a controllare le principali città del paese. Nel marzo 1962 alcuni dirigenti comunisti divennero viceministri o sottosegretari del governo di Sukarno, mentre nell'agosto 1964 il PKI entrò in forza nell'esecutivo di Giacarta che prevedeva un programma di riforme sociali e economiche progressiste e politiche antimperialiste e anticoloniali, insieme a settori della borghesia e della piccola borghesia. Nacque il “fronte popolare nazionale”, che prese il none di Nasakom, diretto da Sukarno, che univa nazionalisti, islamici e comunisti nella cosiddetta “democrazia guidata”.
Il prestigio dell'Indonesia in quegli anni era cresciuto a tal punto che nel 1955 la città di Bandung ospitò la Conferenza afro-asiatica ispirata dalla Cina di Mao che riunì 29 paesi, molti di fresca indipendenza, dove viveva la maggioranza della popolazione mondiale. Vi vennero approvati i principi antimperialisti immortali del rispetto reciproco, della sovranità e dell'integrità territoriali, di non aggressione, di non ingerenza nei rispettivi affari interni, di uguaglianza e di reciproco vantaggio. Il corso indipendente della Repubblica d'Indonesia era ovviamente inaccettabile per l'imperialismo. Le ingerenze diedero luogo a un primo tentativo di golpe organizzato dalla Cia, nel 1958. Un memorandum degli stessi servizi segreti americani del 1962 indicava che il primo ministro britannico Harold Macmillan e il presidente statunitense John Kennedy si erano già accordati per “liquidare il presidente Sukarno, conformemente alla situazione e alle opportunità che si presentano”. Intervistato dal giornalista australiano John Pilger, l'ufficiale della forza aerea indonesiana Heru Atmojo fedele a Sukarno e incarcerato nei 15 anni successivi al colpo di stato del 1965 ha dichiarato: “Nei primi anni sessanta era forte la pressione perché l'Indonesia facesse quello che volevano gli americani. Sukarno avrebbe voluto avere buoni rapporti con loro, ma non ne voleva il sistema economico. Con l'America, questo non è mai possibile. E così divenne un nemico. Tutti noi, che volevamo un paese indipendente, libero di commettere i propri errori, fummo trasformati in nemici. Allora non si chiamava globalizzazione, ma era la stessa cosa. Se l'accettavi, eri un amico dell'America. Se ambivi a percorrere un'altra strada, ricevevi degli avvertimenti e se non obbedivi, l'inferno si abbatteva su di te”.
E l'inferno si abbatté sull'Indonesia nell'ottobre del 1965 e sarebbe durato molti mesi. Un gruppo di ufficiali golpisti, manovrati e addestrati per molti anni dall'imperialismo, capitanati da Suharto e con la complicità effettiva di Sukarno che tradì non muovendo un dito per bloccarlo, scatenarono quello che la stessa Cia, in un suo rapporto del 1968, classificò come “uno dei peggiori massacri di massa del XX secolo”. Il quotidiano inglese “The Guardian” il 7 aprile 1966 scriveva: “Un funzionario consolare a Surabaya ritiene plausibile che il numero di morti sull'isola di Bali sia di 200mila, su una popolazione di 2 milioni. Le stime sul numero dei morti dell'isola di Sumatra si aggirano anch'esse intorno ai 200mila e una stima analoga per l'isola di Giava è da considerarsi per difetto. Una volta aggiunto il bilancio dei morti sulle altre isole come Borneo o Sulawasi, il totale potrebbe superare 600mila. I fiumi, in molte parti del paese, sono stati intasati di cadaveri per settimane”. Un bilancio che arriverà ad un milione di persone massacrate, fosse comuni, roghi, stupri, contro comunisti, sindacalisti, membri dei movimenti di massa, simpatizzanti di sinistra o semplici familiari o parenti di comunisti.
 

Il genocidio dei comunisti
Il grado di coinvolgimento diretto dell'imperialismo nel genocidio indonesiano è stato rivelato nel 1990 anche dall'ex agente Cia Robert J. Martins che all'epoca lavorava all'ambasciata USA in Indonesia e che contribuì a redigere gli elenchi della morte: “Possono aver ucciso molta gente e ho le mani molto sporche di sangue, ma questo non è poi così male. Ci sono momenti in cui bisogna colpire con durezza nel momento decisivo. Nessuno si preoccupava che dovessero essere trucidati, a condizione che fossero comunisti”.
Il genocidio indonesiano, l'appoggio e gli elogi degli imperialisti a Suharto che diventerà presidente nel 1967 fino al 1998, allorché sarà cacciato dalla rivolta di piazza contro le sue misure di austerità e la corruzione dilagante, non hanno avuto solo obiettivi politici. Nel novembre del 1967 la Time-Life Corporation patrocinò una Conferenza straordinaria a Ginevra che, in tre giorni, pianificò la presa di controllo dell'Indonesia da parte delle grandi multinazionali straniere. I partecipanti includevano i più potenti capitalisti del pianeta, come David Rockefeller, e le più potenti imprese, dalle principali compagnie petrolifere e banche, General Motors, Imperial Chemical Industries, British Leyland, British-American Tobacco, American Express, Siemens, Goodyear, International Paper Corporation, US Steel. Dall'altre parte del tavolo gli uomini di quel Suharto che Margaret Thatcher definì in seguito come “uno dei nostri migliori e più preziosi amici”. Sotto Sukarno l'Indonesia aveva pochi debiti, aveva espulso la Banca mondiale, limitato il potere delle compagnie petrolifere. Ora giungevano i grandi prestiti dai padrini dell'IGGI (Gruppo intergovernativo per l'Indonesia) i cui membri principali erano Stati Uniti, Canada, Europa e Australia e soprattutto il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. “L'Indonesia – affermò un funzionario della Banca mondiale – è la cosa migliore accaduta allo Zio Sam dopo la seconda guerra mondiale”.
I tragici avvenimenti del '65 in Indonesia e di lì a poco quelli del '73 nel Cile di Allende dimostrarono inequivocabilmente la caducità delle tesi revisioniste e riformiste lanciate da Krusciov al famigerato XX congresso del PCUS, sulla “varietà di forme di transazione al socialismo”, la “coesistenza pacifica” del socialismo con l'imperialismo, spargendo riformismo, pacifismo, parlamentarismo e “vie nazionali” al socialismo. Così come hanno dimostrato che le pretese ”libertà” borghesi e le “libertà” democratiche nei paesi capitalistici non sono mai di natura tale da permettere ai partiti comunisti e ai gruppi rivoluzionari di raggiungere i loro fini e obiettivi. La borghesia e la reazione permettono l'attività dei rivoluzionari solo fintantoché essa non mette in pericolo il potere di classe della borghesia. Quando questo potere è messo in pericolo, o quando la reazione trova il momento propizio, essa soffoca le libertà democratiche borghesi e ricorre a qualsiasi mezzo, senza alcun scrupolo morale e politico, per distruggere le forze rivoluzionarie. Potrebbe accadere anche in Italia, specie se il PMLI spicca il volo.
 

L'autocritica del Partito comunista d'Indonesia
Sarà lo stesso Ufficio politico del PKI nel settembre 1966 a pubblicare una forte e argomentata autocritica sull'operato del partito dai primi anni cinquanta fino al golpe militare fascista. “Le esperienze e le lezioni degli ultimi quindici anni – vi si legge – ci hanno insegnato che il PKI, il quale, all'inizio, non si era opposto nettamente alla via pacifica ha finito per scivolare gradualmente nel parlamentarismo e in altre forme di lotta legali. La direzione del partito giudicava persino che fossero queste le principali forme di lotta per raggiungere l'obiettivo strategico della rivoluzione indonesiana. La “via pacifica” fu introdotta nel partito quando fu adottato, nel 1956, durante la quarta sessione plenaria del comitato centrale del PKI, un documento che approvava la linea revisionista moderna del XX Congresso del PCUS... La linea opportunista di destra seguita dalla direzione del Partito si è così riflessa nel suo atteggiamento circa lo Stato. Secondo la dottrina marxista-leninista concernente lo Stato, il PKI in seguito al fallimento della Rivoluzione dell'Agosto 1945, avrebbe dovuto proporsi di educare la classe operaia e gli altri lavoratori indonesiani per far loro comprendere la natura classista di questo Stato che è la Repubblica d'Indonesia, una dittatura della borghesia. Il PKI avrebbe dovuto risvegliare la coscienza della classe operaia e degli altri lavoratori indonesiani insegnando loro che la lotta per la liberazione avrebbe inevitabilmente condotto alla sostituzione dello Stato borghese con lo Stato popolare diretto dalla classe operaia attraverso una rivoluzione violenta. Invece, la direzione del PKI ha applicato una linea opportunista, seminando così delle illusioni sulla democrazia borghese fra il popolo... Essa si è completamente distrutta nell'interesse della borghesia nazionale.
La direzione del PKI – continua l'autocritica dei comunisti indonesiani – dichiarò che la “teoria dei due aspetti” era completamente diversa dalla “teoria delle riforme di struttura” formulata dai dirigenti del Partito comunista revisionista italiano. Ma, in realtà, queste due “teorie” non differiscono affatto né sul piano teorico né su quello pratico. Entrambe hanno come punto di partenza la via pacifica al socialismo. Entrambe sognano un cambiamento graduale della struttura dello Stato e del rapporto di forze all'interno di esso. Tutte e due rinunciano alla via rivoluzionaria e sono di natura revisionista...
L'opportunismo di destra ha causato un'altra deviazione di destra sul piano organizzativo, cioè il liberalismo e il legalismo. La linea del liberalismo sul piano organizzativo si è manifestata mediante la tendenza a fare del PKI un partito col maggior numero possibile di membri, un partito con un'organizzazione rilassata e definito partito di massa. Il carattere di massa del Partito non è determinato innanzi tutto dal gran numero dei suoi membri, ma in primo luogo dalla sua aderenza alle masse, dalla linea politica del Partito che difende gli interessi delle masse popolari, in altri termini dall'applicazione della linea di massa del Partito, e la linea di massa del Partito non può essere seguita che quando le condizioni che determinano il ruolo del partito come organismo d'avanguardia sono fermamente mantenute, quando i membri del Partito sono i migliori elementi del proletariato e sono armati del marxismo-leninismo...
Le esperienze di lotta acquisite dal Partito in tutti questi anni dimostrano come è importante per i marxisti-leninisti indonesiani essere determinati a difendere il marxismo-leninismo e a combattere il revisionismo moderno, studiare gli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e Stalin, e in particolare il pensiero del compagno Mao che ha continuato, salvaguardato e sviluppato brillantemente il marxismo-leninismo e l'ha fatto accedere alle più alte vette dell'epoca attuale”.
Gloria eterna ai martiri comunisti indonesiani!
Seguiamo sempre la luminosa via dell'Ottobre e gli immortali e universali insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
 

4 novembre 2015