98° Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre
Stalin: “La Rivoluzione d’Ottobre e la tattica dei comunisti russi”

 

I - Le condizioni esterne e interne della Rivoluzione d’Ottobre
 
Tre circostanze d’ordine esterno hanno determinato la relativa facilità con cui la rivoluzione proletaria in Russia ha potuto spezzare le catene dell’imperialismo e rovesciare, in questo modo, il potere della borghesia.
In primo luogo, la circostanza che la Rivoluzione d’Ottobre incominciò in un periodo di lotta disperata dei due principali gruppi imperialisti, anglo-francese e austro-tedesco, nel momento in cui questi gruppi, impegnati l’uno contro l’altro in una lotta mortale, non avevano né il tempo né i mezzi per prestare una seria attenzione alla lotta contro la Rivoluzione d’Ottobre. Questa circostanza ebbe un valore enorme per la Rivoluzione d’Ottobre, perché le permise di approfittare dei violenti conflitti interni dell’imperialismo per consolidare e organizzare le proprie forze.
In secondo luogo, la circostanza che la Rivoluzione d’Ottobre cominciò durante la guerra imperialista, quando le masse lavoratrici, spossate dalla guerra e avide di pace, erano spinte dalla logica stessa delle cose verso la rivoluzione proletaria, come unica via di uscita dalla guerra. Questa circostanza ebbe un valore grandissimo per la Rivoluzione d’Ottobre, perché le mise nelle mani l’arma potente della pace, le rese più facile legare la rivoluzione sovietica con la fine della guerra esecrata, e le suscitò, quindi, la simpatia tanto delle masse operaie dell’Occidente che dei popoli oppressi dell’Oriente.
In terzo luogo, l’esistenza di un potente movimento operaio in Europa e il fatto che, in Occidente e in Oriente, maturava una crisi rivoluzionaria dovuta alla lunga guerra imperialista. Questa circostanza ebbe un valore inestimabile per la rivoluzione in Russia, perché le assicurò, fuori della Russia, dei fedeli alleati nella sua lotta contro l’imperialismo mondiale.
Ma oltre alle circostanze di ordine esterno, la Rivoluzione d’Ottobre fu favorita da tutta una serie di condizioni interne, che le agevolarono la vittoria.
Di queste condizioni devono essere considerate come principali le seguenti.
In primo luogo, la Rivoluzione d’Ottobre ebbe il più attivo appoggio dell’immensa maggioranza della classe operaia della Russia.
In secondo luogo, essa ebbe l’appoggio sicuro dei contadini poveri e della maggioranza dei soldati, avidi di pace e di terra.
In terzo luogo, essa aveva alla sua testa, come forza dirigente, un partito provato come il partito dei bolscevichi, forte non solo della propria esperienza e di una disciplina temprata da anni, ma anche d’infiniti legami con le masse lavoratrici.
In quarto luogo, la Rivoluzione d’Ottobre aveva davanti a sè dei nemici che era relativamente facile vincere, come la più o meno debole borghesia russa, la classe dei proprietari fondiari, completamente demoralizzata dalle «rivolte» contadine, e i partiti conciliatori, completamente falliti nel corso della guerra (il partito dei menscevichi e il partito dei socialisti-rivoluzionari).
In quinto luogo, essa disponeva delle enormi estensioni di uno Stato giovane, su cui poteva liberamente manovrare, ritirarsi quando la situazione lo esigeva, riprendere fiato, raccogliere le forze, ecc.
In sesto luogo, la Rivoluzione d’Ottobre poteva fare assegnamento, nella sua lotta con la controrivoluzione, sull’esistenza nel paese di sufficienti riserve di prodotti alimentari, di combustibili e di materie prime.
Questo concorso di circostanze esterne e interne creò una situazione particolare, che determinò la relativa facilità della vittoria della Rivoluzione d’Ottobre.
Ciò non significa naturalmente che la Rivoluzione d’Ottobre non abbia avuto i suoi punti deboli, nelle condizioni tanto esterne che interne in cui si svolse. Che dire, per esempio, di un punto debole quale fu il relativo isolamento della Rivoluzione d’Ottobre, la mancanza al suo fianco e nelle sue vicinanze di un paese sovietico sul quale essa si potesse appoggiare? Non v’è dubbio che una futura rivoluzione, per esempio, in Germania, si troverebbe, da questo punto di vista, in una situazione più vantaggiosa, perché avrebbe nelle sue vicinanze un paese sovietico di una potenza così considerevole qual è la nostra Unione Sovietica. E non parlo di un altro punto debole della Rivoluzione d’Ottobre, quale fu l’assenza di una maggioranza proletaria nel paese.
Ma questi punti deboli non servono ad altro che a mettere in rilievo quale enorme importanza abbia avuto il carattere particolare, di cui si è parlato sopra, delle condizioni interne ed esterne della Rivoluzione d’Ottobre.
Non si deve dimenticare questo carattere particolare nemmeno per un istante. Soprattutto bisogna tenerlo presente quando si fa l’analisi degli avvenimenti tedeschi dell’autunno 1923. E deve ricordarlo soprattutto Trotzki, che stabilisce un’analogia grossolana tra la Rivoluzione d’Ottobre e la rivoluzione in Germania e si scaglia senza ritegno contro il Partito comunista tedesco per i suoi errori reali e presunti.
«In Russia, - dice Lenin, - nella situazione concreta e storicamente originalissima del 1917, fu facile iniziare la rivoluzione socialista, mentre continuarla e condurla a termine sarà per la Russia più difficile che per i paesi europei. Già al principio del 1918 ebbi occasione di segnalare questo fatto, e la successiva esperienza di due anni ha completamente confermato l’esattezza di questo modo di vedere. Condizioni specifiche come: 1) la possibilità di legare la rivoluzione sovietica con la fine (grazie alla rivoluzione stessa) della guerra imperialista, che infliggeva indescrivibili sofferenze agli operai e ai contadini; 2) la possibilità di sfruttare, per un certo tempo, la lotta a morte fra due gruppi di predoni imperialisti di potenza mondiale, i quali non potevano unirsi contro il nemico sovietico; 3) la possibilità di sostenere una guerra civile relativamente lunga, in parte grazie all’enorme estensione del paese e agli scarsi mezzi di comunicazione; 4) l’esistenza fra i contadini di un movimento rivoluzionario democratico borghese così profondo, che il partito del proletariato poté far proprie le rivendicazioni rivoluzionarie del partito dei contadini (il partito socialista-rivoluzionario, nettamente ostile, in maggioranza, al bolscevismo) e attuarle immediatamente, grazie alla conquista del potere politico da parte del proletariato; tali condizioni specifiche non esistono ora nell’Europa occidentale, né è troppo facile che esse o altre simili si presentino un’altra volta. Ecco perché, fra l’altro, e prescindendo da una serie di altre cause, iniziare la rivoluzione socialista è più difficile per l’Europa occidentale di quanto non fu per noi». («La malattia infantile», vol. XXV, p. 205).
Queste parole di Lenin non è permesso dimenticarle.

II - Due particolarità della Rivoluzione d’Ottobre, ossia l’Ottobre e la teoria della rivoluzione «permanente» di Trotzki
 
Esistono due particolarità della Rivoluzione d’Ottobre, che è indispensabile chiarire innanzitutto, per comprendere il senso intrinseco e la portata storica di questa rivoluzione.
Quali sono queste particolarità?
La prima sta nel fatto che la dittatura del proletariato è nata, da noi, come un potere sorto sulla base dell’alleanza del proletariato e delle masse lavoratrici contadine, essendo queste ultime dirette dal proletariato. La seconda sta nel fatto che la dittatura del proletariato si è affermata da noi come risultato della vittoria del socialismo in un solo paese, capitalisticamente poco sviluppato, il capitalismo continuando a esistere negli altri paesi, capitalisticamente più sviluppati. Ciò non significa, naturalmente, che la Rivoluzione d’Ottobre non abbia avuto altre particolarità. Ma ora quelle che più contano, per noi, sono precisamente queste due particolarità, non soltanto perché esprimono nettamente l’essenza della Rivoluzione d’Ottobre, ma anche perché rivelano luminosamente la natura opportunistica della teoria della «rivoluzione permanente».
Esaminiamo brevemente queste particolarità.
Il problema delle masse lavoratrici della piccola borghesia, urbana e rurale, il problema di far passare queste masse dalla parte del proletariato è il più importante problema della rivoluzione proletaria. A chi darà il suo appoggio, nella lotta per il potere, la popolazione lavoratrice delle città e delle campagne: alla borghesia o al proletariato? Di chi sarà essa la riserva: della borghesia o del proletariato? Da ciò dipendono la sorte della rivoluzione e la solidità della dittatura del proletariato. Le rivoluzioni del 1848 e del 1871 in Francia furono sconfitte soprattutto perché le riserve contadine si schierarono dalla parte della borghesia. La Rivoluzione d’Ottobre ha vinto perché ha saputo strappare alla borghesia le sue riserve contadine, perché ha saputo conquistarle al proletariato, e il proletariato è stato in questa rivoluzione la sola forza capace di dirigere le masse di milioni e milioni di lavoratori della città e delle campagne.
Chi non ha compreso ciò non comprenderà mai né il carattere della Rivoluzione d’Ottobre, né la natura della dittatura del proletariato, né le particolarità della politica interna del nostro potere proletario.
La dittatura del proletariato non è una semplice gerarchia di governo, «abilmente» «selezionata» dalla mano sollecita di un «esperto stratega» e che «s’appoggia giudiziosamente» su questi o quegli strati della popolazione. La dittatura del proletariato è l’alleanza di classe del proletariato con le masse lavoratrici contadine per l’abbattimento del capitale, per la vittoria definitiva del socialismo, a condizione che la forza dirigente di questa alleanza sia il proletariato.
Non si tratta dunque, in questo caso, di sottovalutare «un pochino» o di sopravvalutare «un pochino» le possibilità rivoluzionarie del movimento contadino, come amano esprimersi adesso certi difensori diplomatici della «rivoluzione permanente». Si tratta della natura del nuovo Stato proletario, sorto dalla Rivoluzione d’Ottobre. Si tratta del carattere del potere proletario, delle basi della dittatura stessa del proletariato.
«La dittatura del proletariato, - dice Lenin, - è la forma particolare dell’alleanza di classe tra il proletariato, avanguardia dei lavoratori, e i numerosi strati non proletari di lavoratori (piccola borghesia, piccoli proprietari, contadini, intellettuali, ecc.), o la maggioranza di essi, alleanza diretta contro il capitale, alleanza che ha per scopo il rovesciamento completo del capitale, lo schiacciamento completo della resistenza della borghesia e dei suoi tentativi di restaurazione, alleanza che ha per scopo l’instaurazione e il consolidamento definitivi del socialismo». (Prefazione all’edizione del discorso: «Come s’inganna il popolo con le parole d’ordine di libertà e d’eguaglianza», vol. XXIV, p. 311).
E più avanti:
«La dittatura del proletariato, se si traduce quest’espressione latina, scientifica, storico-filosofica, in un linguaggio più semplice, ecco che cosa significa: solo una classe determinata, e precisamente gli operai delle città e, in generale, gli operai di fabbrica e di officina, gli operai industriali, sono in grado di dirigere tutta la massa dei lavoratori e degli sfruttati nella lotta per abbattere il giogo del capitale, di dirigerli nel corso del suo abbattimento, nella lotta per mantenere e consolidare la vittoria, nella creazione di un nuovo regime sociale, di un regime socialista, in tutta la lotta per la soppressione completa delle classi». («Una grande iniziativa», ibid., p. 336).
Tale è la teoria della dittatura del proletariato, come fu formulata da Lenin.
Una delle particolarità della Rivoluzione d’Ottobre consiste nel fatto che questa rivoluzione è un’applicazione classica della teoria leninista della dittatura del proletariato.
Certi compagni ritengono che questa teoria è una teoria puramente «russa», che riguarda unicamente la realtà russa. Ciò è falso. Ciò è assolutamente falso. Parlando delle masse lavoratrici delle classi non proletarie, guidate dal proletariato, Lenin si riferisce non soltanto ai contadini russi, ma anche ai lavoratori delle regioni periferiche dell’Unione Sovietica, che recentemente ancora erano colonie della Russia. Lenin non si stancava di ripetere che, senza un’alleanza con queste masse di altre nazionalità, il proletariato della Russia non avrebbe potuto vincere. Nei suoi articoli sulla questione nazionale e nei discorsi ai congressi dell’Internazionale comunista Lenin ha ripetuto più di una volta che il trionfo della rivoluzione mondiale è impossibile senza l’alleanza rivoluzionaria, senza il blocco rivoluzionario del proletariato dei paesi progrediti con i popoli oppressi delle colonie asservite. Ma che cosa sono le colonie, se non queste stesse masse lavoratrici oppresse e, innanzi tutto, masse lavoratrici contadine? Chi non sa che il problema della liberazione delle colonie è, in sostanza , il problema della liberazione delle masse lavoratrici delle classi non proletarie dal giogo e dallo sfruttamento del capitale finanziario?
Ma da questo deriva che la teoria leninista della dittatura del proletariato non è una teoria puramente «russa», ma una teoria obbligatoria per tutti i paesi. Il bolscevismo non è soltanto un fenomeno russo. «Il bolscevismo» dice Lenin, - è un modello di tattica valido per tutti ». («La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautzky», vol. XXIII, p. 386).
Tali sono i tratti caratteristici della prima particolarità della Rivoluzione d’Ottobre.
Come si presenta la teoria della «rivoluzione permanente» di Trotzki, se ci si pone dal punto di vista di questa particolarità della Rivoluzione d’Ottobre?
Non ci soffermeremo sulla posizione di Trotzki nel 1905, quando egli dimenticava «semplicemente» i contadini in quanto forza rivoluzionaria, lanciando la parola d’ordine: «Via lo zar, governo operaio», cioè la parola d’ordine di una rivoluzione senza i contadini. Perfino Radek, questo difensore diplomatico della «rivoluzione permanente», è costretto oggi a riconoscere che la «rivoluzione permanente», nel 1905, significava un «salto nel vuoto», fuori della realtà. Oggi, a quanto pare, tutti riconoscono che di questo «salto nel vuoto» non è più il caso di occuparsi.
Non ci soffermeremo nemmeno sulla posizione di Trotzki nel periodo della guerra, ad esempio nel 1915, quando nel suo articolo: La lotta per il potere , considerando che «viviamo nell’epoca dell’imperialismo», che l’imperialismo «oppone non la nazione borghese al vecchio regime, ma il proletariato alla nazione borghese», giungeva alla conclusione che la funzione rivoluzionaria dei contadini deve diminuire e che la parola d’ordine della confisca della terra non ha più l’importanza che aveva prima. È noto che Lenin, analizzando quell’articolo di Trotzki, lo accusava di «negare» la «funzione dei contadini», dicendo che «Trotzki di fatto aiuta i politicanti operai liberali della Russia per cui “negazione” della funzione dei contadini vuol dire rifiuto di sollevare i contadini per la rivoluzione!». («Due linee della rivoluzione», volume XVIII, p. 318).
Passiamo piuttosto ai più recenti lavori di Trotzki su questo problema, ai lavori del periodo in cui la dittatura del proletariato era già riuscita a consolidarsi e in cui Trotzki aveva la possibilità di verificare praticamente la sua teoria della «rivoluzione permanente» e di correggere i propri errori. Prendiamo la Prefazione di Trotzki al libro 1905 , scritta nel 1922. Ecco che cosa dice Trotzki, in questa Prefazione , circa la «rivoluzione permanente»:
«Proprio nel periodo compreso tra il 9 gennaio e lo sciopero dell’ottobre 1905, vennero sorgendo nell’autore quelle concezioni sul carattere dello sviluppo rivoluzionario della Russia che ricevettero il nome di teoria della “rivoluzione permanente”. Questo nome astruso esprimeva l’idea che la rivoluzione russa, dinnanzi alla quale stanno, immediatamente, obiettivi borghesi, non può tuttavia arrestarsi ad essi. La rivoluzione non potrà adempiere i suoi compiti borghesi immediati altrimenti che portando il proletariato al potere. E quest’ultimo, impadronitosi del potere, non potrà restare nei limiti borghesi della rivoluzione. Al contrario, e precisamente per assicurare la propria vittoria, l’avanguardia proletaria dovrà fin dai primi giorni del suo potere, colpire profondamente non soltanto la proprietà feudale, ma anche quella borghese. Essa verrà perciò a scontri ostili non soltanto con tutti i gruppi della borghesia che l’avranno sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine , col concorso delle quali sarà giunta al potere. Le contraddizioni nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante di popolazione contadina, potranno trovare la loro soluzione soltanto su scala internazionale, sull’arena della rivoluzione mondiale del proletariato». (Il corsivo è mio. G. St.).
Così parla Trotzki della sua «rivoluzione permanente».
Basta confrontare questo passo con le ricordate citazioni delle opere di Lenin circa la dittatura del proletariato, per comprendere quale abisso separa la teoria leninista della dittatura del proletariato dalla teoria della «rivoluzione permanente» di Trotzki.
Lenin parla dell’alleanza del proletariato con gli strati dei contadini lavoratori, come della base della dittatura del proletariato. Trotzki, invece, parla di «scontri ostili » «dell’avanguardia proletaria» con le «grandi masse contadine».
Lenin parla della direzione da parte del proletariato delle masse lavoratrici e sfruttate. Trotzki, invece, parla di «contraddizioni nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante di popolazione contadina».
Secondo Lenin, la rivoluzione attinge le sue forze soprattutto tra gli operai e i contadini della Russia stessa. Trotzki, invece, dice che le forze necessarie si possono attingere soltanto «sull’arena della rivoluzione mondiale del proletariato».
Ma che fare se la rivoluzione mondiale sarà costretta a giungere con ritardo? Rimarrà qualche briciola di speranza per la nostra rivoluzione? Trotzki non ce ne lascia nessuna, perché «le contraddizioni nella situazione del governo operaio... potranno trovare la loro soluzione soltanto ... sull’arena della rivoluzione mondiale del proletariato». Secondo questo piano, non rimane alla nostra rivoluzione che una prospettiva: vegetare nelle proprie contraddizioni e marcire nella midolla in attesa della rivoluzione mondiale.
Che cos’è la dittatura del proletariato secondo Lenin?
La dittatura del proletariato è un potere che poggia sull’alleanza del proletariato con le masse lavoratrici contadine per «il rovesciamento completo del capitale», per «l’instaurazione e il consolidamento definitivi del socialismo».
Che cos’è la dittatura del proletariato secondo Trotzki?
La dittatura del proletariato è un potere che giunge a «scontri ostili» con le «grandi masse contadine» e cerca la soluzione delle «contraddizioni» soltanto «sull’arena della rivoluzione mondiale del proletariato».
Che cosa distingue questa «teoria della rivoluzione permanente» dalla nota teoria menscevica che nega l’idea della dittatura del proletariato?
Nulla, in sostanza.
Non vi può essere dubbio. La «rivoluzione permanente» non è una semplice sottovalutazione delle possibilità rivoluzionarie del movimento contadino. La «rivoluzione permanente» è una sottovalutazione tale del movimento contadino, che porta alla negazione della teoria leninista della dittatura del proletariato.
La «rivoluzione permanente» di Trotzki è una varietà del menscevismo.
Così si presenta la prima particolarità della Rivoluzione d’Ottobre.
Quali sono i tratti distintivi della seconda particolarità della Rivoluzione d’Ottobre?
Studiando l’imperialismo, specialmente nel periodo della guerra, Lenin arrivò a stabilire la legge dello sviluppo economico e politico ineguale, a salti, dei paesi capitalistici. Secondo il senso di questa legge lo sviluppo delle aziende, dei trust, dei rami dell’industria e dei singoli paesi procede non in modo eguale, non secondo un ordine stabilito, non in modo che un trust, un ramo dell’industria o un paese occupino sempre il primo posto e gli altri trust o paesi tengano loro dietro secondo un ordine determinato, ma procede a salti, con degli arresti nello sviluppo di certi paesi e con dei salti in avanti nello sviluppo di altri. Inoltre l’aspirazione «del tutto legittima» dei paesi che rimangono indietro, a conservare le loro vecchie posizioni, e la non meno «legittima» aspirazione dei paesi che hanno fatto un balzo avanti, a impadronirsi di nuove posizioni, fanno sì che i conflitti armati fra i paesi imperialisti sono una necessità ineluttabile. Così avvenne, ad esempio, per la Germania, che cinquant’anni fa era, rispetto alla Francia e all’Inghilterra un paese arretrato. Altrettanto si deve dire del Giappone rispetto alla Russia. È noto, però, che già al principio del secolo XX la Germania e il Giappone avevano fatto un tale balzo in avanti, che la prima era riuscita a sorpassare la Francia e incominciava a soppiantare l’Inghilterra sul mercato mondiale, mentre il secondo soppiantava la Russia. È da queste contraddizioni che è scaturita, come è noto, la recente guerra imperialista.
Questa legge parte dal fatto che:
1) «Il capitalismo si è trasformato in un sistema mondiale di oppressione coloniale e di ingulamento finanziario della schiacciante maggioranza della popolazione terrestre per opera di un pugno di paesi “progrediti”». (Prefazione alle edizioni francese e tedesca dell’Imperialismo di Lenin, vol XIX, p. 74).
2) «La spartizione del “bottino” ha luogo fra due o tre predoni (America, Inghilterra, Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi, che coinvolgono nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino, il mondo intero» (Ivi).
3) Lo sviluppo degli antagonismi in seno al sistema mondiale dell’oppressione finanziaria e l’inevitabilità dei conflitti armati fanno sì che il fronte mondiale dell’imperialismo diventi facilmente vulnerabile da parte della rivoluzione e che la rottura di questo fronte da parte di singoli paesi diventi probabile.
4) Questa rottura può verificarsi con maggior probabilità in quei punti e in quei paesi dove la catena del fronte imperialista è più debole, ossia dove l’imperialismo è meno agguerrito e la rivoluzione può svilupparsi più facilmente.
5) Perciò la vittoria del socialismo in un solo paese, anche se questo paese è capitalisticamente meno sviluppato e il capitalismo continua a sussistere in altri paesi, sia pure capitalisticamente più sviluppati, è perfettamente possibile e probabile.
Tali sono in succinto i principi della teoria leninista della rivoluzione proletaria.
In che cosa consiste la seconda particolarità della Rivoluzione d’Ottobre?
La seconda particolarità della Rivoluzione d’Ottobre consiste nel fatto che questa rivoluzione è un modello di applicazione pratica della teoria leninista della rivoluzione proletaria.
Chi non ha capito questa particolarità della Rivoluzione d’Ottobre, non capirà mai né la natura internazionale di questa rivoluzione, né la sua gigantesca potenza internazionale, né le particolarità della sua politica estera.
«L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico - dice Lenin - è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile la vittoria del socialismo all’inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole a insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici e i loro Stati». Infatti «la libera unione delle nazioni nel socialismo è impossibile senza una lotta tenace, più o meno lunga, delle repubbliche socialiste contro gli Stati arretrati». («Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa», vol. XVIII, pp. 232-233).
Gli opportunisti di tutti i paesi affermano che la rivoluzione proletaria - posto che essa, secondo la loro teoria, debba, in generale, cominciare in qualche luogo - può cominciare soltanto nei paesi industrialmente progrediti e che, quanto più questi paesi sono industrialmente progrediti, tanto maggiori sono le probabilità di vittoria del socialismo. Quindi la possibilità della vittoria del socialismo in un solo paese, tanto più se capitalisticamente poco sviluppato, viene da costoro esclusa, come qualcosa di assolutamente inverosimile. Già durante la guerra Lenin, partendo dalla legge dello sviluppo ineguale degli Stati imperialisti, opponeva agli opportunisti la sua teoria della rivoluzione proletaria, che ammette la vittoria del socialismo in un solo paese, anche se questo paese è capitalisticamente meno sviluppato.
È noto che la Rivoluzione d’Ottobre ha confermato in pieno la giustezza della teoria leninista della rivoluzione proletaria.
Come si presenta la «rivoluzione permanente» di Trotzki, se la si mette a confronto con la teoria leninista della rivoluzione proletaria? Prendiamo l’opuscolo di Trotzki: La nostra rivoluzione (1906).
Trotzki scrive:
«Senza l’appoggio diretto del proletariato europeo al potere, la classe operaia della Russia non potrà né mantenersi al potere, né trasformare il suo dominio provvisorio in una dittatura socialista durevole. Non si può dubitarne neppure un istante».
Che dice questa citazione? Che la vittoria del socialismo in un solo paese, la Russia in questo caso, è impossibile «senza l’appoggio diretto del proletariato europeo al potere», ossia prima della conquista del potere da parte del proletariato europeo.
Che cosa vi è di comune fra questa «teoria» e la tesi di Lenin sulla possibilità della vittoria del socialismo «in un solo paese capitalistico, preso separatamente»?
È chiaro che non vi è nulla di comune.
Ma ammettiamo che quest’opuscolo di Trotzki, pubblicato nel 1906, quando era difficile definire il carattere della nostra rivoluzione, contenga degli errori involontari e non risponda in tutto alle idee di Trotzki in un periodo più recente. Esaminiamo un altro opuscolo di Trotzki, il suo Programma di pace , apparso prima della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e ripubblicato ora (1924) nel libro 1917 . In questo opuscolo Trotzki critica la teoria leninista della rivoluzione proletaria, che ammette la vittoria del socialismo in un solo paese, e le oppone la parola d’ordine degli Stati uniti d’Europa. Egli afferma che la vittoria del socialismo in un solo paese è impossibile, che la vittoria del socialismo è possibile soltanto come vittoria in alcuni dei principali paesi d’Europa (Inghilterra, Russia, Germania), riuniti in Stati uniti d’Europa, oppure è del tutto impossibile. Egli dichiara nettamente che «la rivoluzione vittoriosa in Russia o in Inghilterra è inconcepibile senza la rivoluzione in Germania e viceversa».
«La sola obiezione storica più o meno concreta, - dice Trotzki, -contro la parola d’ordine degli Stati uniti, è stata formulata nel giornale Sozial-Demokrat della Svizzera (organo centrale dei bolscevichi in quel periodo. G. St. ) in questi termini: “L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo”. Da ciò il Sozial-Demokrat deduceva la conseguenza che la vittoria del socialismo in un solo paese è possibile, e che perciò non vi è ragione di condizionare la dittatura del proletariato in ogni singolo Stato alla creazione degli Stati Uniti d’Europa. Che lo sviluppo capitalistico dei diversi paesi sia ineguale, è una constatazione assolutamente indiscutibile. Ma quest’ineguaglianza è essa stessa molto ineguale. Il livello capitalistico dell’Inghilterra, dell’Austria, della Germania o della Francia non è lo stesso. Ma, rispetto all’Africa o all’Asia, tutti questi paesi rappresentano un’“Europa” capitalistica, matura per la rivoluzione sociale. Che nessun paese debba “attendere” gli altri nella sua lotta, è un’idea elementare che è utile e necessario ripetere, affinché all’idea di un’azione internazionale parallela non si sostituisca l’idea dell’attesa passiva internazionale. Senza attendere gli altri, noi cominciamo e continuiamo la lotta sul terreno nazionale, pienamente sicuri che la nostra iniziativa stimolerà la lotta negli altri paesi; ma se ciò non avviene, è assurdo pensare, - così insegnano e l’esperienza storica e le considerazioni teoriche, - che, per esempio, la Russia rivoluzionaria possa far fronte a un’Europa conservatrice, o che una Germania socialista possa sussistere isolata nel mondo capitalista».
Come vedete, abbiamo qui un’altra volta la stessa teoria della vittoria simultanea del socialismo nei principali paesi d’Europa, teoria che, di regola, esclude la teoria leninista della rivoluzione, la quale ammette la vittoria del socialismo in un solo paese.
Certo, per la vittoria completa del socialismo, perché esista una garanzia completa contro la restaurazione del vecchio regime, sono necessari gli sforzi concordi dei proletari di parecchi paesi. Certo, se alla nostra rivoluzione mancasse l’appoggio del proletariato europeo, il proletariato della Russia non potrebbe resistere alla pressione generale, allo stesso modo che, senza l’appoggio della rivoluzione russa al movimento rivoluzionario d’Occidente, questo movimento non potrebbe svilupparsi con il ritmo che ha assunto dopo l’instaurazione della dittatura proletaria in Russia. Certo, abbiamo bisogno di appoggio. Ma che cosa significa l’appoggio del proletariato dell’Europa occidentale alla nostra rivoluzione? La simpatia che manifestano gli operai europei verso la nostra rivoluzione, il fatto ch’essi sono decisi a frustrare i piani d’intervento degli imperialisti, non è questo un sostegno, un aiuto serio? Sì, senza dubbio. Senza questo sostegno, senza questo aiuto, non solo da parte degli operai d’Europa, ma anche da parte dei paesi coloniali e dipendenti, la dittatura proletaria in Russia si sarebbe trovata a mal partito. Non sono stati sufficienti, sinora, questa simpatia e questo aiuto, uniti alla potenza del nostro Esercito rosso e alla decisione degli operai e dei contadini della Russia di difendere coi loro petti la patria socialista? Non è forse stato sufficiente tutto ciò per respingere gli attacchi degli imperialisti e conquistarci le condizioni necessarie per un serio lavoro costruttivo? Sì, tutto ciò è stato sufficiente. Questa simpatia aumenta o diminuisce? Aumenta, senza dubbio. Non esistono dunque nel nostro paese delle condizioni favorevoli, non soltanto per far progredire l’organizzazione dell’economia socialista, ma anche per dare, a nostra volta, un appoggio sia agli operai dell’Europa occidentale che ai popoli oppressi dell’Oriente? Sì, esistono. Lo attesta in modo eloquente la storia di sette anni di dittatura proletaria in Russia. Si può forse negare che il lavoro ha già preso nel nostro paese uno slancio potente? No, non lo si può negare.
Quale significato può avere dopo tutto ciò l’affermazione di Trotzki che la Russia rivoluzionaria non potrebbe far fronte a un’Europa conservatrice?
Può avere soltanto un significato: in primo luogo, Trotzki non sente la potenza intrinseca della nostra rivoluzione: in secondo luogo, Trotzki non comprende il valore inestimabile dell’appoggio morale che danno alla nostra rivoluzione gli operai dell’Occidente e i contadini dell’Oriente; in terzo luogo, Trotzki non si rende conto dell’impotenza intrinseca, che corrode attualmente l’imperialismo.
Trascinato dalla sua critica della teoria leninista della rivoluzione proletaria, Trotzki si è dato senza volerlo la zappa sui piedi nel suo opuscolo Programma di pace , apparso nel 1917 e ristampato nel 1924.
Ma, forse, anche questo opuscolo di Trotzki è invecchiato e, per una ragione qualsiasi, non risponde più alle idee odierne del suo autore? Prendiamo i lavori più recenti di Trotzki, posteriori alla vittoria della rivoluzione proletaria in un solo paese , in Russia. Prendiamo, per esempio, il Poscritto di Trotzki alla nuova edizione dell’opuscolo: Programma di pace , scritto nel 1922. Ecco quanto egli scrive in questo Poscritto .
«L’affermazione più volte ripetuta nel Programma di pace , che la rivoluzione proletaria non può giungere vittoriosamente a compimento nell’ambito nazionale, sembrerà forse, a certi lettori, smentita dall’esperienza quasi quinquennale della nostra Repubblica sovietica. Ma una simile conclusione sarebbe infondata. Il fatto che lo Stato operaio abbia resistito contro il mondo intero in un solo paese, e per giunta arretrato, dimostra la potenza gigantesca del proletariato che in altri paesi, più progrediti, più civili, sarà capace di compiere dei veri prodigi. Ma pur avendo resistito dal punto di vista politico e militare come Stato, non siamo arrivati alla creazione di una società socialista, anzi, non ci siamo neppure avvicinati ad essa... Finché negli altri Stati europei sarà al potere la borghesia, saremo costretti, nella lotta contro l’isolamento economico, a cercare degli accordi col mondo capitalista; si può in pari tempo affermare con certezza che questi accordi, nel migliore dei casi, possono aiutarci a risanare queste o quelle piaghe economiche, a fare questo o quel passo avanti, ma che un’effettiva ascesa della economia socialista in Russia sarà possibile soltanto dopo la vittoria (il corsivo è mio. G. St. ) del proletariato nei principali paesi d’Europa».
Così si esprime Trotzki, offendendo in modo manifesto la realtà e ostinandosi a voler salvare la «rivoluzione permanente» dal crollo definitivo.
Risulta quindi che, per quanto si dica e si faccia, non solo «non siamo arrivati» alla creazione di una società socialista, ma non ci siamo «neppure avvicinati ad essa». Qualcuno, a quanto pare, sperava negli «accordi col mondo capitalista», ma anche da questi accordi, a quanto pare, non si ricava nulla, poiché, per quanto si dica e si faccia, «un’effettiva ascesa dell’economia socialista» non la si otterrà, finché il proletariato non avrà vinto «nei principali paesi d’Europa».
Ora, siccome la vittoria in Occidente non è stata ancora raggiunta, alla rivoluzione russa non resta che «scegliere»: o marcire alle midolla, o degenerare in Stato borghese.
Non per nulla Trotzki parla già da due anni di «degenerazione» del nostro partito.
Non per nulla Trotzki pronosticava l’anno scorso la «rovina» del nostro paese.
Come mettere d’accordo questa strana teoria con la teoria di Lenin della «vittoria del socialismo in un solo paese»?
Come mettere d’accordo questa strana «prospettiva» con la prospettiva di Lenin, secondo la quale la nuova politica economica ci permetterà di «gettare le basi dell’economia socialista»?
Come mettere d’accordo, per esempio, questa disperazione «permanente», con le seguenti parole di Lenin:
«Il socialismo già ora non è più questione di un avvenire lontano, non è più un’immagine astratta qualsiasi, una specie di icona. Quanto alle icone, ci atteniamo alla nostra vecchia opinione, molto cattiva. Abbiamo introdotto il socialismo nella vita di ogni giorno, e di ciò dobbiamo renderci conto. Ecco qual’è il compito dei nostri giorni, ecco qual’è il compito della nostra epoca. Permettetemi di terminare esprimendo la sicurezza che, per quanto difficile sia questo compito e per quanto nuovo esso sia rispetto ai nostri compiti precedenti, e per quanto numerose siano le difficoltà ch’esso ci procuri, noi, tutti insieme, non domani, ma in qualche anno, tutti insieme adempiremo questo compito a qualunque costo, in modo che la Russia della Nep diventerà la Russia socialista». («Discorso all’Assemblea plenaria del Soviet di Mosca il 20 novembre 1922», vol. XXVII, p. 366).
Come mettere d’accordo questa «permanente» assenza di prospettive in Trotzki, per sempio, con le seguenti parole di Lenin:
«In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l’alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall’alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurne a termine la costruzione». («Della cooperazione», ib., p. 392).
È chiaro che non v’è e non può esservi accordo. La «rivoluzione permanente» di Trotzki è la negazione della teoria leninista della rivoluzione proletaria e, inversamente, la teoria leninista della rivoluzione proletaria è la negazione della teoria della «rivoluzione permanente».
La mancanza di fiducia nelle forze e nelle capacità della nostra rivoluzione, la mancanza di fiducia nelle forze e nelle capacità del proletariato russo: tale è il sostrato della «rivoluzione permanente».
Fino ad ora si era soliti mettere in rilievo un solo lato della teoria della «rivoluzione permanente»: la sfiducia nelle possibilità rivoluzionarie del movimento contadino. Oggi, per essere nel giusto, a questo lato bisogna aggiungere l’altro : la sfiducia nelle forze e nelle capacità del proletariato della Russia.
In che cosa differisce la teoria di Trotzki dalla solita teoria menscevica, secondo la quale la vittoria del socialismo in un solo paese, e per giunta arretrato, è impossibile se non è preceduta dalla vittoria della rivoluzione proletaria «nei principali paesi dell’Europa occidentale»?
In nulla, sostanzialmente.
Nessun dubbio è possibile. La teoria della «rivoluzione permanente» di Trotzki è una varietà del menscevismo.
Da qualche tempo si danno da fare nella nostra stampa dei diplomatici marci, che si sforzano di spacciare la teoria della «rivoluzione permanente» come qualcosa di compatibile con il leninismo. Certo, essi dicono, questa teoria ha dimostrato di non servire a niente nel 1905. Ma l’errore di Trotzki consiste nel fatto di essere allora corso avanti, cercando di applicare alla situazione del 1905 ciò che in quel periodo non poteva trovare applicazione. In seguito però, essi aggiungono, per esempio nell’ottobre 1917, quando la rivoluzione era giunta a piena maturità, la teoria di Trotzki mostrò di essere completamente a posto. Non è difficile indovinare che di questi diplomatici il principale è Radek. Vogliate ascoltare:
«La guerra ha aperto un abisso fra i contadini, che aspirano alla conquista della terra e alla pace, e i partiti piccolo-borghesi; la guerra ha spinto i contadini sotto la direzione della classe operaia e della sua avanguardia, il partito bolscevico. È diventata possibile, non già la dittatura della classe operaia e dei contadini, bensì la dittatura della classe operaia poggiante sui contadini. Ciò che Rosa Luxemburg e Trotzki avevano sostenuto nel 1905 contro Lenin (cioè la “rivoluzione permanente”. G. St. ) è apparso, di fatto, come la seconda tappa del processo storico».
Tante parole, altrettante falsificazioni.
Non è vero che durante la guerra «è diventata possibile, non già la dittatura della classe operaia e dei contadini, bensì la dittatura della classe operaia poggiante sui contadini». In realtà, la Rivoluzione del febbraio 1917 fu la realizzazione della dittatura del proletariato e dei contadini, intrecciata in modo originale con la dittatura della borghesia.
Non è vero che la teoria della «rivoluzione permanente», della quale Radek per vergogna non parla, sia stata formulata nel 1905 da Rosa Luxemburg e da Trotzki. In realtà, questa teoria è stata formulata da Parvus e da Trotzki. Oggi, dopo dieci mesi, Radek si corregge e ritiene necessario prendersela con Parvus per la «rivoluzione permanente». Ma giustizia esige che Radek se la prenda anche con il collega di Parvus, con Trotzki.
Non è vero che la «rivoluzione permanente», confutata dalla rivoluzione del 1905, si sia dimostrata giusta «nella seconda tappa del processo storico», ossia durante la Rivoluzione d’Ottobre. Tutto il corso della Rivoluzione d’Ottobre, tutto il suo sviluppo hanno dimostrato e dimostrano l’inconsistenza totale della teoria della «rivoluzione permanente», la sua incompatibilità totale con i principi del leninismo.
I discorsi melliflui e la diplomazia marcia non riescono a colmare l’abisso che separa la teoria della «rivoluzione permanente» dal leninismo.

III - Di alcune particolarità della tattica dei bolscevichi nel periodo di preparazione dell’Ottobre
 
Per comprendere la tattica dei bolscevichi nel periodo di preparazione dell’Ottobre è necessario spiegarsi almeno alcune particolarità estremamente importanti di questa tattica. Ciò è tanto più necessario in quanto molti opuscoli sulla tattica dei bolscevichi eludono sovente proprio queste particolarità.
Quali sono queste particolarità?
Prima particolarità . A sentire Trotzki, si potrebbe credere che nella storia della preparazione dell’Ottobre esistano in tutto due periodi, il periodo delle ricognizioni e il periodo dell’insurrezione, e che il resto ce lo abbia messo il diavolo. Che cosa fu la manifestazione dell’aprile 1917? «La manifestazione di aprile, che andò “più a sinistra” del necessario, fu una ricognizione di esploratori per sondare lo stato d’animo delle masse e i rapporti tra esse e la maggioranza dei Soviet». E cosa fu la manifestazione del luglio 1917? Secondo Trotzki, «in fondo, anche questa volta tutto si ridusse a una nuova e più ampia ricognizione, in una tappa del movimento nuova e più alta». È superfluo dire che la manifestazione del giugno 1917, organizzata per insistenza del nostro partito, a maggior ragione dev’essere considerata, secondo il parere di Trotzki, una «ricognizione».
Ne deriva dunque che, già nel marzo 1917, i bolscevichi possedevano un esercito politico di operai e di contadini e che, se non lo fecero entrare in azione né in aprile, né in giugno, né in luglio, per scatenare l’insurrezione, limitandosi a fare delle «ricognizioni», è perché e solo perché «queste ricognizioni» non avevano ancora dato «indicazioni» favorevoli.
È superfluo dire che questa concezione semplicista della tattica politica del nostro partito non è altro che una confusione della comune tattica militare con la tattica rivoluzionaria dei bolscevichi.
In realtà, tutte quelle manifestazioni erano anzitutto il risultato di uno slancio spontaneo delle masse, il risultato dell’indignazione delle masse contro la guerra, indignazione che scoppiava in manifestazioni di strada.
In realtà, la funzione del partito consistette allora nel dare all’azione delle masse, che sorgeva in modo spontaneo, una organizzazione e una direzione rispondenti alle parole d’ordine rivoluzionarie dei bolscevichi.
In realtà, i bolscevichi non disponevano e non potevano disporre nel marzo 1917 di un esercito politico già pronto. I bolscevichi vennero costituendo quest’esercito (e questo lavoro venne a termine verso l’ottobre 1917) soltanto nel corso della lotta e dei conflitti di classe dall’aprile all’ottobre 1917, lo vennero costituendo attraverso la manifestazione di aprile, attraverso le dimostrazioni di giugno e di luglio, attraverso le elezioni alle Dume rionali e urbane, attraverso la lotta contro Kornilov e la conquista dei Soviet. Un esercito politico non è un esercito di soldati. Mentre il comando militare entra in guerra con un esercito già pronto, il partito deve costituire il proprio esercito nel corso della lotta stessa, nel corso dei conflitti di classe, a mano a mano che le masse stesse si rendono conto, per propria esperienza, della giustezza delle parole d’ordine del partito, della giustezza della sua politica.
È evidente che ognuna di quelle dimostrazioni gettava pure una certa luce sui rapporti di forza che non si percepivano a prima vista ed era una specie di ricognizione; ma la ricognizione non era il motivo della dimostrazione, ne era piuttosto il risultato naturale.
Analizzando gli avvenimenti anteriori all’insurrezione di ottobre e confrontandoli con quelli di aprile-luglio, Lenin dice:
«Oggi le cose non stanno più come prima del 20-21 aprile, del 9 giugno, del 3 luglio, perché vi era allora un’effervescenza spontanea che noi, partito, o non percepivamo (20 aprile), o frenavamo e indirizzavamo verso una dimostrazione pacifica (9 giugno e 3 luglio). Sapevamo perfettamente, in quei momenti, che i Soviet non erano ancora nostri, che i contadini credevano ancora nel metodo Liber-Dan-Cernov e non nel metodo bolscevico (l’insurrezione), che noi non potevamo perciò avere la maggioranza del popolo e che per conseguenza l’insurrezione sarebbe stata prematura». («Lettera ai compagni», vol. XXI, p. 345).
È chiaro che con la sola «ricognizione» non si va lontano.
Si trattava, evidentemente, non di «ricognizione», ma del fatto:
1) che il partito, per tutto il periodo della preparazione dell’Ottobre, si appoggiò costantemente, nella sua lotta, sullo slancio spontaneo del movimento rivoluzionario delle masse;
2) che, appoggiandosi su questo slancio spontaneo, esso si assicurava la direzione integrale del movimento;
3) che siffatta direzione del movimento gli agevolò la formazione di un esercito politico di massa per l’insurrezione d’Ottobre;
4) che siffatta politica non poteva non avere come conseguenza che tutta la preparazione dell’Ottobre si svolgesse sotto la direzione di un solo partito, del partito dei bolscevichi;
5) che sì fatta preparazione dell’Ottobre, a sua volta, ebbe come conseguenza che il potere si venne a trovare, in seguito all’insurrezione d’Ottobre, nelle mani di un solo partito, del partito dei bolscevichi.
Quindi: direzione integrale da parte di un solo partito, del partito dei comunisti, come elemento fondamentale della preparazione dell’Ottobre: tale è uno dei tratti caratteristici della Rivoluzione d’Ottobre, tale è la prima particolarità della tattica dei bolscevichi nel periodo di preparazione dell’Ottobre.
Non occorre dimostrare che, senza questa particolarità della tattica dei bolscevichi, la vittoria della dittatura del proletariato, nelle condizioni dell’imperialismo, sarebbe stata impossibile.
In questo la Rivoluzione d’Ottobre si distingue vantaggiosamente dalla rivoluzione del 1871 in Francia, dove la direzione della rivoluzione fu divisa tra due partiti, nessuno dei quali poteva essere chiamato comunista.
Seconda particolarità. La preparazione dell’Ottobre si svolse, dunque, sotto la direzione di un solo partito, il partito dei bolscevichi. Ma come esercitò il partito questa direzione, quale fu la sua linea? Questa direzione seguì la linea dell’isolamento dei partiti conciliatori , considerati come i gruppi più pericolosi nel periodo dello scatenamento della rivoluzione, la linea dell’isolamento dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi.
In che cosa consiste la norma strategica fondamentale del leninismo? Consiste nel riconoscere:
1) che nel periodo in cui si approssima il momento dello scoppio della rivoluzione, i partiti conciliatori costituiscono il più pericoloso sostegno sociale dei nemici della rivoluzione;
2) che è impossibile abbattere il nemico (lo zarismo o la borghesia) senza aver isolato questi partiti;
3) che, di conseguenza, nel periodo preparatorio della rivoluzione i colpi principali devono tendere a isolare questi partiti, a strappare loro le grandi masse dei lavoratori.
Nel periodo della lotta contro lo zarismo, nel periodo della preparazione della rivoluzione democratica borghese (1905-1916), il più pericoloso sostegno sociale dello zarismo era il partito monarchico liberale, il partito dei cadetti. Perché? Perché era un partito conciliatore, il partito della conciliazione fra lo zarismo e la maggioranza del popolo, cioè i contadini nel loro insieme. Era dunque naturale che allora il nostro partito dirigesse i suoi colpi principali contro i cadetti, perché, se non si isolavano i cadetti, non si poteva contare sulla rottura tra i contadini e lo zarismo, e se non si assicurava questa rottura, non si poteva contare sulla vittoria della rivoluzione. Molti non comprendevano, allora, questa particolarità della strategia dei bolscevichi e accusavano i bolscevichi di essere troppo «mangiacadetti», affermando che per i bolscevichi la lotta contro i cadetti «faceva passare in seconda linea» la lotta contro il nemico principale, contro lo zarismo. Ma quelle accuse, prive com’erano di fondamento, rivelavano un’assoluta incomprensione della strategia bolscevica, che esigeva l’isolamento del partito conciliatore allo scopo di rendere più facile, di rendere più vicina la vittoria sul nemico principale.
Non occorre dimostrare che, senza quella strategia, l’egemonia del proletariato nella rivoluzione democratica borghese sarebbe stata impossibile.
Nel periodo di preparazione dell’Ottobre il centro di gravità delle forze in lotta s’era spostato su di un nuovo terreno. Non c’era più zar. Il partito cadetto, da forza conciliatrice, si era convertito in forza di governo, forza dominante dell’imperialismo. La lotta non si svolgeva più tra lo zarismo e il popolo, ma tra la borghesia e il proletariato. In quel periodo il più pericoloso sostegno sociale dell’imperialismo erano i partiti democratici piccolo-borghesi, i partiti dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi. Perché? Perché questi partiti erano allora i partiti conciliatori, i partiti della conciliazione tra l’imperialismo e le masse lavoratrici. Era dunque naturale che i colpi principali dei bolscevichi fossero diretti, allora, contro questi partiti, poiché senza l’isolamento di questi partiti non si poteva contare sulla rottura tra le masse lavoratrici e l’imperialismo, e, se non si assicurava questa rottura, non si poteva contare sulla vittoria della rivoluzione sovietica. Molti non comprendevano, allora, questa particolarità della tattica bolscevica, accusavano i bolscevichi di nutrire un «odio eccessivo» contro i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, e di «dimenticare» lo scopo principale. Ma tutto il periodo di preparazione dell’Ottobre dimostra chiaramente che soltanto con quella tattica i bolscevichi poterono assicurare la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre.
Il tratto caratteristico di questo periodo è che lo spirito delle masse lavoratrici contadine si fa più rivoluzionario, che esse perdono le loro illusioni riguardo ai socialisti-rivoluzionari e ai menscevichi, abbandonano questi partiti e operano una svolta, raggruppandosi direttamente attorno al proletariato, sola forza rivoluzionaria fino all’ultimo, sola forza capace di dare al paese la pace. La storia di questo periodo è la storia della lotta tra i socialisti-rivoluzionari e i menscevìchi da una parte, e i bolscevichi dall’altra, per le masse contadine lavoratrici, per la conquista di queste masse. La sorte di questa lotta fu decisa dal periodo della coalizione, dal periodo del governo di Kerenski, dal rifiuto dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi di confiscare la terra dei grandi proprietari fondiari, dalla lotta dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi per continuare la guerra, dall’offensiva di giugno al fronte, dalla pena di morte per i soldati, dalla rivolta di Kornilov. E fu decisa esclusivamente a favore della strategia bolscevica. Infatti, senza aver isolato i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi era impossibile rovesciare il governo degli imperialisti, e senza aver rovesciato quel governo era impossibile uscire dalla guerra. La politica di isolamento dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi dimostrò di essere la sola politica giusta.
Quindi: isolamento dei partiti menscevico e dei socialista-rivoluzionario come linea direttiva fondamentale nella preparazione dell’Ottobre: tale è la seconda particolarità della tattica dei bolscevichi.
Non occorre dimostrare che, senza questa particolarità della tattica dei bolscevichi, l’alleanza della classe operaia e delle masse lavoratrici contadine sarebbe restata in aria.
È sintomatico che Trotzki, nelle sue Lezioni dell’Ottobre , non dica nulla, o quasi nulla, di questa particolarità della tattica bolscevica.
Terza particolarità . La direzione della preparazione dell’Ottobre da parte del partito seguì dunque la linea dell’isolamento dei partiti socialista-rivoluzionario e dei menscevico, la linea del distacco delle grandi masse operaie e contadine da questi partiti. Ma come, concretamente, in quale forma, con quali parole d’ordine il partito ottenne questo isolamento? L’ottenne col movimento rivoluzionario delle masse per il potere dei Soviet, con la parola d’ordine: «Tutto il potere ai Soviet!», con la lotta per la trasformazione dei Soviet da organi di mobilitazione delle masse in organi dell’insurrezione, in organi di potere, in apparato del nuovo Stato proletario.
Perché i bolscevichi si aggrapparono precisamente ai Soviet, in cui videro la leva organizzativa principale, che rendeva più facile l’isolamento dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, che faceva progredire la causa della rivoluzione proletaria ed era destinata a portare le masse di milioni e milioni di lavoratori alla vittoria della dittatura del proletariato?
Che cosa sono i Soviet?
«I Soviet, - diceva Lenin già nel settembre 1917, - costituiscono un nuovo apparato statale il quale in primo luogo crea la forza armata degli operai e dei contadini, non staccata dal popolo come il vecchio esercito permanente, ma strettamente legata al popolo, incomparabilmente più potente del vecchio esercito dal punto di vista militare e insostituibile dal punto di vista rivoluzionario. In secondo luogo, questo apparato stabilisce con le masse, la maggioranza del popolo, un legame così stretto, così facilmente controllabile e rinnovabile che si cercherebbe invano qualcosa di simile nel vecchio apparato statale. In terzo luogo, questo apparato grazie al fatto che i suoi funzionari sono eleggibili e revocabili, secondo la volontà popolare e senza formalità burocratiche, è infinitamente più democratico di tutti i precedenti. In quarto luogo, esso garantisce un solido legame con le professioni più diverse, facilitando così l’applicazione delle riforme più varie e più profonde senza alcuna burocrazia. In quinto, esso è la forma d’organizzazione dell’avanguardia degli operai, dei contadini - cioè della parte più cosciente, più energica, più progressiva delle classi oppresse – e permette perciò a tale avanguardia di elevare, di istruire, di educare e di trascinare nella propria scia tutta la massa gigantesca di queste classi, che sino ad oggi sono rimaste completamente fuori della vita politica e della storia. In sesto luogo esso permette di unire i vantaggi del parlamentarismo con quelli della democrazia diretta ed immediata, cioè di riunire nella persona dei rappresentanti eletti dal popolo il potere legislativo e il potere esecutivo . In confronto al parlamentarismo borghese, questo è un progresso di importanza storica mondiale nello sviluppo della democrazia... Se la forza creatrice popolare delle classi rivoluzionarie non avesse generato i Soviet, la rivoluzione proletaria in Russia sarebbe una causa disperata, perché il proletariato non potrebbe conservare il potere con il vecchio apparato e non si può creare di colpo un nuovo apparato». («Potranno i bolscevichi conservare il potere statale?», vol. XXI, pp. 258-259).
Ecco perché i bolscevichi si aggrapparono ai Soviet, in cui videro il principale anello organizzativo, che rendeva più facile l’organizzazione della Rivoluzione d’Ottobre e la creazione di un nuovo e potente apparato, l’apparato dello Stato proletario.
La parola d’ordine: «Tutto il potere ai Soviet!», dal punto di vista del suo sviluppo intrinseco, ha attraversato due fasi: la prima (fino alla sconfitta dei bolscevichi nel luglio, durante il periodo del dualismo del potere) e la seconda (dopo la sconfitta della rivolta di Kornilov).
Durante la prima fase, questa parola d’ordine significava: rottura del blocco dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari con i cadetti, formazione di un governo sovietico composto di menscevichi e di socialisti rivoluzionari (perché i Soviet erano allora socialisti-rivoluzionari e menscevichi), libertà di agitazione per l’opposizione (ossia per i bolscevichi) e libertà di lotta dei partiti in seno ai Soviet, contando i bolscevichi di riuscire, con questa lotta, a conquistare i Soviet e a modificare la composizione del governo sovietico attraverso uno sviluppo pacifico della rivoluzione. Questo piano, naturalmente, non significava la dittatura del proletariato, ma esso facilitava, senza dubbio, la preparazione delle condizioni indispensabili per assicurare la dittatura stessa, poiché, spingendo al potere i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari e costringendoli a mettere in pratica la loro piattaforma controrivoluzionaria, si affrettava la rivelazione della vera natura di questi partiti, si affrettava il loro isolamento, il loro distacco dalle masse. La sconfitta subita dai bolscevichi nel luglio arrestò, però, questo sviluppo, diede il sopravvento alla controrivoluzione dei generali e dei cadetti e gettò nelle sue braccia i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi. Questa circostanza costrinse il partito a ritirare momentaneamente la parola d’ordine: «Tutto il potere ai Soviet!», per lanciarla di nuovo in un nuovo periodo ascendente della rivoluzione.
La disfatta dell’insurrezione di Kornilov aprì la seconda fase. La parola d’ordine: «Tutto il potere ai Soviet!» fu di nuovo attuale. Ma allora questa parola d’ordine non aveva più lo stesso significato che nella prima fase. Il suo contenuto era cambiato in modo radicale. Ora questa parola d’ordine significava: rottura completa con l’imperialismo e passaggio del potere ai bolscevichi, perché i Soviet erano già bolscevichi nella loro maggioranza. Ora questa parola d’ordine significava che la rivoluzione metteva capo direttamente, mediante l’insurrezione, alla dittatura del proletariato. Inoltre, questa parola d’ordine significava ora l’organizzazione della dittatura del proletariato, la sua costituzione in Stato.
L’inapprezzabile valore della tattica della trasformazione dei Soviet in organi del potere statale consisteva nel fatto che essa strappava all’imperialismo masse di milioni di lavoratori, smascherava i partiti dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari come strumenti dell’imperialismo e conduceva queste masse, per così dire, per via diretta, alla dittatura del proletariato.
Quindi: politica di trasformazione dei Soviet in organi del potere statale, come condizione essenziale per l’isolamento dei partiti conciliatori e per la vittoria della dittatura del proletariato, tale è la terza particolarità della tattica dei bolscevichi nel periodo della preparazione dell’Ottobre.
Quarta particolarità . Il quadro sarebbe incompleto, se non ci domandassimo come e perché i bolscevichi riuscirono a fare delle loro parole d’ordine di partito le parole d’ordine di una massa di milioni di uomini, le parole d’ordine che spinsero avanti la rivoluzione, se non ci domandassimo come e perché i bolscevichi riuscirono a convincere della giustezza della loro politica non soltanto l’avanguardia e non soltanto la maggioranza della classe operaia, ma anche la maggioranza del popolo.
La verità è che, per la vittoria della rivoluzione, se questa rivoluzione è veramente popolare e abbraccia masse di milioni dì uomini, non basta che il partito abbia delle parole d’ordine giuste. Per la vittoria della rivoluzione si richiede ancora un’altra condizione indispensabile: si richiede cioè che le masse stesse, cioè, si convincano, per propria esperienza, che queste parole d’ordine sono giuste. Soltanto allora le parole d’ordine del partito diventano parole d’ordine delle masse stesse. Soltanto allora la rivoluzione diventa effettivamente una rivoluzione popolare. Una delle particolarità della tattica dei bolscevichi nel periodo di preparazione dell’Ottobre, è che essa ha saputo determinare giustamente le vie e le svolte che conducono le masse in modo del tutto naturale a far proprie le parole d’ordine del partito, che le portano, per così dire, alla soglia della rivoluzione, aiutandole in tal modo a sentire, a controllare, a saggiare con la propria esperienza la giustezza di quelle parole d’ordine. In altre parole, una delle particolarità della tattica dei bolscevichi consiste nel fatto che essa non confonde la direzione del partito con la direzione delle masse, che essa vede chiaramente la differenza tra il primo e il secondo genere di direzione, che essa è, quindi, la scienza della direzione non soltanto del partito, ma anche di masse di milioni di lavoratori.
Esempio evidente del modo come si manifesta questa particolarità della tattica bolscevica è l’esperienza della convocazione e dello scioglimento dell’Assemblea costituente.
È noto che i bolscevichi lanciarono la parola d’ordine della Repubblica dei Soviet fin dall’aprile 1917. È noto che l’Assemblea costituente è un parlamento borghese, che si trova in contraddizione radicale coi principi della Repubblica dei Soviet. Come poté accadere che i bolscevichi, mentre marciavano verso la Repubblica dei Soviet, esigessero in pari tempo dal Governo provvisorio la convocazione immediata dell’Assemblea costituente? Come poté accadere che i bolscevichi non soltanto partecipassero alle elezioni, ma convocassero essi stessi l’Assemblea costituente? Come poté accadere che i bolscevichi ammettessero, un mese prima dell’insurrezione, nel momento del passaggio dal vecchio al nuovo regime, la possibilità di combinare temporaneamente la Repubblica dei Soviet con l’Assemblea costituente?
Ciò «accadde» perché:
1) l’idea dell’Assemblea costituente era una delle idee più popolari fra le grandi masse della popolazione;
2) la parola d’ordine della convocazione immediata dell’Assemblea costituente rendeva più facile smascherare la natura controrivoluzionaria del Governo provvisorio;
3) per discreditare agli occhi delle masse popolari l’idea dell’Assemblea costituente, era necessario portare queste masse sino alle porte dell’Assemblea costituente con le loro rivendicazioni della terra, della pace, del potere dei Soviet, mettendole così di fronte a un’Assemblea costituente reale e vivente;
4) solo così si potevano aiutare le masse a convincersi, per propria esperienza, del carattere controrivoluzionario dell’Assemblea costituente e della necessità di scioglierla;
5) tutto ciò, naturalmente, implicava la possibilità di ammettere una combinazione temporanea della Repubblica dei Soviet e dell’Assemblea costituente stessa;
6) tale combinazione, se si verificava alla condizione che tutto il potere passasse ai Soviet, non poteva significare altro che la sottomissione dell’Assemblea costituente ai Soviet, la sua trasformazione in una appendice dei Soviet, la sua estinzione senza sofferenze.
Non occorre dimostrare che, senza questa politica dei bolscevichi, lo scioglimento dell’Assemblea costituente non sarebbe andato così liscio e l’attività ulteriore dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi con la parola d’ordine: «Tutto il potere all’Assemblea costituente!» non sarebbe fallita in modo così clamoroso.
«Noi abbiamo partecipato, - dice Lenin, - alle elezioni del parlamento borghese della Russia, dell’Assemblea costituente, nel settembre-novembre 1917. È stata giusta o non è stata giusta la nostra tattica?... Non avevamo noi, bolscevichi russi, nel settembre-novembre 1917, più di tutti i comunisti d’occidente, il diritto di ritenere il parlamentarismo politicamente superato in Russia? Naturalmente, l’avevamo, poiché ciò che conta non è se i parlamenti borghesi esistano da poco o da molto tempo, ma se e fino a qual punto le grandi masse lavoratrici siano pronte (ideologicamente, politicamente, praticamente) ad accettare il regime dei Soviet e a sciogliere con la forza il parlamento democratico borghese (o a tollerarne lo scioglimento). Che in Russia, nel settembre-novembre 1917, la classe operaia delle città, i soldati e i contadini, in seguito a una serie di condizioni speciali, fossero straordinariamente preparati ad accogliere il regime sovietico e a sciogliere il più democratico dei parlamenti borghesi, è un fatto storico assolutamente incontestabile e pienamente accertato. E tuttavia, i bolscevichi non hanno boicottato l’Assemblea costituente, ma hanno partecipato alle elezioni, e prima e dopo la conquista del potere politico da parte del proletariato». («La malattia infantile», vol. XXV, pp. 201-202).
Perché dunque non hanno boicottato l’Assemblea costituente? Perché, dice Lenin:
«Persino alcune settimane prima della vittoria della Repubblica dei Soviet e persino dopo questa vittoria, la partecipazione a un parlamento democratico borghese, non solo non nuoce al proletariato rivoluzionario, ma gli rende più facile dimostrare alle masse arretrate perché tali parlamenti meritano di essere sciolti, facilita la riuscista del loro scioglimento, facilita il “superamento politico” del parlamentarismo borghese» (Ivi).
È sintomatico che Trotzki non comprenda questa particolarità della tattica bolscevica e sbuffi contro la «teoria» della combinazione dell’Assemblea costituente con i Soviet, chiamandola una teoria alla Hilferding.
Egli non comprende che ammettere, in legame con la convocazione dell’Assemblea costituente, una simile combinazione, mentre si lancia la parola d’ordine dell’insurrezione ed è probabile la vittoria dei Soviet, è la sola tattica rivoluzionaria, è una tattica che non ha nulla a che fare con la tattica di Hilferding, la quale tende a trasformare i Soviet in una appendice dell’Assemblea costituente. Egli non comprende che l’errore commesso da alcuni compagni su questa questione non autorizza a denigrare la posizione perfettamente giusta di Lenin e del partito circa la possibilità di una «forma combinata di Stato» in determinate condizioni. (Cfr.: «Lettera ai compagni», vol. XXI, p. 338).
Egli non comprende che, senza la politica originale dei bolscevichi nei confronti dell’Assemblea costituente, i bolscevichi non sarebbero riusciti a conquistare alla loro influenza masse popolari di milioni di uomini e che, se non avessero conquistato queste masse, non avrebbero potuto trasformare l’insurrezione di Ottobre in una profonda rivoluzione popolare.
È curioso che Trotzki sbuffi anche contro le parole «popolo», «democrazia rivoluzionaria», ecc. che ricorrono negli articoli dei bolscevichi, considerandole sconvenienti per un marxista.
Trotzki dimentica evidentemente che Lenin, questo autentico marxista, anche nel settembre 1917, un mese prima della vittoria della dittatura, scriveva della «necessità del passaggio immediato di tutto il potere nelle mani della democrazia rivoluzionaria diretta dal proletariato rivoluzionario ». («Marxismo e insurrezione», ibid., p. 198).
Trotzki dimentica, evidentemente, che Lenin, questo autentico marxista, citando la nota lettera di Marx a Kugelmann (aprile 1871), in cui si dice che la distruzione dell’apparato burocratico e militare dello Stato è condizione pregiudiziale di ogni rivoluzione veramente popolare sul continente, scrive, nero sul bianco, le seguenti righe:
«Merita un’attenzione particolare l’osservazione straordinariamente profonda di Marx che la distruzione della macchina burocratica e militare dello Stato è “la condizione preliminare di ogni rivoluzione veramente popolare ”. Questo concetto di rivoluzione “popolare” sembra strano in bocca a Marx, e i plekhanovisti e i menscevichi russi, questi seguaci di Struve che vogliono farsi passare per marxisti, potrebbero dire che quest’espressione di Marx è un “lapsus”. Essi hanno deformato il marxismo in modo così piattamente liberale, che nulla esiste per loro all’infuori dell’antitesi: rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria, e anche questa antitesi è da essi concepita nel modo più scolastico che si possa immaginare... Nell’Europa del 1871, il proletariato non formava la maggioranza del popolo in nessun paese del continente. Una rivoluzione poteva essere “popolare”, mettere in movimento la maggioranza effettiva soltanto a condizione di abbracciare il proletariato e i contadini. Queste due classi costituivano allora il “popolo”. Queste due classi sono unite dal fatto che “la macchina burocratica e militare dello Stato” le opprime, le schiaccia, le sfrutta. Spezzare questa macchina, demolirla , ecco il vero interesse del “popolo”, della maggioranza del popolo, degli operai e della maggioranza dei contadini, ecco la “condizione preliminare” della libera alleanza dei contadini poveri con i proletari. Senza questa alleanza non è possibile una democrazia salda, non è possibile una trasformazione socialista». («Stato e rivoluzione», vol. XXI, pp. 395-396).
Queste parole di Lenin non è permesso dimenticarle.
Quindi: capacità di convincere le masse, per loro propria esperienza, che le parole d’ordine del partito sono giuste, portando queste masse a occupare delle posizioni rivoluzionarie, come condizione essenziale per guadagnare all’influenza del partito milioni di lavoratori, tale è la quarta particolarità della tattica dei bolscevichi nel periodo di preparazione dell’Ottobre.
Credo che quanto ho detto sia del tutto sufficiente per mettere in luce i tratti caratteristici di questa tattica.

IV - La Rivoluzione d’Ottobre inizio e premessa della rivoluzione mondiale
 
Non c’è dubbio che la teoria così diffusa della vittoria simultanea della rivoluzione nei principali paesi d’Europa, la teoria dell’impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese, ha dimostrato di essere una teoria artificiosa, non vitale. I sette anni di storia della rivoluzione proletaria in Russia non parlano a favore dì questa teoria, ma contro di essa. Questa teoria è inaccettabile, non soltanto come schema di sviluppo della rivoluzione mondiale perché contraddice fatti evidenti; essa e ancora più inaccettabile come parola d’ordine, perché vincola, invece di stimolare, l’iniziativa dei singoli paesi che, in virtù di determinate condizioni storiche, avrebbero la possibilità di spezzare da soli il fronte del capitale, perché non stimola a sferzare un’offensiva attiva contro il capitale nei singoli paesi, ma ad attendere passivamente il momento del «crollo generale», perché non coltiva nei proletari dei singoli paesi uno stato d’animo decisamente rivoluzionario, bensì il dubbio amletico: «E se gli altri non ci aiutassero?». Lenin ha assolutamente ragione quando dice che la vittoria del proletariato in un solo paese è «la regola», e che «la rivoluzione simultanea in parecchi paesi» non può essere che «una rara eccezione». («La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautzky», vol. XXIII, p. 354).
Ma la teoria leninista della rivoluzione non si limita, com’è noto, a questo solo aspetto della questione. Essa è in pari tempo la teoria dello sviluppo della rivoluzione mondiale. (Vedi sopra: «Dei principi del leninismo». G. St. ). La vittoria del socialismo in un solo paese non è fine a se stessa. La rivoluzione vittoriosa in un paese deve considerarsi non come un’entità a sé stante, ma come un contributo, come mezzo per affrettare la vittoria del proletariato in tutti i paesi. Poiché la vittoria nella rivoluzione in un solo paese, in Russia nel nostro caso, non è soltanto il risultato dello sviluppo ineguale e della disgregazione progressiva dell’imperialismo. Essa è in pari tempo l’inizio e la premessa della rivoluzione mondiale.
Senza dubbio, le vie di sviluppo della rivoluzione mondiale non sono così piane come si sarebbe potuto credere prima della vittoria della rivoluzione in un solo paese, prima dell’apparizione dell’imperialismo sviluppato, che è la «vigilia della rivoluzione socialista». È apparso, infatti, un nuovo fattore: la legge dello sviluppo ineguale dei Paesi capitalistici, legge che agisce nelle condizioni dell’imperialismo sviluppato, legge che afferma l’inevitabilità dei conflitti militari, l’indebolimento generale del fronte mondiale del capitale e la possibilità della vittoria del socialismo in paesi singoli. È apparso, infatti, un nuovo fattore: l’immenso paese dei Soviet, situato tra l’Occidente e l’Oriente, tra il centro dello sfruttamento finanziario del mondo e l’arena dell’oppressione coloniale, e questo paese, per il solo fatto che esiste, stimola la rivoluzione nel mondo intero.
Sono questi dei fattori (e non parlo di altri, meno importanti) che non possono essere trascurati nello studio delle vie di sviluppo della rivoluzione mondiale.
Prima si era soliti pensare che la rivoluzione si sarebbe sviluppata attraverso una «maturazione» regolare degli elementi del socialismo, incominciando dai paesi più evoluti, dai paesi «progrediti». Oggi questa concezione esige delle modificazioni sostanziali.
«Il sistema delle relazioni internazionali - dice Lenin – ha preso oggi una forma tale che in Europa uno degli Stati - la Germania - è asservito agli Stati vincitori. Inoltre parecchi Stati tra i più vecchi dell’Occidente, avendo vinto la guerra, hanno ricevuto la possibilità di sfruttare la vittoria per fare alle loro classi oppresse diverse concessioni che, pur essendo poco importanti, ritardano il movimento rivoluzionario e creano una sembianza di “pace sociale”.
Nello stesso tempo una serie di paesi: Oriente, India, Cina, ecc., a causa, appunto, dell’ultima guerra imperialista, sono stati definitivamente gettati fuori dai loro binari. Il loro sviluppo si è adeguato definitivamente allo sviluppo del capitalismo europeo. È incominciato in essi un processo di fermentazione simile a quello che si compie in Europa. È ormai chiaro per il mondo intero che essi sono stati trascinati su una via di sviluppo che non può non portare a una crisi del capitalismo mondiale nel suo complesso».
Perciò, e in relazione con questi fatti, «i paesi capitalistici dell’Europa occidentale compiranno la loro evoluzione verso il socialismo... non come attendevamo prima. La compiono non attraverso una “maturazione” uniforme del socialismo in essi, ma attraverso lo sfruttamento di alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo Stato vinto nella guerra imperialista, unito allo sfruttamento di tutto l’Oriente. Ma l’Oriente, d’altra parte, è entrato definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a questa prima guerra imperialista, ed è stato trascinato definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario mondiale». («Meglio meno, ma meglio», vol. XXVII, pp. 415416).
Se si aggiunge a ciò il fatto che non soltanto i paesi vinti e le colonie sono sfruttati dai paesi vincitori, ma che una parte dei paesi vincitori rientra pure nell’orbita dello sfruttamento finanziario da parte degli Stati vincitori più potenti, l’America e l’Inghilterra; che le contraddizioni tra tutti questi paesi costituiscono un importantissimo fattore della decomposizione dell’imperialismo mondiale; che, oltre a queste contraddizioni, esistono e si sviluppano altre contraddizioni profondissime nel seno di ciascuno di essi, che tutte queste contraddizioni si approfondiscono e si aggravano per il fatto che, al lato di questi paesi, esiste la grande Repubblica dei Soviet, se si tiene conto di tutto ciò, si avrà un quadro più o meno completo degli elementi caratteristici della situazione internazionale.
La cosa più probabile è che la rivoluzione mondiale si sviluppi mediante il distacco rivoluzionario di una serie di nuovi paesi dal sistema degli Stati imperialisti e l’appoggio dei proletari di quei paesi da parte del proletariato degli Stati imperialisti. Vediamo che il primo paese che si è distaccato, il primo paese vittorioso, ha già l’appoggio delle masse operaie e, in generale, delle masse lavoratrici degli altri paesi. Senza questo appoggio, esso non si sarebbe potuto reggere. È fuori dubbio che questo appoggio andrà rafforzandosi e sviluppandosi, ma è pure fuori dubbio che lo sviluppo stesso della rivoluzione mondiale, il processo stesso di distacco dall’imperialismo di una serie di nuovi paesi, saranno tanto più rapidi e profondi, quanto più profondamente il socialismo si consoliderà nel primo paese vittorioso, quanto più rapidamente questo paese diverrà la base di un ulteriore sviluppo della rivoluzione mondiale, la leva di un ulteriore sfacelo dell’imperialismo.
Se è giusta la tesi che la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese che si sia liberato è impossibile senza gli sforzi concordi del proletariato di più paesi, non è men vero che la rivoluzione mondiale si svilupperà tanto più rapidamente e profondamente quanto più sarà efficace l’aiuto del primo paese socialista alle masse operaie e lavoratrici di tutti gli altri paesi.
In che cosa deve consistere questo aiuto?
Deve consistere, in primo luogo, nel fatto che il paese vittorioso realizzi «il massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, svegliare la rivoluzione in tutti i paesi ». (Lenin : «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautzky», vol. XXIII, p. 385).
Deve consistere, in secondo luogo, nel fatto che «il proletariato vittorioso» in un paese, «espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe... contro il resto del mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole a insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici e i loro Stati». (Lenin : «Sulla parola d’ordine degli Stati uniti d’Europa», vol. XVIII, pp. 232-233).
La particolarità caratteristica di questo aiuto da parte del paese in cui si è vinto è che non soltanto esso affretta la vittoria dei proletari degli altri paesi, ma che, rendendo più facile questa vittoria, assicura la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese in cui si è vinto.
La cosa più probabile è che, nel corso dello sviluppo della rivoluzione mondiale, a fianco dei focolai dell’imperialismo nei singoli paesi capitalistici e del sistema di questi paesi nel mondo intero, si formino dei focolai di socialismo in singoli paesi sovietici e un sistema di questi focolai nel mondo intero, e che la lotta tra questi due sistemi riempia la storia dello sviluppo della rivoluzione mondiale.
«Infatti - dice Lenin - la libera unione delle nazioni nel socialismo è impossibile senza una lotta accanita, più o meno lunga, delle repubbliche socialiste contro gli Stati arretrati». (Ivi).
L’importanza mondiale della Rivoluzione d’Ottobre non consiste soltanto nel fatto che essa rappresenta una grande iniziativa di un solo paese per spezzare il sistema imperialistico, che essa è il primo focolaio del socialismo nell’oceano dei paesi imperialisti, ma anche nel fatto che essa è la prima tappa della rivoluzione mondiale e una base potente del suo sviluppo ulteriore.
Perciò hanno torto non soltanto coloro che, dimenticando il carattere internazionale della Rivoluzione d’Ottobre, affermano che la vittoria della rivoluzione in un solo paese è un fenomeno puramente nazionale e nulla altro che nazionale. Hanno torto pure coloro che, pur menzionando il carattere internazionale della Rivoluzione d’Ottobre, propendono a considerarla come qualcosa di passivo, destinato soltanto a ricevere aiuti dal di fuori. In realtà, non soltanto la Rivoluzione d’Ottobre ha bisogno del sostegno della rivoluzione degli altri paesi, ma nello stesso tempo la rivoluzione in questi paesi ha bisogno del sostegno della Rivoluzione d’Ottobre, per affrettare e spingere innanzi l’opera di rovesciamento dell’imperialismo mondiale.
17 dicembre 1924
(Stalin, “ La Rivoluzione d’Ottobre e la tattica dei comunisti russi”, Opere complete, Edizioni Rinascita, vol. 6, pagg. 426-476)
 

Pubblicato il 4 novembre 2015 nel 98° Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre