Su lavoro, quartieri popolari, ambiente, “beni comuni”
La giunta antipopolare del neopodestà De Magistris non ha risolto un solo problema delle masse napoletane
Un fallimento completo al pari delle giunte precedenti di “centro-sinistra” Bassolino e Iervolino

 
Documento della Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del PMLI
Né più né meno dei suoi predecessori Bassolino e Iervolino, dei quali decantava boriosamente le distanze, il neopodestà De Magistris e la sua giunta antipopolare (in un primo momento completamente composta da uomini e donne di sua fiducia, che ha resistito qualche anno per essere rimpiazzata da un nuovo esecutivo composto da altri componenti, inclusi due assessori PD) non ha fatto altro che replicare, fin dai suoi esordi, quella arroganza tipica dei politicanti borghesi del regime neofascista. Sfoggiando una megalomania e un narcisismo senza pari, annunciando, fin dal suo discorso di insediamento, la fantomatica “rivoluzione arancione”, De Magistris si è dimostrato in realtà un presidenzialista e un federalista a tutto spiano, dopo aver sparso le illusioni delle assemblee popolari, dei “beni comuni” e della “democrazia partecipata”.
Il fallimento più grave è sicuramente quello che ha avuto sul fronte del lavoro e del risanamento e della riqualificazione dei quartieri popolari. Il quadro complessivo dell’occupazione a Napoli è a dir poco desolante dopo cinque anni: la mancanza di un serio e qualificato piano di lavoro degno di questo nome; la presenza di assessori-fantasma (l’ultimo l’ex CGIL-Scuola Panini) che non hanno saputo dare uno straccio di risposta all’incredibile emorragia di occupati, da una parte, e la triste escalation di emigranti, dall’altra; la mancanza assoluta di una proposta ai giovani costretti a lasciare il territorio partenopeo e tentare la “fortuna” all’estero. D’altronde i dati di disoccupazione giovanile sono chiari, netti e incontestabili: ben il 69% dei ragazzi e delle ragazze partenopee tra i 20 e i 24 anni dichiara di essere disoccupato, dato quasi confermato anche dalla fascia di età tra i 25 e i 29 anni dove sono il 47% ad affermare di non avere un lavoro.
Un fallimento totale cui si aggiunge l’assenza completa di un piano di industrializzazione di Napoli (clamorosa la svendita dell’Alenia di Capodichino); le crisi delle aziende partecipate come Napoli Servizi, Metronapoli, Anm, con i lavoratori e i dipendenti comunali sottoposti a ritardi nelle spettanze salariali, declassamenti e demansionamenti; la chiusura delle ultime fabbriche storiche soprattutto nella zona Est di Napoli. Non può bastare assolutamente il turismo - che ha ingrassato solo i già ricchissimi albergatori e i ristoratori, soprattutto del “lungomare liberato” -, come sbandiera inutilmente De Magistris, nonostante sia sotto gli occhi di tutti ben venti anni di disastri di politiche economiche e del lavoro che hanno aumentato la disoccupazione e ripreso il triste fenomeno dell’emigrazione.
Fin dagli esordi la giunta De Magistris ha indossato la camicia nera ingaggiando una accanita repressione fascista contro i precari "Bros", i disoccupati, gli immigrati, gli sfrattati, utilizzando la mano pesante con una vera e propria militarizzazione del territorio e l’utilizzo indiscriminato del corpo dei vigili urbani agli ordini dell’ex parà della Folgore, lo strapagato Sementa (poi silurato). La Napoli che doveva essere, nei desiderata dell’ex pm, “la città dell’accoglienza, della tolleranza, della convivenza” è andata in rotta di collisione con le giuste rivendicazioni avanzate dal proletariato e dalle masse popolari che hanno “assaggiato” la brutalità della repressione a suon di manganelli e addirittura gas urticanti, come è capitato agli immigrati sgomberati, senza troppi complimenti, dalla zona di via Brin.
Assolutamente incredibile è l’assenza di qualsiasi piano di riqualificazione urbana dei quartieri popolari e periferici, abbandonati a se stessi, peggio che dalle giunte precedenti, lasciate in balia alla camorra che ancora detta la sua legge assassina a Scampia per proteggere la più grande piazza di spaccio d’Europa (Napoli è la capitale italiana della cocaina), ma che ha rialzato la testa a Forcella, nella Sanità, a Ponticelli, nel rione Traiano e a Soccavo. La giunta arancione, dopo aver sbandierato la bandiera della “legalità a tutti i costi“, non solo ha militarizzato il territorio senza ricavare un fico secco, finendo per aggravare l’abbandono dei rioni popolari e delle periferie urbane alla camorra che ha avuto terreno fertile per rialzare la testa, radicarsi maggiormente nei quartieri più poveri e abbandonati e spadroneggiare impunemente con scorribande sanguinarie, imponendo intimidazione e omertà.
Il fallimento della raccolta differenziata è sotto gli occhi di tutti: l’ex pm, dopo aver scongiurato l’emergenza con l’invio di buona parte dei rifiuti tramite costosissime navi in Olanda, ha praticamente lasciato Napoli nell’immondizia riducendo al palo il “porta a porta” con la città ultimo capoluogo nella raccolta sistematica di umido, secco, vetro e carta. La raccolta differenziata porta a porta, che doveva raggiungere addirittura la cifra del 70% nel giro di sette mesi è, invece, ferma all’impietoso dato del 28% secondo la Giunta, con un grave ritardo sull’avvio delle isole ecologiche e del varo del bando per gli impianti di compostaggio, cui parteciperanno gli imprenditori privati.
L’esecutivo dell’ex pm ha fallito anche in ordine alla questione cruciale di Bagnoli, uno dei peggiori disastri dell’era Bassolino e a cui neanche De Magistris ha saputo porre rimedio fino ad essere scavalcato ed estromesso nelle decisioni dal nuovo duce Renzi con la nomina del commissario Nastasi. Un quadro negativo che si estende in tutta la zona ex Italsider che dava lavoro negli anni Settanta e Ottanta a centinaia di migliaia di operai e operaie e che ora vede nella desertificazione industriale e nell’abbandono della zona Ovest il dato più clamoroso, assieme all’inquinamento ambientale. Il lancio dei “grandi eventi” in stile bassoliniano (America’s cup, Coppa Davis, Giro d’Italia femminile e maschile) per recuperare una credibilità che si è sgretolata nel tempo anche presso la “sinistra” borghese locale, ha lasciato i giovani senza un lavoro stabile e a salario pieno e condannandoli nelle pieghe dei contratti stagionali.
Neanche la formula riformista dei “Comuni dei beni comuni”, delineata dal professore borghese e anticomunista Lucarelli per cercare di recuperare il dilagante astensionismo di sinistra delle ultime elezioni, ha sortito effetti tra il proletariato e le masse popolari, che lo hanno punito lasciando deserte le assemblee che, dopo il primo anno, sono scomparse dal panorama politico cittadino. Un inganno subito smascherato dai marxisti-leninisti partenopei con un documento ad hoc all’indomani del lancio del fantomatico “Laboratorio dei beni comuni”, dove veniva proposta nient’altro che una rimasticatura della teoria varata anni addietro dai vecchi volponi neoliberali e falsi comunisti del “municipio partecipato”, ponendo le basi per lanciare al contempo il cosiddetto “federalismo municipale”.
La proposta del PMLI
Il bilancio è dunque fallimentare e lo hanno testimoniato anche le sonore bocciature di alcuni esponenti arancioni candidati alle ultime elezioni politiche con le liste dell’ex pm Ingroia, miseramente ricacciate indietro dagli astensionisti.
Noi marxisti-leninisti, fin dal suo insediamento abbiamo sottolineato il carattere ben poco “rivoluzionario” del programma di De Magistris e della sua giunta, evidenziando il carattere antipopolare, votato a strizzare l’occhio alla borghesia media e alta e a voltare le spalle al proletariato e alle masse popolari. Alla ricetta riformista del “comune dei beni comuni” con la partecipazione solo consultiva e assolutamente non incisiva del popolo napoletano, contrapponiamo sul piano politico e organizzativo le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta. Da tempo proponiamo, infatti, all’elettorato di sinistra fautore del socialismo - quindi anche a chi non è astensionista -, di creare in tutte le città e in tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari che devono essere costituite in ogni quartiere da tutti gli abitanti ivi residenti – compresi le ragazze e i ragazzi di 14 anni – che si dichiarano anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti e fautori del socialismo e disposti a combattere politicamente ed elettoralmente le istituzioni borghesi, i governi centrale e locali borghesi e il sistema capitalista e il suo regime. Ogni Assemblea popolare di quartiere elegge il suo Comitato popolare e l'Assemblea dei Comitati elegge, sempre attraverso la democrazia diretta, il Comitato popolare cittadino. E così via fino all'elezione dei Comitati popolari provinciali, regionali e del Comitato popolare nazionale. I Comitati popolari devono essere composti dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati delle masse anticapitaliste, antifasciste, fautrici del socialismo eletti con voto palese su mandato revocabile in qualsiasi momento dalle Assemblee popolari territoriali. Le donne e gli uomini – eleggibili fin dall'età di 16 anni – devono essere rappresentati in maniera paritaria. I Comitati popolari di quartiere, cittadino, provinciale e regionale e il Comitato popolare nazionale devono rappresentare il contraltare, la centrale alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e dei governi regionali e centrale.
Cellula "Vesuvio Rosso" di Napoli del PMLI
Napoli, 7 Novembre 2015
 

11 novembre 2015