Demagogia mussoliniana in uno stato di guerra dell'Italia
Renzi indora la pillola della militarizzazione del Paese
Mance elettorali ai poliziotti e ai 18enni
Militarizzata la Forestale

“Italia, Europa. Una risposta al terrore”: con questo slogan Matteo Renzi ha presentato il 24 novembre le linee guida del suo governo per affrontare la “sfida del terrorismo islamico” dopo gli attentati di Parigi. E per farlo ha scelto lo sfondo solenne della sala degli Oriazi e Curiazi dei Musei capitolini, la stessa dove nel 1957 fu firmato il trattato di Roma che diede il via alla Comunità europea. Una “location” scelta a sommo studio, per tenere un discorso tale da esaltare al tempo stesso l'Europa e il ruolo dell'Italia nella sua costruzione e difesa, ma anche e soprattutto l'orgoglio nazionale nel rivendicare, sulle orme di Mussolini, un ruolo autonomo e specifico del nostro Paese in politica estera nella sua sfera di influenza storica - il Mediterraneo, l'Africa, il Medio Oriente - che risale fino alla storia di Roma, richiamata non a caso dal grande arazzo della battaglia tra gli Orazi e i Curiazi che campeggiava alle sue spalle.
Con ciò Renzi ha voluto rispondere anche alle polemiche sollevate dalla sua presa di posizione più cauta rispetto alle burbanzose dichiarazioni di guerra di Hollande, negando che l'Italia sia in guerra ed evitando per il momento di impegnarsi nella partecipazione diretta ai bombardamenti sullo Stato islamico in Siria e Iraq. Una cautela dettata soprattutto dall'imminenza del Giubileo e dalla preoccupazione di non gelare la stentata “ripresa” economica, ma giustificata con la motivazione che “occorre evitare una Libia-bis” e che prima di bombardare “occorre avere una strategia chiara”: “L'Italia non si tira indietro, ma lo fa in uno scenario in cui non ci possiamo permettere una Libia-bis perché le conseguenze sarebbero superiori a quelle che è lecito attendersi”, aveva ripetuto infatti anche il giorno precedente, con un velato riferimento all'intervento militare deciso unilateralmente dalla Francia nel 2011.
Col suo discorso, quindi, Renzi ha voluto dissipare ogni sospetto di mancanza di fermezza nell'affrontare adeguatamente l'“emergenza terrorismo” sul piano militare all'esterno e poliziesco all'interno, ribadendo i già cospicui impegni militari internazionali dell'Italia, recentemente rinforzati in finanziamenti e soldati, e annunciando un robusto programma di militarizzazione del Paese, finanziato con un miliardo di euro. Ma contemporaneamente ha indorato la pillola dello stato di guerra di fatto e del nuovo giro di vite alla militarizzazione del Paese con l'annuncio dello stanziamento di un altro miliardo per la “cultura” e per mance elettorali ai poliziotti e ai diciottenni. Due miliardi in tutto da aggiungere alla legge di Stabilità, già approvata dal Senato e ora all'esame della Camera, da reperire confidando nell'allentamento dei vincoli di bilancio sulle spese per l'antiterrorismo promesso dalla Commissione europea.

L'Italia è in guerra e mira alla Libia
Il nuovo duce ha esordito infatti ribadendo che “l'Italia non cambia la propria posizione ma al contrario vede confermate le proprie priorità, a cominciare dalla centralità strategica per l'intero pianeta del Mediterraneo, dei Balcani e del Medio Oriente”, e che essa “si riconosce nella coalizione internazionale più ampia possibile, in cui il ruolo degli Stati Uniti d'America è cruciale, per sconfiggere il fanatismo, l'estremismo, il terrorismo”. Il che equivale ad ammettere che l'Italia è invece effettivamente in guerra, tanto perché glielo impone la sua riconfermata ed anzi esaltata partecipazione alla santa alleanza imperialista internazionale contro l'Is capeggiata dagli Usa, quanto perché i suoi interessi nazionali “strategici” risiedono principalmente nelle regioni che sono teatro di questa guerra. E in particolare in Libia, che in questo momento rappresenta il vero e il più ambito obiettivo per l'imperialismo italiano, quello per cogliere il quale, non appena si presenterà la congiuntura favorevole, Renzi si tiene in serbo le nuove risorse finanziarie e militari, piuttosto che bruciarle ora in Siria per compiacere Hollande.
Eccolo allora ricordare al presidente francese e agli altri guerrafondai che lo accusano velatamente di defilarsi sulla guerra totale all'Is, che “l'Italia onora le proprie responsabilità internazionali. Che sono particolarmente evidenti in Afghanistan, in Somalia, in Libia, in Libano, in Kosovo, in Iraq e in molti altri scenari di tensione”; cosa che gli ha riconosciuto anche il vicepresidente Usa Biden, nell'incontro avuto con lui all'ambasciata americana a Roma. Ma anche puntualizzare ai suoi critici che l'Italia “si mantiene fedele al principio per il quale una coalizione internazionale necessita del rispetto delle regole del diritto internazionale e di una visione strategica per il futuro dei territori in cui si interviene”.

Un miliardo per militarizzare il Paese
Ma che l'Italia sia in guerra a tutti gli effetti è confermato anche dal piano per la “sicurezza” che Renzi ha annunciato, che costerà un miliardo e che prevede un investimento di 150 milioni di euro per la cosiddetta cyber security, con la creazione di una gigantesca rete di telecamere, pubbliche e private, per spiare (“nel rispetto della privacy” ha sottolineato sfrontatamente il premier) tutto ciò che si muove nelle strade e nei locali pubblici delle città. A cui si aggiunge un investimento di 50 milioni “per rinnovare la strumentazione delle forze dell'ordine”, che dovranno essere “riorganizzate”, anche con l'assorbimento delle guardie forestali nell'arma dei carabinieri, il che rappresenta una loro militarizzazione a tutti gli effetti realizzata con un semplice atto burocratico.
Segue poi un investimento supplementare di ben 500 milioni di euro “per la difesa italiana, con investimenti efficaci finalizzati a dare una risposta immediata” a non meglio precisate “esigenze organizzative e di rilancio”. “Siamo orgogliosi dei nostri militari, non faremo mancare loro il nostro sostegno”, ha commentato a questo proposito il premier, smentendo così nella maniera più efficace la favola che “l'Italia non è in guerra” che continua a raccontare agli italiani.
E c'è infine l'estensione del bonus di 80 euro “a tutte le donne e gli uomini che lavorano per le forze dell'ordine a cominciare da chi sta sulla strada”: pare di capire, quindi, anche a tutti quelli che non l'hanno già avuto come pubblici dipendenti al di sotto di 1.500 euro di retribuzione lorda, il che rappresenta una palese discriminazione verso tutte le altre categorie di lavoratori, per le quali vale invece tale limite che non varrebbe più per poliziotti e carabinieri. Senza contare i pensionati, beffati ancora una volta da Renzi che usa spregiudicatamente gli 80 euro come una mancia elettorale da elargire quando e a chi gli fa più comodo.

La demagogia dell'“investimento in cultura”
Il massimo della demagogia il nuovo duce lo ha raggiunto con l'annuncio di un corrispondente finanziamento di un miliardo “per la cultura”, perché “la specificità italiana” vuole che la “risposta al terrorismo non sia soltanto emotiva”, e che “per ogni euro investito in più in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura”. E a questo proposito ha annunciato un investimento di 500 milioni alle città metropolitane per interventi di riqualificazione delle periferie urbane. Più altri 300 milioni per elargire un bonus di 500 euro ai diciottenni, senza distinzione di reddito delle famiglie, da spendere per “consumi culturali”: una sfacciata mancia elettorale, questa, come ha sottolineato anche il suo maestro Berlusconi, che di queste cose se ne intende. Poi altri 50 milioni per borse di studio a studenti universitari “più meritevoli”, anche qui pare senza distinzione di reddito, e infine altri 150 milioni per finanziare la possibilità di donare il due per mille anche ad associazioni culturali, scuole di musica, teatri locali ecc.
“Tenere insieme sicurezza e identità, polizia e cultura è la proposta che l'Italia avanza con determinazione”, ha concluso il nuovo duce sintetizzando con una frase a effetto questa sua nuova operazione mediatica, che consiste nel far ingoiare meglio la pillola della militarizzazione del Paese indorandola con la sua demagogia che ha mutuato da Mussolini riadattandola in chiave moderna e tecnologica. E della quale ha voluto dare un ultimo e più eloquente saggio, chiudendo la sapiente rappresentazione con queste parole che riecheggiano i proclami nazionalistici del duce: “Perché tutto intorno a noi, anche questa sala, ci dice che la bellezza è più forte della barbarie. La sfida è difficile. E noi dobbiamo esserne all'altezza. Lo saremo, ne sono certo, se ci ricorderemo che noi – tutti insieme – siamo l'Italia”.

2 dicembre 2015