Manifestazione a Roma dei lavoratori del pubblico impiego indetta da Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Gilda
“Contratto Subito” per il pubblico impiego
Venerdì 20 c'era stato lo sciopero proclamato dal sindacato USB
poletti rivuole il cottimo e lo spaccia per “nuovo” modello contrattuale

Grande manifestazione a Roma dei lavoratori pubblici. In 30mila hanno invaso le strade della capitale per rivendicare anzitutto il rinnovo del contratto nazionale bloccato oramai da quasi 7 anni, blocco che ha fatto perdere ai lavoratori del settore ben 4.800 euro. Del resto i dipendenti pubblici sono il bersaglio preferito di tutti gli ultimi governi, di qualsiasi tendenza: di destra, “tecnico”, di “sinistra”. Questo blocco dei salari è sempre stato una voce fondamentale dei cosiddetti tagli alla spesa pubblica fatti ricadere sulla parte più debole dei dipendenti della pubblica amministrazione e attuati indistintamente dai governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi.
C'è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per considerare illegittima questa disparità di trattamento con gli altri lavoratori e giudicare come un diritto costituzionale l'adeguamento del contratto al costo della vita. Ma chi si era fatto delle illusioni di un pronto intervento del governo per rimediare a questa ingiustizia è stato smentito. Il nuovo duce Renzi e il ministro Madia hanno proposto la scandalosa cifra di 5 euro netti al mese in busta paga, giustamente e sdegnosamente rigettati da tutte le sigle sindacali.
Non a caso questa misera cifra è stato uno dei bersagli principali dei manifestanti che sabato 28 novembre hanno sfilato per le strade di Roma. “Contratto subito” era la parola d'ordine del corteo assieme a “basta parole” e “non vogliamo l'elemosina”. Al concentramento in Piazza della Repubblica sono confluiti lavoratori provenienti da tutta Italia e di svariate professioni: molti dalla scuola e dalla sanità, i funzioni centrali, quelli dei servizi pubblici locali, di sicurezza e soccorso, università, ricerca.
I dipendenti pubblici in Italia sono 3 milioni e trecentomila e al di là delle continue campagne denigratorie sono numericamente sotto la media europea, così come le retribuzioni. In Italia ci sono 58 dipendenti ogni mille abitanti, più o meno come in Germania ma molto meno che in Francia (94) per non parlare della Svezia (138). Essi “incidono” sul PIL per l'11%, in Danimarca per il 19,2, in Francia 13,4, in Spagna 11,9. Lo stesso vale per i salari mentre l'unica cosa dove superiamo tutti sono le retribuzioni dei manager pubblici che guadagnano stipendi simili a capi di Stato e l'altissimo numero di dirigenti, piazzati da questo o quel partito o politico borghese di turno.
Dal palco in piazza Venezia, dove si concludeva la manifestazione, hanno preso la parola rappresentanti dei lavoratori e leader sindacali. Gli interventi si sono concentrati sulla richiesta immediata di un nuovo contratto, che tolga dal tavolo l'elemosina dei 5 euro. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha richiesto un aumento di “150 euro per recuperare almeno in parte il terreno perduto”. La Camusso ha detto che quei 300 milioni stanziati dalla Legge di Stabilità, che suddivisi fanno i famigerati 5 euro in busta paga, “i lavoratori se li sono già pagati da soli, visti i blocchi prolungati del salario accessorio e del turn over”
L'altro tema caldo è proprio il blocco del turn over, che ha portato al crollo delle assunzioni pari al 4,7% dal 2010, equivalente a quasi 180mila posti di lavoro in meno mentre negli ultimi 15 anni i posti persi sono stati 300mila. Eppure la Madia, ha detto la Camusso, “ha un chiodo fisso, i licenziamenti” . Con l'inevitabile ricaduta sul peggioramento dei servizi pubblici ricordato dalla segretaria della Cgil “tagliano da anni la sanità, e con l’attuale legge di stabilità si prepara un nuovo pesante intervento. Inoltre, con il blocco del turn over, non si permette un rinnovamento delle pubbliche amministrazioni, mentre i giovani restano a casa”.
Non sono mancate frecciate al ministro del lavoro, l'esponente del PD ed ex presidente delle cooperative “rosse”, Graziano Poletti che il giorno prima aveva dichiarato: “dovremo immaginare un contratto di lavoro che non abbia come unico riferimento l'ora di lavoro ma la misura dell'apporto dell'opera. L'ora di lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l'innovazione”. Ma che innovazione! Il ministro vuole un salario basato sui risultati aziendali e addirittura personali, insomma rivuole il cottimo, un sistema vecchio come il cucco che i lavoratori e il movimento operaio hanno sempre combattuto.
Per il ministro i lavoratori non devono avere più né una dignitosa retribuzione né diritti contrattuali, questa è la posizione portata avanti da tutto l'esecutivo guidato dal nuovo duce Renzi, perciò serve una mobilitazione più forte. I segretari confederali hanno dichiarato che se non ci saranno proposte serie da parte del governo sarà sciopero di tutto il pubblico impiego. Staremo a vedere. Di certo i lavoratori, sia del pubblico che del privato sono sempre più insofferenti e pretendono rinnovi contrattuali che smettano di restituire soldi e diritti ai padroni.
Una settimana prima, venerdì 20 novembre, c'è stata invece la mobilitazione lanciata dal sindacato USB (unione sindacale di base) che ha indetto uno sciopero per l'intera giornata. In 20mila sono scesi in piazza in quattro manifestazioni a Milano, Roma, Napoli e Cagliari. Nonostante le difficoltà relative al clima immediatamente successivo agli attentati di Parigi, con falsi allarmi e militarizzazione delle città, la questura della capitale non voleva neppure concedere il permesso di manifestare. Ad aprire i cortei gli striscioni “vostre le guerre nostri i morti” seguito da “la legge di stabilità che vogliamo: riconquistare servizi, salario, diritti”.
Lo sciopero, oltre che per il contratto, era indetto contro la Legge di Stabilità e i continui tagli ai servizi pubblici e sociali. Le adesioni sono state particolarmente alte nelle municipalizzate e negli ospedali, specie delle grandi città. Anche l'USB ha promesso altri scioperi se il governo non si deciderà ad ascoltare le richieste dei lavoratori pubblici.

2 dicembre 2015