Rapporto Svimez sull'economia nel Mezzogiorno
Nel Sud aumenta la povertà, crollano i redditi e i consumi
Renzi non se ne occupa e Boldrini mistifica

Dopo le anticipazioni di settembre, è stata la volta, il 27 ottobre, della presentazione del Rapporto Svimez 2015. A differenza di appena due mesi fa la stampa borghese ha messo l'accento su alcuni presunti valori “positivi”, rilanciati come segni di ricrescita del Paese e del Mezzogiorno, forse raccogliendo acriticamente la velina istituzionale propinata da Laura Boldrini, la presidente Sel della Camera, che ha tenuto il saluto introduttivo all'evento svoltosi a Montecitorio.
In realtà quando lo Svimez parla in positivo fa solo delle previsioni: nel 2015 il Pil (Prodotto interno lordo) italiano crescerebbe dello 0,8%, quale risultato del +1% del Centro-Nord e del comunque misero +0,1% del Sud. La tendenza si rafforzerebbe nel 2016. Secondo noi, c'è poco da esultare. Certo è possibile che l'economia meridionale torni a dare dei flebili segni, ma rimane comunque in coma. Le previsioni sono in ogni caso ben lontane dai livelli di ricchezza pre crisi, né garantiscono la ripartenza, date le attuali condizioni del Sud e considerata l'inattività del governo Renzi su questo fronte.
Andando oltre i facili entusiasmi di questi giorni, sono gli stessi dati dello Svimez a confermare la situazione disastrosa già delineata dalle anticipazioni di settembre. Nel solo 2014, il Pil nel Mezzogiorno è sceso dell’1,3%, nel 2013 era già sceso del 2,7%: sette anni consecutivi di discesa (-13%) non vengono compensati dalla misera previsione del + 0,1% per il 2015, checché ne dica la propaganda istituzionale.
Aumentano progressivamente i divari con il Centro-Nord. Nel 2014 tale divario riguardo il Pil/ab (Pil per abitante) ha segnato il punto peggiore degli ultimi 15 anni. Oggi i meridionali hanno un Pil che non supera il 53,7% di quello medio nazionale. Se il Pil/ab in Italia è stato di 26.585 euro in Italia, nel Mezzogiorno è stato appena del 16.976 euro.
La perdita di potere d'acquisto provoca un aumento progressivo delle difficoltà per le masse meridionali, che si trovano a dover rinunciare a spendere. Nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord. Negli anni 2008-2014, la caduta dei consumi delle famiglie meridionali ha registrato un -13,2%, due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese, che comunque ha segnato un consistente -5,5%.
Da segnalare come il calo riguardi aspetti importanti del benessere delle masse popolari. Negli anni suddetti si è cumulato un -15,3% per i consumi alimentari e un -18,4% per “beni e servizi”, voce sotto la quale vanno prestazioni sanitarie e spese per l’istruzione. A completare il quadro va detto che aumenta la povertà. Per effetto della crisi, la povertà assoluta in Italia negli ultimi anni è più che raddoppiata e si sono superati i 4 milioni di poveri. Ma il dato diventa particolarmente consistente nel Sud. Se nel Centro-Nord è esposta al rischio di povertà 1 persona su 10, nelle regioni meridionali è a rischio 1 persona su 3, con il picco della Sicilia: 4 persone su 10.
Una condizione che ha provocato un tracollo generazionale. Per il terzo anno consecutivo al Sud il saldo demografico è negativo, cioè ci sono stati più morti che nati vivi. Nel 2014 si è toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia: 174 mila nati vivi.
Ancora più grave la catastrofe occupazionale: tra il 2008 ed il 2014, in Italia sono stati persi 811 mila i posti di lavoro e tra questi ben 576 mila sono sfumati nel Mezzogiorno, dove si è concentrato oltre il 70% del calo nazionale.
Per gli under 24 nel 2014 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 56%, contro il 35,5% del Centro-Nord. Tra il 2001 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1 milione e 667mila meridionali, a fronte di un rientro di 923 mila persone, con un saldo migratorio netto di 744 mila unità. Di questa perdita di popolazione il 70%, 526 mila unità, ha riguardato la componente giovanile 15-34 anni.

La posizione del PMLI
Altro che “timida ripresa”! Alla luce dei dati Svimez siamo davanti a un disastro. Non ci è piaciuto il saluto mistificatorio e propagandistico di Laura Boldrini, che ha voluto mettere l'accento sui presunti “timidi elementi di ripresa”, non solo del Sud ma di tutto il Paese, sulla “tendenza verso i primi miglioramenti, che va comunque salutata come positiva”, rilanciando le solite chiacchiere renziane sull'economia, sulla necessità “guardare al futuro con fiducia”, sul fatto che “noi siamo un grande Paese” e infine ci è parsa inconsistente la promessa di “dedicare prossimamente alle politiche per il Mezzogiorno una seduta speciale dei lavori d'aula”.
Chiacchiere solo chiacchiere per gettare fumo negli occhi. Nessuna autocritica. Inconfutabilmente le istituzioni borghesi non sono in grado di risolvere la Questione meridionale, anzi l'hanno incancrenita. Perché dovremmo fidarci delle parole della Boldrini? Basta guardare all'operato del boss del suo partito, Niki Vendola, che ha governato per dieci anni, e diciamo dieci anni, la Puglia. Oggi quella regione è un deserto produttivo, senza speranza per le masse popolari e lavoratrici, da dove i giovani scappano alla ricerca di lavoro.
La crisi e le politiche che i governi centrale e locali hanno imposto all'Italia hanno gettato il Sud in un pericolo di “sottosviluppo permanente”, incrementando le differenze su base territoriale. È colpa di Palazzo Chigi e di Montecitorio se oggi l'Italia è un Paese sempre più diseguale e il Mezzogiorno è un territorio di desertificazione economica, produttiva, sociale. È colpa di Renzi e della Boldrini che la Questione meridionale sta trascinando in una spirale regressiva l'intera economia nazionale. È scorretto nascondere le responsabilità di questo governo che sulla Questione meridionale è privo di una qualunque strategia di rilancio, che non si fa scrupolo di tagliare i fondi per il Sud, che se ne infischia della deindustrializzazione, della crisi agricola, della criminalità organizzata, della disoccupazione, dell'emigrazione, della povertà.
Renzi e Boldrini governo e parlamento, non hanno nessuna soluzione concreta e credibile per risollevare il Mezzogiorno e l'Italia. Lottare per risolvere i problemi del Sud e rilanciare l'economia meridionale e dell'intero Paese significa anzitutto lottare contro il governo Renzi per affossare il Jobs Act, la "Buona scuola", il "Piano casa", lo "Sblocca Italia", le controriforme istituzionali e costituzionali e per conquistare il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. Significa lottare per creare in tutto il Mezzogiorno una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord attraverso piani straordinari, la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici e l'intervento di aziende pubbliche per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'industria, dell'agricoltura e il turismo, per il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano. Le masse meridionali e soprattutto le giovani e i giovani del Sud devono battersi per tutto ciò pur nella consapevolezza che il pieno sviluppo del Mezzogiorno potrà realizzarsi compiutamente solo abbattendo il capitalismo e i governi che gli reggono il sacco. Il ribaltamento definitivo delle sorti del Sud avverrà solo conquistando l'Italia unita, rossa e socialista.
Intanto tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche, antimafiose e antifasciste cui sta a cuore la sorte del Sud devono unirsi per cacciare Renzi.

9 dicembre 2015