Lottiamo per la libertà di frequenza per tutti gli studenti

 
Nel quadro della sua piattaforma rivendicativa per la scuola e l'università, il PMLI chiede la libertà di frequenza per tutti gli studenti, affinché sia riconosciuto loro il diritto di partecipare a scioperi e manifestazioni, ma anche di studiare individualmente o visitare in autonomia musei, cinema, teatri e così via.
Oggi in parte già c'è all'università, ma continuano ad esistere corsi a frequenza obbligatoria e quand'anche non sarebbe prevista, capita che certi professori, per arbitrio o aggrappandosi a cavilli dei regolamenti, la impongano comunque, con danno per gli studenti che sono costretti a lavorare per pagarsi gli studi o a fare i pendolari. Invece, com'è noto, nella scuola superiore se gli studenti fanno assenza devono presentare una giustificazione firmata dai genitori, nient'affatto scontata, specialmente se l'assenza è dovuta a motivi politici magari non condivisa dai genitori.
Con la libertà di frequenza in primo luogo le studentesse e gli studenti avrebbero la possibilità di partecipare a scioperi e manifestazioni. Senza dover temere ritorsioni come il famigerato voto in condotta, utile a reprimere gli studenti che si rifiutano di restare passivi di fronte a ciò che il governo e i presidi fanno alla scuola della quale sono i fruitori e osano invece rivendicare il loro sacrosanto diritto di prendere parte attiva alle lotte che li riguardano, anche sacrificando una mattina di lezione. Questa rivendicazione si lega strettamente alla battaglia per l'abolizione del voto in condotta, reintrodotto dalla legge Gelmini del 2008 proprio con lo scopo di spezzare le gambe alle proteste studentesche e che ha già fatto fin troppe vittime. Nessuno studente deve essere punito per aver organizzato o partecipato a manifestazioni, cortei, presidi, picchetti, assemblee, autogestioni, occupazioni o per avere osato criticare, anche duramente, insegnanti e presidi.
In secondo luogo, essa darebbe un duro colpo ai i metodi pedagogici e d'insegnamento attualmente in vigore. Secondo la pedagogia borghese, infatti, l'educando deve restare chiuso fra quattro mura, ad assorbire mnemonicamente nozioni e concetti dati per assolutamente certi, utili in ultima istanza a veicolare la concezione borghese del mondo. La scuola educa infatti alla sacralità del capitalismo e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, alla collaborazione di classe, al'accettazione acritica delle istituzioni e delle leggi così come sono. I manuali sono imbevuti di nazionalismo, calunnie contro il socialismo realizzato e la Resistenza antifascista, riabilitazione del ventennio mussoliniano e persino dell'antico feudalesimo, nonché della concezione idealista borghese della storia, della filosofia, della letteratura e dell'arte secondo cui sono gli eroi e non le masse a fare la storia. Viene esaltata la separazione fra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale disprezzando quest'ultimo a favore del primo. La competizione fra studenti per ottenere i voti migliori a prove che testano non la loro capacità di analisi, ma la loro memoria, prepara allo spirito di concorrenza selvaggia tipico del capitalismo.
Per noi invece la formazione avviene anche al di fuori delle aule scolastiche, passa attraverso il contatto vivo e attivo con la società e si realizza gradualmente acquisendo nuove e variegate esperienze. Bisogna avere il coraggio di dare fiducia ai giovani, farli sentire fautori e responsabili del loro presente e del loro futuro. Che c'è di catastrofico se, in orario di lezione, uno studente decide di andare a un museo, a vedere un film, a partecipare a un'iniziativa politica, ricreativa o culturale di qualsiasi tipo, o sbrigare delle faccende? Farà un'esperienza e imparerà a gestirsi il tempo compatibilmente agli studi.
Ma la borghesia non avrà mai questo coraggio perché teme che i giovani prendano coscienza che possono fare a meno del governo e delle istituzioni del capitalismo. Tale rivendicazione si può conquistare solo con la lotta e va vista in relazione con le battaglie più generali per la partecipazione studentesca alla didattica e per creare spazi culturali e ricreativi per i giovani e autogestiti dai giovani.
Non c'è nessuna contraddizione fra questa rivendicazione e quella per elevare l'obbligo scolastico a 18 anni, cioè per combattere la dispersione scolastica ed impedire che gli studenti più poveri debbano cominciare a lavorare prima di aver completato gli studi.
Mao, che ha sempre avuto un occhio di riguardo per la rivoluzione dell'insegnamento, non si stancava di ripetere un importante concetto: “Dal momento che ci sono facoltà di scienze e ingegneria, sarebbe inammissibile se gli studenti avessero solo conoscenze libresche e nessuna esperienza di lavoro pratico. Tuttavia, le facoltà umanistiche non sono altrettanto capaci di aprire le loro fabbriche: non sanno aprire fabbriche di letteratura, fabbriche di storia, fabbriche di economia, né fabbriche di romanzi. Le facoltà umanistiche devono fare della società intera la loro fabbrica. Gli insegnanti e gli studenti devono toccare con mano la realtà dei contadini e degli operai urbani, delle fabbriche e delle campagne. Altrimenti, dopo la laurea, questi studenti non saranno di grande utilità. Se, per esempio, gli studenti di giurisprudenza non entrano a contatto con situazioni reali della società in cui vengono commessi dei crimini, il bilancio del loro studio non potrà essere positivo. Non si possono aprire fabbriche di legge, perciò è la società stessa che va usata come fabbrica” . Insomma, aggiungeva, “è necessario concentrare le proprie energie per sviluppare una capacità di analisi e soluzione dei problemi. Non bisogna correre dietro al professore, senza alcuna iniziativa”.
Studentesse e studenti, confrontatevi con i marxisti-leninisti su questa proposta, aiutateci a diffonderla fra i vostri compagni di classe, nelle vostre scuole, negli ordini del giorno delle vostre assemblee, nelle piattaforme dei vostri collettivi. Proviamoci.
La Commissione giovani del CC del PMLI

9 dicembre 2015