Il Rapporto Cgil denuncia che sono irregolari il 50% delle aziende
Ridotti in schiavitù i braccianti immigrati nelle campagne pugliesi

La strage di braccianti verificatasi nelle campagne pugliesi nel corso di questa estate ha portato allo scoperto le brutali condizioni di schiavitù imposte da padroni senza scrupoli e dai caporali-negrieri a decine di migliai di immigrati e di lavoratori italiani costretti a lavorare nei campi come bestie anche per 15 ore al giorno in cambio di un “salario” di 15 – 20 euro al giorno.
È questa l'agghiacciante realtà che emerge dalle 300 pagine del terzo report «Agricoltura e lavoro migrante in Puglia» redatto dalla federazione della Flai Cgil pugliese e presentato il 12 novembre a Bari.
Secondo i dati della Flai i braccianti assunti in Puglia nel 2014 sono oltre 180mila, un quinto dell’intero paese. Se si analizza il rapporto dei soli braccianti stranieri sul totale - 40mila gli assunti registrati nella regione dall’Inps – la percentuale è del 29%, contro una media Italia del 35,2. “Dato che può trovare una spiegazione nella più forte vocazione al lavoro agricolo italiano ma di sicuro anche nel ricorso al nero degli stranieri”.
Non reale per la Cgil anche il dato relativo alle provenienze geografiche: dei 40mila braccianti stranieri regolarmente assunti in Puglia nel 2014, 19mila sono rumeni, 9mila tra albanesi e bulgari, “eppure basta attraversare le nostre campagne durante il periodo della raccolta del pomodoro perché ci si renda conto della grande presenza di lavoratori ‘neri’ sfuggita alle registrazioni Inps”.
Non tornano nemmeno i numeri delle giornate lavorate dagli stranieri: nel 2014 i cosiddetti “non aventi diritto”, ovvero quei braccianti che non superando le 50 giornate non accedono all’indennità di disoccupazione, sono 23mila, con punte del 65 per cento in provincia di Foggia, dove è registrata la metà dei 40mila braccianti stranieri assunti in Puglia. Dato che segnala due fenomeni congiunti ormai strutturali nel mercato del lavoro regionale: il ricorso importante a forme di lavoro nero o grigio, con giornate solo parzialmente registrate, e risulta davvero poco credibile che migliaia di uomini e donne si spostino in Puglia nella stagione delle grandi raccolte per lavorare solo dieci giorni. Elusioni riguardano anche la qualità dei contratti con i quali vengono assunti: “L’agricoltura pugliese non è all’anno zero, necessita di lavorazioni particolati, manodopera specializzata, ma prevale una contrattualizzazione al ribasso”.
Il report della Flai Puglia dedica un approfondimento anche al “sistema di accoglienza” dei lavoratori stranieri e in particolar modo ai lager per i braccianti agricoli costretti a vivere in baraccopoli fatiscenti e tendopoli auto costruite, senza servizi igienici, acqua potabile o energia elettrica. Un sistema “ideato da mediatori e caporali – in combutta con le amministrazioni locali che fanno finta di non vedere - in quanto vi è l’interesse del sistema produttivo agricolo a stipare manodopera ricattabile in grandi quantità e in pochi luoghi, lontani dagli occhi delle comunità e indifferenti anche alle forze dell’ordine”.
Questi lager sono gestiti direttamente dai pescecani capitalisti e dalla criminalità organizzata che speculano perfino sulla quota di affitto per un posto letto richiesta agli stagionali e sul trasporto per condurre i braccianti nelle campagne. “Uno spazio dove ciascuno ha il suo ruolo: chi lavora, chi paga, chi sfrutta, chi lucra” una manodopera – denunciano i rapporto redatti da Emergency e Medici per i Diritti Umani – che presenta sempre più diverse patologie muscolari e articolari in quanto “sfruttata, stanca, usurata, sottoposta a regimi di lavoro paurosi”.
Non a caso i dati della Flai confermano che, su 1.818 ispezioni effettuate nelle imprese agricole pugliesi dal ministero del Lavoro nel 2014, “925 (circa il 50%) si sono concluse con irregolarità”. Una media impressionante di irregolarità che però rappresenta solo la punta dell'iceberg.
In Puglia “il numero totale di operai a tempo determinato (Otd) dal 2013 al 2014 è passato da 180.748 a 181.273, registrando un aumento di 525 unità (+0,3%)”. La componente straniera “è passata da 39.599 a 40.707 unità mentre quella italiana è diminuita di 583 unità: il peso degli stranieri sul totale è passato dal 21,9% del 2013, al 22,5% del 2014, con la componente extracomunitaria che prende sempre più piede passando dal 33,9% del totale al 34,7%».
Irregolarità diffusa dunque. Che significa guadagni in nero per le aziende agricole e salari da fame per i braccianti. Milioni di euro che confluiscono nelle casse di imprese che operano nella totale illegalità con la connivenza e la compiacenza di padroni, capoirali, boss politici, amministrazioni e istituzioni locali. “La quantità di denaro che gira nel bestiale sistema del caporalato, nel solo periodo della raccolta del pomodoro, va dai 21 ai 30 milioni di euro”, è scritto nel rapporto. Un fenomeno da sempre vigente nelle campagne pugliesi, ma che negli ultimi anni è andato sempre più incancrenendosi, sino a raggiungere soglie di brutalità e di violenza mai viste prima.
Secondo il rapporto “il caporale specula da ogni schiavo da 1 a 2 euro a cassone e 5 euro a viaggio per accompagnarlo al lavoro”. Inoltre “gestiscono le abitazioni, si fanno pagare il fitto (circa 200 euro mese a testa). Speculano sul panino che forniscono con altri 2–3 euro di rincaro medio a pezzo, senza considerare quella sulla ricarica elettrica del cellulare (circa 3 euro a ricarica)”.
Altro che “rivoluzione gentile” e “rivoluzione copernicana” di cui cianciano l'ex governatore trotzkista e anticomunista Nicki Vendola (PRC) e il suo successore Michele Emiliano (PD): la Puglia governata per oltre un decennio dal “centro-sinistra” sul fronte dell'emancipazione del lavoro è tornata al Medio evo.

16 dicembre 2015