Assemblea nazionale sull'amianto
In Italia si muore d'amianto
Oltre 44mila i siti inquinati, 17mila le vittime. Di questo passo la bonifica totale avverrà fra 85 anni

 
Si è svolta lo scorso 30 novembre in Senato, alla presenza e con l'intervento di importanti figure istituzionali - il ministro dell'Ambiente, il presidente della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro del Senato e i presidenti di Inps e Inail - l'Assemblea nazionale sull'amianto. Proprio l'ufficialità della sede e l'alta carica degli intervenuti suonano come una gravissima autoaccusa di inettitudine, inefficienza e inaffidabilità da parte delle istituzioni borghesi nel loro complesso, le quali hanno per decenni consentito agli industriali di mettere a rischio la vita degli operai e delle popolazioni, salvo poi reagire, a decenni di distanza, con processi tardivi che comunque non fanno che confermare la gravità del pericolo costituito dall'amianto.
I dati che sono emersi sono agghiaccianti: il ministro dell’Ambiente Galletti nella sua relazione ha stimato in “44mila i siti presenti in tutto il Paese” che sono ancora contaminati dalla presenza del micidiale composto industriale, precisando peraltro che si tratta di una stima ormai datata e certamente più in difetto che in eccesso, in quanto, ha continuato lo stesso ministro che riferisce dati aggiornati al novembre di quest'anno, “alcune regioni non stanno provvedendo ad aggiornare la mappatura, in alcuni casi risalente a quasi sei anni fa, rendendo ancor più complessa l’azione di monitoraggio e di intervento”.
Il presidente dell'Inps, Boeri, ha poi quantificato che, a distanza di ventitré anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 che ha messo fuori legge il micidiale prodotto industriale, nel territorio italiano “ci sono ancora 32 milioni di tonnellate da smaltire e con questi ritmi si raggiungerà la bonifica totale solo fra 85 anni”.
Nella sua relazione Camilla Fabbri, presidente della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro del Senato (PD), dopo aver precisato che l'inefficienza nello smaltimento dell'amianto deriva anche dalla confusione che regna nel quadro normativo - oltre 400 testi sia legislativi sia regolamentari tra quelli statali e quelli regionali che spesso sono in contraddittorietà tra di loro e comunque di difficile armonizzazione e applicazione - ha precisato che i dati scientifici al momento disponibili in relazione al problema dell'amianto ”portano a prevedere per il 2020 il picco massimo di malattie a esso correlate”.
E' chiaro quindi, dalle sue stesse parole, che si sarebbe potuto e dovuto fare molto di più a partire dal 1992, e che parte dei ritardi sono addebitabili al sistema normativo nel suo complesso che ha implicitamente ostacolato, anziché risolvere, il problema dello smaltimento e della bonifica.
Il presidente dell’Inail, De Felice, ha poi sottolineato nella sua relazione che continuano ad aumentare di anno in anno i beneficiari del Fondo per le vittime dell’amianto, segno evidente che le conseguenze sociali sono destinate ad aggravarsi nell'immediato futuro, perché dai 13.965 del 2008 sì è passati ai 17.428 del 2014, con un aumento del 25% negli ultimi sette anni.
L’Anci infine ha lanciato un vero e proprio atto di accusa a Stato e Regioni, ricordando che i precedenti piani di bonifica, nonostante le sbandierate intenzioni, sono rimasti sempre sulla carta e non hanno ricevuto alcuna concreta attuazione: “la gestione della fase di dismissione – sottolinea l'associazione nazionale dei Comuni italiani - rimane ancora una questione aperta. Si tratta di un’emergenza da trattare come 'urgenza', visto che la stima per difetto delle vittime per neoplasie dovute all’amianto è di almeno 4mila decessi e il dato è atteso in crescita con picchi tra il 2020 e il 2025”.
I relatori intervenuti all'Assemblea nazionale sull'amianto hanno tenuto sempre presente i risultati scientifici emersi nel V Rapporto del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (RENAM) pubblicato nel 2015 dall'istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL), i cui dati sono drammatici: l’Italia risulta chiaramente essere attualmente uno dei Paesi al mondo più colpiti da patologie correlate all'asbesto: nel 2014 sono stati 1.736 casi di malattia grave legata all'amianto e 414 i morti, e nel 2013 si sono ammalate 1.907 persone con 658 morti, tutti eventi ascrivibili, tra il 1945 e il 1992, all'uso e all'utilizzazione di 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo prodotto nazionalmente e 1.900.885 tonnellate di amianto grezzo importato, utilizzazione continuata anche dopo che la ricerca scientifica (all'inizio degli anni Cinquanta) aveva dimostrato al di là di ogni dubbio la pericolosità del materiale.
Tra il 1993, continua il V Rapporto RENAM, sono stati rilevati 21.463 casi di mesotelioma, di questi il 93% a carico delle pleura, il 6,5% peritonali, oltre a 51 e 65 casi rispettivamente a carico del pericardio e della tunica vaginale del testicolo, con un'età media della diagnosi di 69,2 anni, perché l'amianto ha colpito soprattutto i lavoratori che sono stati per decenni a contatto con tale sostanza nociva: infatti solo il 9% delle persone colpite aveva meno di 55 anni al momento della diagnosi e solo il 2% dei casi ne aveva meno di 45.
Per ciò che riguarda il sesso degli intossicati da amianto, il 71,6 % dei 21.463 casi considerati è costituito da uomini, e la cosa è coerente con il fatto che negli stabilimenti industriali dove c'era la presenza di tale materiale la stragrande maggioranza erano di sesso maschile. Nel 76,9% dei casi registrati si è potuto con certezza comprendere la causa che ha provocato la malattia, e tra essi il 69,5% ha presentato esposizione professionale certa, probabile o possibile, il 4,8% familiare, il 4,2% ambientale, l'1,6% per svago o hobby, mentre per il restante 20% dei casi l'origine della malattia resta ignota.
Dal punto di vista della tipologia lavorativa, continua il Rapporto RENAM, relativamente al periodo tra il 1993 e il 2012 e considerando solo i soggetti colpiti con certezza dalla malattia per motivo professionale, i settori di attività maggiormente coinvolti sono l’edilizia (15,2% del totale della casistica), l’industria pesante, e in particolare la metalmeccanica (8,3%), la metallurgia (3,9%) e le attività di fabbricazione di prodotti in metallo (5,7%) i cantieri navali (6,7%) e l’industria del cemento-amianto (3,1%): una strage di operai, di famiglie operaie e di popolazioni che avrebbe potuto essere evitata proibendo l'uso dell'amianto già negli anni Cinquanta, mentre i governi e parlamenti che si sono succeduti pensavano più a salvaguardare l'interesse dei padroni, evitando loro lavori e ristrutturazioni costose al fine di attuare la bonifica, piuttosto che alla salute di decine di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie.

23 dicembre 2015