Nuovo processo per i medici accusati di omicidio colposo di Cucchi
Indagati cinque carabinieri accusati di aver pestato il giovane romano

“Quello che spero è che adesso si faccia chiarezza sugli aspetti medico legali e su quanto consulenti della Procura e periti della Corte di allora abbiano segnato le sorti di sei anni di processo per la morte di mio fratello. Oggi sento per la prima volta parlare di 'violentissimo pestaggio' e mi viene da chiedere cosa c’entra questo con la caduta nominata nella perizia. Oggi qualcuno ci dovrebbe delle scuse”.
Lo ha detto la sorella di Stefano Cucchi commentando il verdetto dei giudici della V sezione della Cassazione che il 15 dicembre hanno annullato l'assoluzione di 5 medici dell'ospedale Pertini e disposto nei loro confronti un processo d'appello-bis per omicidio colposo.
La sentenza della Cassazione insieme all'avvio di un'inchiesta bis della procura di Roma che nelle settimane scorse ha iscritto a diverso titolo cinque carabinieri nel registro degli indagati potrebbero finalmente segnare un punto di svolta nell'assassinio di Stato del giovane geometra romano di 31 anni, arrestato dai carabinieri la notte del 15 ottobre del 2009, tradotto a suon di botte, manganellate, calci e pugni, prima nella stazione Appia, poi alla caserma Tor Sapienza e infine affidato alla polizia penitenziaria per il ricovero urgente presso l'ospedale Pertini dove Stefano morì il 22 ottobre del 2009 a sei giorni dall'arresto a causa del feroce pestaggio subito.
Sul banco degli imputati nel nuovo processo d'appello saliranno il primario Aldo Fierro, i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preipe e Silvia Di Carlo. Diventano invece definitive le assoluzioni degli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, del medico Rosita Caponetti e degli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe.
Per quanto riguarda invece l'inchiesta-bis, il 10 dicembre la procura di Roma, nel quadro dei nuovi accertamenti avviati dal procuratore Giuseppe Pignatone e dal Pubblico ministero (Pm) Giovanni Musarò, ha inoltrato una richiesta di incidente probatorio per chiedere al Giudice per le indagini preliminari (Gip) una nuova perizia medico legale sulle lesioni patite dal giovane la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009 quando “Stefano Cucchi fu sottoposto a un violentissimo pestaggio da parte di carabinieri appartenenti al comando stazione di Roma Appia".
"Leggendo queste cose mi immagino cosa avrà potuto soffrire Stefano in quella notte - ha detto la sorella, Ilaria - Noi non abbiamo mai smesso di sperare e a questo punto possiamo dire che finalmente io e la mia famiglia ci stiamo avvicinando alla verità".
Nella richiesta di incidente probatorio si legge fra l'altro che: "Fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l'esatta ricostruzione dei fatti e l'identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dai carabinieri appartenenti al comando stazione Appia".
Nell'inchiesta sono indagati cinque carabinieri della stazione Roma Appia: si tratta di Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco (tutti per lesioni personali aggravate e abuso d'autorità), nonché di Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini (per falsa testimonianza e, il solo Nicolardi anche di false informazioni al pm). In particolare, ai primi tre si contesta, dopo avere proceduto all'arresto di Cucchi per detenzione di droga e dopo aver eseguito una perquisizione domiciliare, "spingendolo e colpendolo con schiaffi e calci, facendolo violentemente cadere in terra" - si legge nel capo d'imputazione - di avergli cagionato "lesioni personali, con frattura della quarta vertebra sacrale e della terza vertebra lombare".
Nello specifico, scrive ancora la procura nella premessa alla richiesta inoltrata al Gip: "non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D'Alessandro e di Alessio Di Bernardo nelle fasi dell'arresto di Stefano Cucchi. Il nominativo dei due militari infatti non compariva nel verbale di arresto, pure essendo gli stessi pacificamente intervenuti già al momento dell'arresto di Cucchi e pur avendo partecipato a tutti gli atti successivi". Un fatto a dir poco anomalo al quale si aggiunge un'altra inquetante circostanza finalizzata al tentativo di allontanare ogni sospetto dagli indagati, ossia: "Fu cancellata inoltre ogni traccia di passaggio di Cucchi dalla compagnia Casilina per gli accertamenti fotosegnaletici e dattiloscopici al punto che fu contraffatto con bianchetto il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento". Inoltre, si legge ancora, che "nel verbale di arresto non si diede atto del mancato fotosegnalamento". Inoltre, sostengono ancora gli inquirenti: “Stefano Cucchi non fu arrestato in flagranza per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale perpetrato presso i locali della compagnia carabinieri di Roma Casilina né fu denunciato per tale delitto, omissione che può ragionevolmente spiegarsi solo con il fine di non fornire agli inquirenti alcun elemento che potesse spostare l'attenzione investigativa sui militari del comando stazione carabinieri di Roma Appia". Quanto accaduto nella stazione Casilina, si legge ancora, "fu taciuto agli altri Carabinieri che avevano partecipato all'arresto di Stefano Cucchi". Per quanto riguarda gli indagati Mandolini e Nicolardi, rispettivamente Comandante e appuntato scelto della Stazione Carabinieri Appia all'epoca dei fatti, sono indagati per aver taciuto davanti ai giudici della Corte d'Assise ciò che sapevano in merito alle condizioni di salute di Stefano Cucchi e delle responsabilità dei carabinieri accusati del pestaggi.
La richiesta di una nuova perizia medico-legale, in sede d'incidente probatorio (il cui esito avrebbe valore di prova in un eventuale processo) è basata sulle risultanze di una consulenza del radiologo Carlo Masciocchi, il quale nelle radiografie ha trovato una frattura lombare recente sul corpo di Cucchi. Per gli inquirenti questo elemento di novità "rende necessaria una rivalutazione dell'intero quadro di lesività anche ai fini della sussistenza o meno di un nesso di causalità tra le lesioni patite da Stefano Cucchi a seguito del pestaggio, e poi la morte".
Ma non è tutto, perché agli atti dell'inchiesta bis ci sono anche alcune intercettazioni telefoniche del settembre del 2015 fra l’ex moglie e Raffaele D’Alessandro, uno dei carabinieri indagati, che smentiscono totalmente le palesi falsità dichiarate dai massacratori in divisa durante la prima inchiesta e al processo.
Davanti al Pm la donna ha confermato il contenuto delle intercettazioni e ha riferito di aver appreso dall'ex marito carabiniere "che la notte dell'arresto Stefano Cucchi era stato pestato da lui e da altri colleghi della Stazione Appia", e che in particolare il militare le disse: "Gliene abbiamo date tante a quel drogato di merda". Lo stesso carabiniere, aggiunge l'ex moglie, ascoltata lo scorso 19 ottobre, "raccontava anche di pestaggi ai danni di altri soggetti, che erano stati arrestati o che comunque avevano portato in caserma in altre circostanze. Ricordo in particolare che Raffaele mi parlò di un violento calcio che uno di loro aveva sferrato al Cucchi. Preciso che Raffaele raccontava che il calcio fu sferrato proprio per provocare la caduta. Quando raccontava queste cose Raffaele rideva, e davanti ai miei rimproveri, rispondeva: 'Chill è sulu nu drogatu è merda'... mi raccontava anche di pestaggi ai danni di extracomunitari, anche se non si trattava di pestaggi di questo livello".
Agli atti dell'inchiesta ci sono anche le testimonianze di due militari della stazione Appia, Riccardo Casamassima e Maria Rosati. Davanti agli inquirenti hanno confermato ciò che l’allora comandante dell’Appia, maresciallo Mandolini, a ottobre del 2009, riferì a loro e al comandante della stazione di Tor Vergata: “Il Mandolini mettendosi una mano sulla fronte mi disse: 'È successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato'. Poi si diresse verso l’ufficio del comandante della stazione, il maresciallo Enrico Mastronardi. All’interno dell’ufficio c’era anche il carabiniere Maria Rosati la quale ebbe modo di ascoltare qualche cosa in più. In particolare, come riferitomi dalla Rosati, Mandolini fece il nome dell’arrestato (Cucchi) e aggiunse che stavano cercando di scaricare la responsabilità sugli agenti della polizia penitenziaria».
Mentre Luigi Lainà, detenuto con Cucchi nell’ottobre del 2009, ha aggiunto: “Dissi a Cucchi che se era stata la penitenziaria a ridurlo in quelle condizioni, noi avremmo fatto un casino. Cucchi mi rispose che era stato picchiato dai carabinieri all’interno della prima caserma da cui era transitato nella notte dell’arresto. Aggiunse che era stato picchiato da due carabinieri in borghese, mentre un terzo, in divisa, diceva agli altri due di smetterla”.
La prima inchiesta da parte dei Pm di Roma fu avviata all'indomani della morte di Cucchi e si concluse il 5 giugno del 2013 con il processo di primo grado davanti alla Corte d’assise di Roma che assolse i tre agenti della polizia penitenziaria imputati e i tre infermieri del Pertini finiti sotto processo. Condannati invece a pene comprese fra gli 8 mesi e i 2 anni di reclusione 6 medici. Il 31 ottobre 2014 la Corte d’assise d’appello di Roma addirittura mandò assolti tutti gli imputati "perché il fatto non sussiste". Il 12 gennaio 2015 vengono depositate le motivazioni della sentenza contro cui il pg di Roma Mario Remus presenta ricorso in relazione all'accusa di omicidio colposo. Nel frattempo si dispone la trasmissione degli atti al Pm per nuove indagini sulle violenze subite da Cucchi e la Procura di Roma apre un’inchiesta-bis.
Insomma, come ha detto il pg Nello Rossi nella sua requisitoria in Cassazione: "Non c'è alcun dubbio di natura oggettiva che le violenze subite da Stefano Cucchi sono state poste in essere in un arco di tempo che va dalla perquisizione notturna a casa dei genitori di Cucchi (dove Stefano è arrivato ancora illeso) alla fine della sua permanenza a piazzale Clodio per la convalida del suo arresto".
La morte di Stefano Cucchi è stato "un fatto di eccezionale gravità" perché il giovane "è sempre, dico 'sempre', stato nella custodia di uomini appartenenti a corpi dello Stato che legittimamente lo avevano arrestato e ne avevano limitato la libertà ma che proprio in ragione di questo potere avevano l'assoluto dovere di custodirne l'integrità fisica e di rispettarne la dignità", ha continuato il pg della Cassazione Nello Rossi. La "gravità" della vicenda di Stefano Cucchi "rende meritorio l'impegno dei suoi familiari e dei loro difensori nella loro ostinata ricerca della verità", ha sottolineato Nello Rossi. Che ha chiesto ai giudici della V sezione penale della Cassazione di non "mettere una sorta di pietra tombale sulle cause della morte di Cucchi perché si formerebbe una sorta di improprio giudicato sulla inconoscibilità del decesso" e questo peserebbe anche sulle altre inchieste in corso su questa vicenda.
Infine, sui nuovi "sviluppi investigativi" il Pg Rossi ha detto che "le violenze nei confronti di Stefano Cucchi indubitabilmente ci sono state per cui resta l'auspicio che i nuovi accertamenti facciano luce sulla parte ancora oscura e inesplicata di questa vicenda. Non si deve essere ciechi e sordi. Su un caso umano e processuale già molto complicato, si innesta il fatto nuovo di un'indagine che riparte nei confronti di altri soggetti".

5 gennaio 2016