Dopo l'esecuzione di un leader sciita
Braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran per l'egemonia regionale
Aumentano i pericoli di guerra

 
Lo scorso 2 gennaio in 12 diverse città dell'Arabia Saudita sono state effettuate 47 esecuzioni riguardanti per lo più militanti di al Qaeda, 43 condannati per gli attentati compiuti nel paese tra il 2003 e il 2005; tra gli altri è stato ucciso Nimr al-Nimr, un religioso sciita leader delle proteste nella regione di Qatif in prigione da tre anni. E proprio la sua esecuzione è stata letta per quello che era, non tanto una guerra di religione tra le due correnti dell'Islam, le confessioni sciita e sunnita, ma una sfida al vicino concorrente per l'egemonia locale, l'Iran di Rohani appena rivitalizzato dall'accordo sul nucleare con Obama.
La protesta iraniana partiva dalla condanna dell'esecuzione da parte della guida suprema Ali Khamenei e da un assalto all'ambasciata saudita a Teheran, condannata dal presidente Rohani; il 3 gennaio Riad rompeva le relazioni diplomatiche con Teheran, seguita da Bahrain e Sudan, espellendo i funzionari iraniani e ritirando i propri dalla capitale persiana; il 4 gennaio sospendeva tutti i voli da e verso l'Iran.
Il vecchio re saudita Abdullah aveva reagito alla Primavera araba finanziando le controrivoluzioni in Nord Africa, in opposizione a Qatar e Turchia; il successore Salman, a fronte del cambio di priorità dato dagli Usa di Obama che favorivano l'uscita dall'isolamento dell'Iran, apriva la guerra diretta in Yemen contro i ribelli houthi, appoggiati da Teheran, e recuperando l'alleanza con la Turchia di Erdogan e il Qatar sembra puntare a uno scontro con la Repubblica islamica; quantomeno per fermarne l'ascesa a potenza regionale, una volta che è ancora più forte per l'asse stretto con la Russia di Putin e i favori del governo sciita di Baghdad che comunque opera ancora sotto la tutela degli Usa.
I problemi dell’Arabia Saudita cominciano a essere diversi, a partire dalla crisi economica causata dalla diminuzione dei prezzi del petrolio. A fine 2015 il governo di Riad rendeva noto il deficit di bilancio pari a 98 miliardi di dollari, un record negativo per la petromonarchia che fonda l’85% delle proprie entrate sulla vendita di greggio. E nel settore energetico dovrà far fronte alla concorrenza iraniana una volta che Teheran potrà riprendere appieno l'esportazione dei greggio.
L'Iran, detentore della quarta riserva mondiale di petrolio, dopo l’accordo con gli Usa sul nucleare dello scorso luglio dovrebbe veder superate le sanzioni nel corso del 2016 e può tornare a mettere sul mercato fino a 1 milione di barili al giorno; non ci sono problemi per Teheran se il prezzo del greggio per questa nuova immissione di prodotto potrebbe calare ancora perché, secondo il delegato iraniano all’Opec, il
costo di produzione per barile può scendere senza problemi sotto i 10 dollari al barile; un prezzo che farebbe diventare una voragine il deficit saudita.
Questi sviluppi della guerra del greggio tra l'altro colpirebbero poco le finanze della Stato islamico (Is) che, dopo gli attacchi portati soprattutto dai caccia russi alle vie di commercio del greggio, secondo alcuni economisti ha dallo scorso ottobre diversificato le proprie fonti di entrate.
Proprio nella guerra allo Stato islamico Teheran si è conquistata la fiducia dell'imperialismo americano; una volta che Obama aveva deciso di disimpegnarsi in parte dalla scenario mediorientale per concentrarsi nel Pacifico si è costruito una nuova alleanza con l'Iran di Rohani a fianco degli alleati storici Israele e Arabia Saudita.
Re Salman ha reagito tra l'altro con l'annuncio a fine 2015 della formazione di una coalizione di 34 Paesi musulmani contro il terrorismo, intendendo non solo quello dell’Is ma soprattutto quello di provenienza sciita, leggi iraniana. E con le esecuzioni del 2 gennaio ha platealmente rilanciato lo scontro politico, non certo guerra di religione, con Teheran, in condizioni molto diverse da quando si è innescato la prima volta con la rivoluzione antimperialista islamica del 1979. Aumentando anzitutto i pericoli di guerra già ampiamente alimentati dalla crisi mediorientale e dalla guerra imperialista all'Is.

13 gennaio 2016