La proposta dei sindacati confederali per “nuove” relazioni industriali
Cgil, Cisl e Uil accettano il modello Marchionne
Un modello contrattuale corporativo di tipo mussoliniano, basato sul collaborazionismo, la cogestione delle imprese e la flessibilità, funzionale al capitalismo

Alla fine i tre sindacati confederali hanno ritrovato l'unità, almeno su alcune questioni. Questo riavvicinamento è stato comunque sufficiente per mettersi d'accordo partorendo un documento dal titolo “Un moderno sistema di relazioni industriali”, che vuol essere una controproposta alle richieste della Confindustria che da tempo sta facendo pressing su Cgil, Cisl e Uil per definire un nuovo modello contrattuale.

Un corporativismo del 21° secolo
Sia chiaro che questa ritrovata unità dei vertici dei sindacati confederali non ha portato niente di buono ai lavoratori. Il documento è composto da diciassette pagine che, se saranno messe in pratica, comporteranno pesantissime conseguenze alle relazioni sindacali e il peggioramento delle condizioni economiche e normative nelle fabbriche e negli uffici. Si tratta di un'impostazione che non riconosce più nelle regole contrattuali “il campo di gioco” in cui le “parti sociali” si affrontano per portare avanti le proprie rivendicazioni, ma un modello che ha come obiettivo l'efficienza del capitalismo italiano. Ne esce fuori un sindacato corporativo che, come nel fascismo, assegna al lavoratore il ruolo di collaboratore del suo stesso padrone, mettendo insieme sfruttato e sfruttatore, che invece di essere antagonisti li vuole uniti nell'interesse supremo di rendere competitivo il “sistema Italia”.
Un corporativismo del 21° secolo, non rigido come quello mussoliniano, ma adattato a un capitalismo “avanzato” e “globalizzato”, dove la flessibilità della forza-lavoro e dei salari sono una componente fondamentale richiesta dai capitalisti. La premessa è molto chiara: servono nuove regole perché vi è “l'esigenza che il Paese sappia cogliere i timidi segnali di ripresa”. Solo una volta in tutto il testo si afferma che l'obiettivo è aumentare l'occupazione, innumerevoli volte invece si tirano in ballo l'efficienza, la competitività, la produttività, l'ammodernamento.
Questa impostazione pervade tutto il documento e rispunta fuori quando si parla delle regole. La contrattazione deve attenersi a quanto stabilito dall'Accordo sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, un patto neocorporativo che prevede un sindacato istituzionale. Ricordiamo brevemente che quell'accordo prevede la certificazione del grado di rappresentanza sindacale con un metodo poco limpido ammettendo solo chi supera il 5%, che nell'unità produttiva siano rappresentate solo le organizzazione firmatarie di accordi aziendali, la titolarità alla contrattazione nazionale riservata solo a chi ha accettato il precedente accordo e lo stesso Testo Unico.
Queste regole rappresentano un forte attacco alla democrazia sindacale e alla libertà dei lavoratori che ledono anche il diritto di sciopero. Difatti alcuni articoli prevedono sanzioni contro chi contesta intese nazionali, locali e aziendali. Per fare un esempio la Fiom a Pomigliano sarebbe stata messa fuori dalla fabbrica e gli sarebbe stato impedito di scioperare e con questo accordo la Fiat si sarebbe trovata dalla parte della ragione e i metalmeccanici da quella del torto. Un'intesa voluta dai vertici confederali per conservare il loro monopolio ed emarginare altri sindacati più conflittuali ma sopratutto voluta dai padroni per evitare accordi separati che spesso lasciano uno strascico di scioperi, malumori e la mobilitazione di una parte di lavoratori.

Svuotamento del contratto nazionale
Una delle prime cose che balza agli occhi è l'attacco frontale al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Sono anni che i padroni ne chiedono l'eliminazione o almeno il suo svuotamento e svilimento e Cgil, Cisl e Uil accolgono appieno la richiesta. Il CCNL rimane ma non conta quasi più nulla, è ritenuto superato, inadatto, “non sono più immaginabili schemi rigidi ed immutabili nel tempo” recita il documento. Per Cgil, Cisl e Uil “le trasformazioni intervenute nei mercati e, conseguentemente, nei sistemi produttivi impongono, a questo proposito, una riconsiderazione della composizione quantitativa e qualitativa dei CCNL”.
Vuol dire che il suo ruolo sarà minore rispetto al passato: “i contratti nazionali stabiliranno linee guida per lo sviluppo della contrattazione di secondo livello, assumendo una nuova e maggiore titolarità nel definire le norme di rinvio”. Il grosso delle questioni salariali e normative sarà quindi trasferito dalla contrattazione nazionale a quella territoriale come vogliono Squinzi e Confindustria. Quelle contenute nella proposta sindacale non sono direttive generiche, ma delle precise indicazioni tanto che nei vari CCNL deve essere prevista una parte dove va indicato il tipo e la quantità di contrattazione da ricondurre a livello aziendale, di gruppo, di sito, di unità produttiva/operativa.
Questo nuovo modello di relazioni industriali manda definitivamente in soffitta il principio “pari salario per pari lavoro” sostituendolo con la retribuzione legata alla produttività, quindi aumenti solo se in quella precisa azienda si lavora di più, ma non solo. Si aggiungono tante altre variabili oltre a quella di settore che già esisteva, adesso si dovranno tenere più in considerazione anche le diversità “dimensionali, territoriali, di mercati di approvvigionamento e di vendita e, quindi, organizzative” e “di settore, comparto, filiera, distretto”. In questo modo è inevitabile che si ricreino le gabbie salariali, ancor più frammentate di quelle esistenti fino al 1970. Quello della flessibilità dell'orario e del salario sono una vera e propria ossessione per i sindacati confederali che evocano ripetutamente “l'esigenza di tutela di specifiche realtà”.
In questa proposta non c'è niente che possa contrastare il precariato e il Jobs Act. Sulla proliferazione dei tipi di contratti atipici e le nuove forme di lavoro subordinato ci sono solo delle vaghe e generiche considerazioni, niente di concreto che possa invertire la tendenza ma piuttosto una presa d'atto del peggioramento e dell'instabilità dei rapporti di lavoro. Non vi è il minimo tentativo di contrastare le misure introdotte dalla controriforma voluta da Renzi, si chiede solo di ricondurre alla contrattazione i licenziamenti collettivi per motivi economici, mentre per il controllo a distanza c'è la richiesta di non usarla per misure disciplinari. Ma dal momento che c'è perché i padroni non doverebbero usarla?

Bilateralità e “partecipazione”
Il tratto neocorporativo della proposta emerge con forza nei capitoli dedicati agli enti bilaterali, alla formazione aziendale, al cosiddetto welfare contrattuale, alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'azienda a cui, non a caso, è dedicato un ampio spazio. Si parte con la formazione, finanziata dai Fondi Professionali, promossi dai sindacati, finanziati e generalmente gestiti dalle aziende con lo scopo di aumentare la produttività. Si sottolinea che vi dovranno essere maggiormente presenti i rappresentati dei lavoratori, i quali, anziché ricevere formazione dai sindacati la riceveranno dai padroni.
Si passa poi al welfare aziendale. Praticamente Cgil-Cisl-Uil, pur senza dirlo, partono dal presupposto che le pensioni e i servizi sociali e sanitari pubblici saranno ulteriormente ridimensionati e i lavoratori dovranno essere incentivati a finanziarseli singolarmente, e così facendo contribuiranno ad affossare quel sistema di tutele universali ottenuti in decenni di lotte. Quindi vogliono sviluppare il già avviato sistema della previdenza complementare e cui affiancare la sanità integrativa, ovvero le polizze assicurative sul modello nordamericano. Si arriva perfino a chiedere che lo Stato, per creare infrastrutture e opere pubbliche, utilizzi i soldi risparmiati e tolti ai lavoratori e ai pensionati.
La “collaborazione” e la “partecipazione” occupano un intero capitolo. Le organizzazioni confederali sono “consapevoli della esigenza ineludibile per l’intero sistema di imprese del nostro Paese di assumere e governare scelte strategiche e complesse di lungo periodo per misurarsi in termini competitivi in uno scenario globale” e offrono ai padroni la collaborazione dei lavoratori attraverso un “nuovo modello di relazioni industriali”. Una partecipazione alle strategie e all'organizzazione delle aziende e anche al suo andamento economico e finanziario. Una partecipazione in cui è prevista la presenza dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza, anche se “in un equilibrio non necessariamente paritario”. Una partecipazione che non potrà conciliare i diversi interessi ma farà perdere ai lavoratori la propria autonomia legandoli agli interessi aziendali.

Salario legato alla produttività
Come abbiamo già detto questo è uno dei pilastri delle nuove e “moderne” relazioni industriali, “dovrà, quindi, essere ampliata l’esperienza compiuta in questi anni sul salario di produttività” si afferma. I nuovi CCNL non dovranno più avere la funzione primaria di adeguamento salariale al costo della vita (e stabilire norme uguali per tutti), ma anche quelle di stimolare la competitività delle imprese. Un'impostazione da sempre sostenuta dal sindacato collaborazionista e aziendalista per eccellenza, la Cisl.
Il salario regolato dal CCNL dovrà basarsi sui dati macroeconomici, cioè l'andamento generale, seguito da quello settoriale e l'adeguamento, cioè l'eventuale aumento non arriverà (almeno in parte) già alla firma del contratto, ma verrà calcolato durante la sua valenza. Un'altra novità negativa è poi rappresentata dall'allungamento della vigenza contrattuale che dagli attuali 3 dovrebbe passare a 4 anni con ulteriore perdita di potere d'acquisto per il lavoratore. Il salario non sarà calcolato solo sulla busta paga netta, ma anche sulla previdenza e sanità integrativa. Già oggi, negli ultimi rinnovi contrattuali, le associazioni padronali se la stanno cavando aumentando la loro quota nel welfare aziendale senza mettere un euro in busta.
In conclusione possiamo affermare che Cgil-Cisl-Uil accettano il famigerato modello Marchionne, lo stesso che ritroviamo nella recente “proposta organica” di Federmeccanica nel corso del rinnovo del contratto metalmeccanico. Nel tentativo di evitare un intervento tramite legge da parte dell'esecutivo guidato dal nuovo duce Renzi che escluderebbe i cosiddetti “corpi intermedi” e di venire emarginati, i sindacati confederali anticipano il governo e i padroni con una proposta di “nuove relazioni industriali” che partorisce un modello contrattuale corporativo di tipo mussoliniano, basato sul collaborazionismo e la flessibilità, funzionale al capitalismo.
 
 
 
 

20 gennaio 2016