La Rpd di Corea testa la bomba H per la difesa
I paesi imperialisti, inclusi Cina e Russia, l'Onu e l'UE condannano l'esperimento

 
La Repubblica popolare democratica di Corea (Rpd) ha annunciato il 5 gennaio di aver effettuato con esito positivo un test nucleare sotterraneo nel sito di Punggye-ri. L'agenzia di stampa nordcoreana Kcmu sottolineava che il governo di Pyongyang avrebbe continuato a sviluppare il suo programma nucleare allo scopo di proteggersi contro le politiche ostili degli Stati Uniti e “la loro posizione di aggressione”. In ogni caso il governo nordcoreano, annunciava l'agenzia, agirà come uno Stato nucleare responsabile, prometteva di non usare le sue armi a meno che la sua sovranità non sia minacciata e che non avrebbe trasferito le sue capacità nucleari ad altri paesi.
Ma la Rpd non è un paese allineato con l'imperialismo ed è immediatamente partita la condanna dell'esperimento dai principali paesi imperialisti, inclusi Cina e Russia, dall'Onu e dall'Unione europea.
La prima reazione contraria è stata quella di Usa e Corea del Sud che hanno minacciato Pyongyang di ritorsioni. Il ministero della Difesa di Seul comunicava che, a seguito di una telefonata tra il capo del Pentagono Ashton Carter e il suo omologo sudcoreano Han Mon Koo, i due paesi intendevano coordinarsi per una reazione "appropriata" nei confronti della Corea del Nord, pronti anche a un "dispiegamento di armi strategiche".
Il 9 gennaio Un B52, il bombardiere strategico americano in grado di trasportare ordigni nucleari, partito dalla base statunitense sull'isola di Guam, effettuava un volo di “avvertimento” verso la Corea del nord, sorvolando la Corea del sud non distante dal confine tra le due. Una ennesima provocazione contro il governo di Pyongyang.
Nato e Russia viaggiavano di concerto. “Se il test fosse confermato, sarebbe un nuovo passo di Pyongyang nel percorso dello sviluppo di armi nucleari, che è una flagrante violazione della legge internazionale e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu”, si affermava in una nota del ministero degli Esteri di Mosca. Parole simili a quelle del segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, che sollecitava inoltre Pyongyang ad abbandonare non solo i "programma esistenti per missili balistici e nucleari in maniera completa, verificabile e irreversibile" ma anche "la sua retorica incendiaria e minacciosa", oltre a impegnarsi in "credibili e autentici negoziati sulla denuclearizzazione". Insomma, la resa completa ai diktat dell'imperialismo.
Il primo ministro nipponico Shinzo Abe definiva il test nucleare nordcoreano addiritura “una minaccia diretta alla sicurezza del Giappone” e annunciava che avrebbe chiesto al presidente americano Obama di “concordare una linea comune in seno alle Nazioni Unite” perché era necessario “mandare un messaggio molto forte alla Corea del Nord e fare in modo che la smetta con queste provocazioni”.
Condannava l'esperimento nucleare la Ue, attraverso l'Alto rappresentante per la politica estera, l'italiana Federica Mogherini, e i singoli paesi come le potenze nucleari Francia e Gran Bretagna; il rappresentante britannico al Palazzo di Vetro annunciava che “lavoreremo con gli altri a una risoluzione su ulteriori sanzioni”. La condanna del Consiglio di sicurezza dell'Onu intanto arrivava puntuale e, come spesso succede di recente, all'unanimità. E accompagnata dalla minaccia di nuove sanzioni.
Infatti anche il socialimperialismo cinese si univa al coro. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, dichiarava che il governo di Pechino invitata “con forza la Corea del Nord a rimanere ferma nel suo impegno di denuclearizzazione e a fermare ogni azione che potrebbe far peggiorare in tempi rapidi la situazione. La Cina non era stata informata di quanto accaduto oggi, e prenderà le sue contromisure”.

20 gennaio 2016