A 25 anni dall'intervento militare capeggiato dagli Usa che vide la partecipazione dell'Italia di Andreotti
Con la guerra nel Golfo l'imperialismo ha provocato la nascita dello Stato islamico

Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, con un diluvio di bombe e missili Cruise sulla città di Baghdad, iniziava l'operazione “Tempesta nel deserto”, che una coalizione internazionale imperialista guidata dagli Usa di Gerge Bush senior aveva scatenato contro l'Iraq di Saddam Hussein, ufficialmente promossa sotto il mandato dell'Onu per “liberare” il Kuwait occupato il 1° agosto 1990 dalle truppe del dittatore iracheno.
Era la prima guerra del Golfo, che sarebbe durata 43 giorni di bombardamenti ininterrotti, condotti da 2800 aerei che sganciavano 250 mila bombe in più di 100 mila raid, tra cui le micidiali bombe a grappolo e all'uranio impoverito capaci di uccidere, mutilare e avvelenare per anni la popolazione civile. Insieme a quelle Usa partecipavano ai bombardamenti forze aeronavali e terrestri inglesi, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi, affiancate da contingenti inviati da paesi arabi confinanti, tra cui l'Arabia saudita, che forniva anche le basi terrestri di partenza per i raid. Anche la Nato, pur non partecipando ufficialmente alla guerra, metteva a disposizione le sue basi militari e le sue strutture di comunicazione. L'Unione Sovietica, allora già agonizzante, guidata dal rinnegato Gorbaciov, stava a guardare limitandosi a tentare qualche fiacca opera di mediazione.
Il 23 febbraio le truppe della coalizione imperialista guidate dal generale americano Schwarzkopf, forti di mezzo milione di uomini e appoggiate dal più impressionante dispositivo aeronavale dai tempi della seconda guerra mondiale, scatenavano l'offensiva di terra, che in pochi giorni e con il massacro di decine di migliaia di soldati di Saddam in ritirata disordinata dal Kuwait, portava alla resa del dittatore e al “cessate il fuoco” proclamato da Bush il 28 febbraio.

Una guerra per sancire il predominio Usa
Quel primo intervento militare nel Golfo servì all'imperialismo americano a sancire il nuovo ordine internazionale creato dalla caduta del muro di Berlino nell'89, dalla resa dell'Unione Sovietica socialimperialista e dal conseguente dissolvimento del Patto di Varsavia, che per decenni, durante la “guerra fredda”, avevano fatto da contraltare all'imperialismo americano e alla Nato. Approfittando di questa occasione storica l'imperialismo Usa, unica superpotenza mondiale rimasta allora in campo, adottò una strategia per consolidare e rimanere tale negli anni a venire, e fu proprio con la guerra del Golfo che sperimentò sul campo quella che di lì a poco sarebbe diventata la nuova “strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, con al centro la supremazia e l'interventismo degli Usa su scala globale.
L'occasione gli fu fornita dallo stesso Saddam, che fino ad allora era stato una sua creatura e un suo protetto. Lo aveva armato e foraggiato negli anni '80, anche attraverso gli alleati storici sauditi e le altre monarchie petrolifere del Golfo, per scatenarlo contro l'appena nata Repubblica islamica dell'Iran in una sanguinosa guerra durata fino al 1988, dalla quale l'Iraq era uscito però con le ossa rotte e con un debito stratosferico di 70 miliardi di dollari, di cui 40 verso Arabia Saudita e Kuwait. E continuò a foraggiarlo e armarlo, anche con armi proibite come i gas letali, nella sua repressione contro il popolo curdo.
Quando il Kuwait cominciò a reclamare da Saddam la restituzione del debito di guerra, e il dittatore iracheno per tutta risposta cominciò a rivendicare l'annessione del Kuwait (uno Stato creato artificialmente dagli imperialisti inglesi per dividere i due popoli), l'allora ambasciatrice Usa a Baghdad lasciò intendere a Saddam che gli americani non intendevano interferire nel contenzioso tra i due Stati. Ciò suonò per il dittatore come un via libera all'invasione, che avvenne nell'agosto del 1990, facendo così il gioco dell'imperialismo Usa nel fornirgli l'atteso pretesto all'intervento militare per “liberare” il Kuwait aggredito.

Caratteristiche senza precedenti
Fu una guerra per molti aspetti senza precedenti, sia per l'enorme sproporzione di forze e di mezzi, sia per le nuove tecnologie sperimentate nelle armi convenzionali impiegate e che le rendevano micidiali e distruttive quasi quanto quelle nucleari, e anche per il totale asservimento alla coalizione imperialista dei mezzi di informazione, che da allora in poi sarebbero diventati completamente “embedded”, cioè esclusivamente al seguito e al servizio mediatico delle truppe imperialiste, rinunciando anche a quel minimo di indipendenza che aveva intralciato la propaganda dei comandi militari nelle guerre del passato.
Anche l'Italia di Andreotti era entrata in guerra a fianco degli Usa, violando per la prima volta in modo eclatante l'articolo 11 della Costituzione (fino ad allora aveva partecipato ufficialmente solo a missioni “di pacificazione”), e da lì in poi non sarebbe più tornata indietro, conformando il suo “nuovo modello di difesa” e il suo nuovo esercito mercenario e interventista alla nuova concezione della “difesa degli interessi nazionali dovunque sia necessario” adottata dal rinato imperialismo italiano. E questo sia sotto i governi della destra che della “sinistra” borghese avvicendatisi nei successivi decenni. Se infatti sulla prima guerra del Golfo la “sinistra” borghese aveva votato contro l'intervento, otto anni dopo sarà essa stessa, con il governo del rinnegato D'Alema, a volere e guidare l'intervento italiano a fianco degli Usa di Clinton e della Nato contro l'allora Federazione Jugoslava. Ed oggi a guidare con il nuovo duce Renzi l'interventismo italiano in Afghanistan e in Iraq e a preparare l'intervento imperialista in Libia.

12 anni di “guerra silenziosa”
Con il “cessate il fuoco” Bush padre non pose però fine alla guerra. Rinunciò soltanto a proseguirla fino a invadere l'Iraq e destituire Saddam, per timore di avvantaggiare indirettamente l'Iran. Saddam gli serviva ancora, come contrappeso alla Repubblica islamica e come pretesto per altri futuri interventi. Tant'è vero che sull'Iraq sconfitto fu istituita una “no fly zone”, che permetteva ai bombardieri Usa e britannici di continuare i bombardamenti contro le installazioni militari del rais per tenerlo sotto controllo, e un micidiale embargo durato oltre un decennio, una “guerra silenziosa” che ha provocato nella popolazione irachena più vittime della guerra stessa: oltre un milione di vittime per la mancanza di cibo e medicine, tra cui la metà bambini.
Su questo paese già stremato dalla guerra e dall'embargo si sono poi abbattuti i massacri e le devastazioni della seconda guerra del Golfo scatenata nel 2003 dalla coalizione imperialista guidata da George Bush figlio e dal suo alleato Blair, con l'invasione e l'occupazione del Paese, a cui ha preso parte in una fase di poco successiva anche l'Italia imperialista di Berlusconi. Una guerra che ha fatto almeno un altro milione di morti tra la popolazione civile, per non parlare delle decine di migliaia negli anni dell'occupazione militare e della repressione della resistenza irachena.

Le radici dello Stato islamico
E' in questo tragico contesto che sono stati gettati, per mano stessa degli invasori americani e dei loro alleati, i semi che hanno dato origine allo Stato islamico (IS). Applicando la dottrina imperialista del “divide et impera” e sfruttando la divisione storica tra islamici di fede sunnita e sciita, gli invasori americani hanno insediato a Baghdad governi fantoccio sciiti che per anni hanno emarginato e vessato la popolazione sunnita, finché da questa e dagli ex militari di Saddam e del partito Baath che avevano condotto la resistenza contro le truppe Usa nelle città del triangolo sunnita, non è scaturita una reazione militare che saldandosi a milizie islamiche operanti in Siria contro Assad, ha portato alla formazione dello Stato islamico. Uno Stato che ha l'ambizione di ridisegnare l'assetto di quelle regioni del Medio Oriente, principalmente la Siria e l'Iraq, che era stato creato artificialmente dagli imperialisti inglesi e francesi dopo la dissoluzione dell'impero ottomano per dividere e dominare meglio quei popoli e quei territori ricchi di petrolio.
Cominciata per affermare la supremazia della superpotenza americana nel mondo, la guerra del Golfo ha finito per incendiare tutto il Medio Oriente. Sono 25 anni (36 se si contano dall'invasione dell'Afghanistan da parte del socialimperialismo sovietico) che questa martoriata regione del mondo, in ogni suo più remoto angolo, dalla Palestina, all'Iraq, dalla Siria allo Yemen, dall'Afghanistan alla Libia, non conosce ininterrottamente che le bombe, i massacri e le invasioni delle potenze imperialiste, a cui si è aggiunta recentemente la Russia del nuovo zar Putin, e che volta a volta guerreggiano contro il nemico da demonizzare e da “estirpare” per riportare la “pace”: ieri Saddam, poi Al Qaeda e oggi lo Stato islamico, ma sempre per avere un pretesto per continuare a invadere quei territori e depredare le loro ricchezze.
Il PMLI, come dimostra la storia de “Il Bolscevico”, si oppose fermamente a quella guerra, così come oggi, cosciente che è la barbarie dell'imperialismo che genera barbarie, si oppone fermamente alla guerra senza sbocchi all'IS, che è stato provocato proprio da quella sciagurata guerra. Trattare con lo Stato islamico, e non bombardare, è l'unica soluzione per cessare la guerra in Iraq e Siria. E impedire che ne vada di mezzo anche il nostro popolo per le rappresaglie a cui questa guerra fatalmente lo espone.

27 gennaio 2016