Il papà Boschi si è rivolto a Carboni (P3) per salvare la Banca Etruria

Lo scandalo finanziario e il gigantesco conflitto di interessi innescato dal cosiddetto decreto salvabanche con cui il governo il 22 novembre scorso ha sacrificato i piccoli risparmiatori truffati e ha invece salvato dal fallimento la Banca popolare dell'Etruria, la Banca Marche, la Cassa di risparmio di Chieti e la Cassa di risparmio di Ferrara, confermano il forte odore di massoneria che aleggia intorno a Palazzo Chigi e dentro il cosiddetto “giglio magico” del nuovo duce Renzi e della fedelissima ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, sostenuti e osannati dai “poteri forti” nazionali e internazionali, dai mercati finanziari e dai mass-media di regime.
Le cronache di questi giorni raccontano che nella primavera 2014 il papà della ministra, Pier Luigi Boschi, appena nominato vicepresidente dell'Etruria e a soli due mesi dall’ingresso della figlia nel governo, intervenne attivamente sull’assetto societario dell'istituto e cercò di “salvare” la banca rivolgendosi al faccendiere piduista legato ai servizi segreti Flavio Carboni. Proprio colui che nel '98 è stato condannato in via definitiva a 8 anni e sei mesi per il crack del Banco Ambrosiano e risulta implicato in quasi tutte le peggiori inchieste politico-massoniche-affaristico-criminali degli ultimi trent'anni: dalla P2 di Gelli all'omicidio Calvi, dalle speculazioni immobiliari con Berlusconi al sequestro Moro, dalla banda della Magliana alla scomparsa di Emanuela Orlandi fino alle tangenti per l'eolico in Sardegna, con annessa associazione segreta (la cosiddetta P3), insieme a Verdini, Dell'Utri e altri per conto di "Cesare" (Berlusconi) il cui processo è in corso di svolgimento. A confermarlo è lo stesso Carboni che in una intervista a “Libero” del 16 gennaio ha detto che a presentargli il papà della Boschi è stato l'imprenditore 46enne di origini sarde Valeriano Mureddu, indicato da “Libero” come massone legato ai servizi segreti, cresciuto a pochi passi da casa Renzi a Rignano sull’Arno e poi stabilitosi ad Arezzo.
“Ho conosciuto Pier Luigi Boschi a Roma nella primavera del 2014, ci siamo incontrati tre volte sempre informalmente... Non abbiamo mai parlato direttamente tra di noi”. Ma sono stato io, su richiesta di Boschi, a indicare la persona “ritenuta adeguata per il ruolo di direttore generale dell’istituto... Io segnalai Fabio Arpe (finanziere e fratello del più noto Matteo, ndr), nome che poi fu riportato a Boschi da Mureddu e da questi proposto in consiglio di amministrazione”.
Del resto, avverte Carboni: "Mureddu conosce da antica data sia Tiziano Renzi… (che Pier Luigi Boschi, ndr)… Ha certamente nella sua mente fatti e misfatti, diciamo così, è una persona che ha avuto dei rapporti molto frequenti e molto affettuosi con i due… Gli ha fatto grossissimi favori… Questa è una bomba atomica, se esplode è un casino e nientepopodimeno cadono tutti e due (Renzi jr e la Boschi, ndr) e appresso a loro il governo". Carboni allude ai “Grossissimi problemi economici dei Renzi, alcuni dei quli li ha risolti Mureddu” e di cui esistono prove documentali inoppugnabili.
Mureddu, sempre su Libero, non smentisce ma si giustifica dicendo che; “Non c’è nulla di male a rivolgersi alle persone che si ritengono intelligenti e affidabili”, ma a un certo punto, incalzato dall'intervistatore, insinua: "Sapete molte cose, ma vi manca il nome più importante…" e poi aggiunge: “Quando Boschi, parlando a tavola del più e del meno, mi ha chiesto se per caso conoscessi qualcuno da inserire in banca, ho pensato di rivolgermi a chi sapevo avere una rete affidabile di persone”. Quindi contattai Carboni, “che stimo profondamente... Gli presentai Boschi e poi gli chiesi se conosceva qualcuno, nulla di straordinario”.
Mureddu ha ottimi rapporti non solo con i Boschi ma con tutto il “giglio magico” di Renzi. Conosce benissimo il premier e suo padre Tiziano ma, dice, “non li ho più sentiti da quando lui è diventato presidente del Consiglio, per non dar adito a strani pensieri”. Mentre sui rapporti con Boschi dice di averlo conosciuto perché “Mi occupavo di agricoltura ad Arezzo e per questo gli chiesi consiglio per delle vigne”. E quando è stato lui ad avere bisogno io ho ricambiato il favore attivando la mia rete di amicizie per aiutarlo “come si fa tra persone che si stimano”.
Insomma un “galantuomo” appassionato di agricoltura ma allo stesso tempo esperto di alta finanza al punto da dispensare consigli al vicedirettore di una banca e per giunta a gratis, “senza chiedere niente in cambio”. Sic!
Mureddu risponde che con Renzi, Boschi e Carboni: “Siamo amici, non massoni”. Ma fa finta di non ricordare che Carboni è sempre stato al fianco di Gelli e della P2 ed è tutt'ora sotto processo per la cosiddetta loggia P3. Finge di non sapere che la procura di Perugia ha già da tempo avviato indagini sull'attività dei massoni nel triangolo tra Firenze, Perugia e Arezzo.
Mureddu evita soprattutto di tirare in ballo Gianmario Ferramonti, ex amministratore della “Pontidafin” la finanziaria della Lega Nord, con “grandi amici” presso il dipartimento di stato americano fra cui il lobbista Enzo De Chiara, ma soprattutto assiduo frequentatore di massoni, faccendieri e agenti dei servizi segreti, in intimi rapporti con l'ex capo della sicurezza Telecom Giuliano Tavaroli e con Gelli tanto da essere l’unico a prendere parte ai suoi funerali il 15 dicembre scorso ad Arezzo. È infatti proprio a Ferramonti che Carboni si rivolge per avere il nome del nuovo direttore generale di Banca Etruria da suggerire a Mureddo e Boschi. “Flavio mi chiamò per chiedermi se conoscevo qualcuno di valido – ha confermato Ferramonti - Io gli dissi che lo conoscevo sì, uno veramente bravo e capace, una persona seria e preparata e gli feci il nome di Fabio Arpe”.
Tutto “normale” insomma, secondo Carboni, Mureddu e Ferramonti che assicurano che non ci sarebbero “complotti e massoneria, sono solo rapporti neanche tra amici ma tra persone che si stimano”. Si tratterebbe solo di persone legate da semplici “rapporti di amicizia e stima” con stretti legami di parentela dentro Palazzo Chigi e comunque in grado di condizionare quantomeno una parte importante del sistema bancario e finanziario italiano se non addirittura di tenere sotto ricatto il governo come testimonia il fatto che Fabio Arpe si precipitò all'incontro con Boschi proprio perché questi “è il papà di un ministro della Repubblica. Non si dice di no a cuor leggero a un incontro simile". E dal canto suo Boschi sponsorizza insieme all’allora presidente dell’istituto di credito, Lorenzo Rosi, il nome di Arpe dentro il consiglio di amministrazione di Banca Etruria come possibile direttore generale nella seduta del 23 luglio 2014. E se alla riunione successiva, del 13 agosto 2014, la candidatura di Arpe non va in porto e al suo posto viene nominato Daniele Cabiati, ex Banca Popolare di Milano, è solo perché Bankitalia sa che Arpe era stato multato dalla Vigilanza nel dicembre 2012 per la Marzotto Sim. In più lo stesso cda di Etruria era già stato multato per oltre 2 milioni di euro e lo stesso Boschi aveva ricevuto una sanzione da 144 mila euro da Palazzo Koch.
Insomma, mentre Banca Etruria era tecnicamente fallita, il padre della ministra per le Riforme, che tra l'altro si è sempre difeso sostenendo di non avere deleghe operative, veniva promosso da consigliere di amministrazione a vicepresidente e lavora sotto traccia in combutta col presidente Rosi per nominare direttore generale un uomo sposorizzato da un plurinqusito in odore di P2, già condannato per bancarotta fraudolenta e tutt'ora sotto processo per la P3 insieme al massone plurinquisito Verdini, ex berlusconiano e oggi grande sponsor del governo Renzi e delle controriforme costituzionali.
Altro che “persone per bene” come vorrebbero far credere Renzi e la Boschi, questa vicenda puzza da lontano di P2 e P3.

3 febbraio 2016