Visita in Nigeria, Senegal e Ghana
Renzi alla conquista dell'Africa
Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere mondiale” per l'imperialismo italiano

 


“Usciamo da questa due giorni in Africa con la consapevolezza che l'Italia è un grande paese e che in questo essere grande paese abbiamo bisogno di essere più forti nello scacchiere mondiale, più forti in particolar modo nella relazione con l'Africa”. Questa dichiarazione di Renzi al termine della visita di Stato effettuata dal 1° al 3 febbraio in Nigeria, Ghana e Senegal, al di là dei pur cospicui accordi economici firmati, rivela l'ambizioso disegno politico celato nella sua politica estera, che mira a guadagnare nuovi spazi di espansione all'imperialismo italiano ispirandosi alla politica colonialista ed espansionista di Mussolini verso l'Africa.
Una politica che il nuovo duce persegue da quando è alla guida del Paese, e non a caso ha messo l'accento sul fatto che è già la terza volta che si reca in Africa, dopo la visita in Mozambico, Congo e Angola nel 2014 e quella in Etiopia e Kenya dell'anno scorso, al termine della quale ebbe a dichiarare che “una strategia di politica estera degna di questo nome non può che mettere al centro dell'interesse italiano l'Africa, le sue potenzialità, le sue contraddizioni, le sue ricchezze. Dopo anni di immobilismo finalmente si riparte”.
Dopo l'Africa centrale e quella orientale è ora la volta dell'Africa occidentale, e non appare casuale la scelta di questi tre paesi, Nigeria Ghana e Senegal, come ex colonie ancora nella sfera di influenza di Gran Bretagna e Francia, per farsi largo tra le potenze che contano, contendere loro il terreno di conquista acquisito, e permettere anche all'Italia di sfruttare le enormi ricchezze di petrolio, gas e materie prime, ma anche di potenzialità agricole e commerciali, che possiede questa immensa regione.
A questo scopo Renzi si è fatto accompagnare da uno stuolo di dirigenti delle più importanti aziende pubbliche, dall'Eni del suo amico Descalzi, un gruppo che è col 7% il primo produttore di idrocarburi del continente tra tutte le compagnie internazionali, presente da 60 anni in Africa e da 40 in Nigeria, a Enel Green Power, da Italferr del gruppo FS a Cassa depositi e prestiti, di manager di aziende private come Ice, Sace, Simest, Anas International, Cnh Industrial, Trevi, Ge Nuovo Pignone, Maire Technimont e Telecom, nonché da una nutrita delegazione di Confindustria e di imprenditori e uomini d’affari con interessi nell'Africa subsahariana.

“L'Africa è la priorità e l'Italia ci deve essere”
Questa visita l'ha spiegata così lo stesso Renzi, sul suo sito di news alla vigilia della partenza: “Per la terza volta in meno di due anni una delegazione di Palazzo Chigi scende sotto il Sahara (non era mai accaduto nei 70 anni precedenti), allo scopo di rafforzare il ruolo, l’amicizia, gli interessi, i valori dell’Italia”. Roma, ha aggiunto, “può giocare un ruolo se ha il coraggio di avere una strategia politica di ampio respiro. Non due battute buone per fare un po’ di demagogia in tv. Noi investiamo sull’Africa perché pensiamo che sia doveroso per il nostro posizionamento geografico e geopolitico. Se vogliamo combattere la povertà, sradicare il terrorismo, affermare valori condivisi l’Africa oggi è la priorità. E dopo anni di assenza, l’Italia ci deve essere”.
Ma oltre ai lucrosi affari economici in questa visita c'erano in ballo importanti questioni politiche, come gli accordi con questi paesi sulla lotta comune al “terrorismo islamico” e il rimpatrio dei migranti respinti dall'Italia, tanto che a questo scopo Renzi si era portato dietro il capo della polizia Pansa, e ha firmato un primo memorandum d'intesa con il primo ministro nigeriano: “Il nostro sostegno va a voi nella lotta contro Boko Haram e in particolare nella lotta contro terrorismo”, ha detto a questo proposito Renzi al presidente nigeriano. “Io credo sia priorità per la comunità internazionale considerare l’Africa come una priorità. Abbiamo molti attacchi che avvengono nel mondo, abbiamo toccato con mano questi tragici attacchi compiuti dai terroristi, ma io considero personalmente una priorità dare molta attenzione a questa regione del pianeta”.
E soprattutto in ballo c'era la questione della candidatura dell'Italia a un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza dell'Onu per il 2017-2018, una partita che sarà giocata al Palazzo di vetro il prossimo giugno e per il successo della quale l'appoggio dei paesi africani potrebbe essere decisivo. Il nuovo duce considera questa partita come prioritaria nel quadro di far entrare l'imperialismo italiano nel club ristretto delle nazioni che determinano la politica globale. Lo aveva detto chiaro e tondo anche nel luglio scorso alla conferenza degli ambasciatori italiani. “Vorrei che tutti voi sentiste questa (la battaglia per il seggio al Cds dell'Onu, ndr) come una priorità assoluta. Questa non è la battaglia di un singolo governo, ma di un intero Paese”, li aveva arringati Renzi, proclamando poi con enfasi nazionalista mussoliniana che “comunque vada la discussione politica, penso che l’Italia abbia un futuro straordinario: tra 20 o 30 anni saremo leader in Europa e nel mondo”.

Tribuna africana per sfidare Bruxelles
La sua terza visita in Africa è avvenuta subito dopo l'incontro con la Merkel e in contemporanea con le polemiche ingaggiate con la Commissione europea sulla questione della “flessibilità” dei conti dell'Italia, polemiche che sono continuate anche a distanza e anzi si sono intensificate nel corso delle varie tappe africane di Renzi. Il nuovo duce, che alla stregua di Craxi a Sigonella nei confronti degli americani, ha ormai indossato con la Germania e la Commissione europea la casacca del nazionalismo mussoliniano per rivendicare un maggior peso dell'imperialismo italiano nella UE e nel mondo, ha approfittato della tribuna mediatica africana per alzare la posta e lanciare sfide sempre più sfrontate ai “burocrati” di Bruxelles che richiamano l'Italia al rispetto dei rigidi limiti di bilancio imposti dai trattati europei.
Prendendo spunto dalla precisazione piccata di Bruxelles, seguita alla decisione di Roma di sbloccare i contributi italiani alla Turchia per tenersi i rifugiati siriani, che quei soldi non sarebbero stati conteggiati nel deficit, ma che per le spese relative al salvataggio dei migranti nel Tirreno, per le quali l'Italia rivendica analogo trattamento, ogni decisione era rimandata alla prossima sessione di bilancio di primavera, Renzi ha commentato con sarcasmo che “se non fosse una cosa seria scapperebbe da ridere a pensare che si vuole operare una distinzione tra i morti nel mare Egeo e i morti nel mar Tirreno”. E dicendo no a “polemicucce da quattro soldi”
ha aggiunto in tono sferzante: “Non voglio fare polemiche che lasciano il tempo che trovano. Noi siamo l'Italia e l'Italia è un grande paese che ogni anno dà a Bruxelles molti più soldi di quelli che riceve”. Lo facciamo, ha proseguito Renzi, perché crediamo in essa. “Ma proprio per questo non prendiamo lezioncine da nessuno dei nostri amici europei. Siamo pronti a imparare da tutti ma il tempo in cui da Bruxelles ci dicevano cosa fare e cosa no è finito”.

Dottrina neocolonialista mussoliniana
Quello di Renzi non è semplice bullismo parolaio, o una tattica elettoralistica consistente nel fare la voce grossa con l'Europa per nascondere le difficoltà e alzare i sondaggi in casa propria, come è stato detto da molti, o almeno non è solo questo. La sua è invece una vera e propria rivendicazione mussoliniana del riconoscimento di un maggior ruolo dell'imperialismo italiano nel mondo, del riconoscimento delle sue storiche sfere di interesse e di espansione. A cominciare dall'Africa, e in particolare dalla Libia, dove ha ottenuto di guidare l'imminente missione militare internazionale contro lo Stato islamico. Un riconoscimento che il nuovo duce conta di essersi ormai guadagnato e che pretende di far valere anche per merito della massiccia presenza militare dell'Italia in Afghanistan, Iraq e in altri teatri della guerra al “terrorismo”, come ha riconosciuto Kerry al vertice anti-Daesh di Roma e come ha confermato subito dopo Obama a Mattarella.
Non per nulla, parlando ad una conferenza stampa durante la visita in Ghana, il nuovo duce ha svelato la sua dottrina neocolonialista mussoliniana verso l'Africa con queste parole: “Noi come Italia dobbiamo ricordarci chi siamo. Ovunque siamo considerati un punto di riferimento importante. Per anni siamo stati assolutamente decisivi nella vita di alcuni di questi paesi, e possiamo esserlo ancora”.
 
 

10 febbraio 2016