L'Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l'intervento armato in Libia
Vertice imperialista a Roma per “distruggere” l'IS
Kerry: “L'Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi”
Aumentano i rischi delle ritorsioni terroristiche in Italia

L'Italia imperialista di Renzi è sempre più coinvolta nella guerra allo Stato islamico (IS), esponendo sempre di più il nostro popolo alle ritorsioni terroristiche. Lo dimostra il recente vertice dei ministri degli Esteri della coalizione internazionale anti-Daesh tenutosi a Roma, il terzo dopo quelli di Londra del gennaio 2015 e di Parigi del giugno 2015: in questo momento, cioè, l'Italia è da molti punti di vista la base più avanzata in Europa per la guerra all'IS, vuoi per la sua vicinanza ai teatri in cui questa guerra si svolge, vuoi per le dimensioni del suo impegno militare (con circa 1000 uomini è il più alto in Iraq dopo gli Usa), e vuoi per le sue sempre più scoperte ambizioni espansionistiche nel Mediterraneo e in Nord Africa, e in particolare verso la Libia, dove punta a guidare l'imminente intervento militare internazionale contro l'espansione dello Stato islamico.
È in segno di riconoscimento di questo ruolo di punta dell'Italia, che il vertice del cosiddetto “Small Group” (piccolo gruppo), la Coalizione globale anti-Daesh di Stati impegnati nella guerra all'IS, si è svolto alla Farnesina, co-presieduto dal ministro degli Esteri Italiano, Paolo Gentiloni, e dal segretario di stato Usa, John Kerry. Vi hanno preso parte i rappresentanti di 23 paesi: Australia, Bahrain, Belgio, Canada, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Norvegia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia, Emirati Arabi, Regno Unito e Stati Uniti, più l'alto rappresentante Esteri della UE, Federica Mogherini e un rappresentante delle Nazioni Unite come osservatore.

Guerra totale all'IS
Al termine dei lavori il vertice dei ministri degli Esteri ha emesso una dichiarazione in cui sono stati vantati grandi progressi nella guerra all'IS, grazie al “grande impeto, con un forte impatto” delle azioni militari della coalizione, che avrebbero respinto Daesh dal 40% del territorio iracheno e ottenuto “risultati tangibili” in Siria, “anche con bombardamenti aerei”. La guerra e i bombardamenti quindi “funzionano”, secondo loro, e non c'è motivo di cercare altre vie, come eventuali trattative, per riportare la pace nella regione. I ministri ribadiscono anzi l'impegno “a combattere questa barbara organizzazione fino alla sua definitiva sconfitta”, escludendo cioè qualsiasi altra soluzione che non sia la guerra totale e a qualsiasi prezzo allo Stato islamico fino alla sua distruzione completa. A chi toccherà poi pagare questo prezzo – le popolazioni civili arabe e (per ritorsione) europee – non è una questione che li riguardi.
I ministri si dicono infatti “consapevoli che Daesh rappresenta una minaccia terroristica nei nostri confronti, come dimostrato dagli attacchi terroristici barbari ed efferati in Turchia, Francia e in altri paesi”, ma rassicurano le popolazioni dei rispettivi paesi che “Daesh sta perdendo sia territori che credibilità in Iraq e Siria”, e che tali minacce saranno sventate grazie al contrasto alle fonti di finanziamento dell'IS, alla riduzione del flusso di combattenti stranieri, alla “cooperazione tra i nostri servizi di intelligence” (di cui elencano una sfilza di organismi internazionali creati ad hoc) e alle agenzie di propaganda, basate in particolare negli Emirati e in Gran Bretagna, per “mettere a nudo la falsa ideologia e la narrativa di Daesh”.
I ministri ribadiscono altresì il sostegno incondizionato al governo fantoccio e corrotto di Haider al-Abadi in Iraq, accolgono “con soddisfazione” la decisione dell'Afghanistan di unirsi alla coalizione e, infine, dichiarano di seguire “con preoccupazione l'influenza crescente di Daesh in Libia”, prefigurando così che questo sarà il prossimo obiettivo da colpire per la coalizione imperialista anti-IS.
“Il mondo si aspetta sicurezza da noi e noi distruggeremo Daesh”, ha detto bellicosamente Kerry, aggiungendo senza mezzi termini che il tema da discutere a Roma era quello di come “aumentare gli sforzi per vincere questa guerra”. Una dichiarazione in linea con la notizia contemporanea che il ministero della Difesa Usa ha aumentato del 50% il budget per la guerra all'IS, salendo a 7,5 miliardi di dollari. Come dire in pratica che siamo un'altra volta alla “guerra infinita” di Bush, tant'è che Kerry ha avvertito che “cercheremo di schiacciare l'IS in ogni angolo, ma questa guerra sarà lunga, ci vorrà del tempo, abbiamo già provato a farlo per smantellare Al Qaeda, è un impegno più lungo per tutti”.

Nessuna “ritrosia” a bombardare
Più diplomatico nella forma, ma concorde nella sostanza, è stato Gentiloni, che nell'aprire il vertice ha detto che nella lotta al Daesh sono stati fatti “importanti progressi, ma di fronte abbiamo un'organizzazione molto resistente e quindi non dobbiamo sottovalutarla”. In ogni caso l'Italia sta facendo la sua parte, come ha ribadito il ministro alla vigilia del vertice in un'intervista a “Il Messaggero”, in cui alla domanda se vi fosse della ritrosia nel governo italiano a rispondere alle sollecitazioni fatte dal capo del Pentagono Carter alla sua collega Pinotti lo scorso dicembre a partecipare attivamente ai bombardamenti in Iraq, come rivelato recentemente dal “New York Times”, il titolare della Farnesina ha risposto: “Nessuna ritrosia. L'Italia è uno dei 5 o 6 paesi al mondo più impegnati nel contrasto a Daesh... siamo leader nella formazione delle forze di polizia irachene che devono riprendere il controllo delle aree liberate. Cerchiamo di farlo coordinando anche lo sforzo di altri Paesi. Abbiamo addestrato oltre 2mila peshmerga curdi, e continuiamo a farlo”.
Gentiloni ha confermato anche l'imminente invio in Iraq, probabilmente a primavera, di altri 450 uomini per la protezione dei lavori di riparazione della diga di Mosul, il cui appalto è stato affidato a una ditta italiana, la Trevi. Inoltre il Consiglio dei ministri ha disposto l'invio di altri 130 soldati specializzati in ricerca e soccorso elitrasportato, con piloti, meccanici, medici e una squadra di protezione: a che scopo, se non nel quadro dell'imminente partecipazione dei Tornado italiani di stanza in Kuwait ai bombardamenti in Iraq, e/o allo scontro diretto delle truppe inviate a Mosul con i guerriglieri dell'IS?
Non a caso, durante il vertice di Roma, Kerry ha rivolto un elogio sperticato all'Italia, in omaggio al suo eccezionale impegno militare nella “guerra al terrorismo”, e anche in riconoscimento delle sue ambizioni egemoniche regionali nel Mediterraneo e in Nord Africa, a cominciare dalla Libia: “L'Italia è stata grandiosa, il suo impegno nella coalizione è sostanziale, uno dei più grandi in termini di persone, di contributi finanziari e militari in Iraq e, in particolare, per il suo ruolo di leadership in Libia”, ha detto infatti il segretario di Stato Usa.
Via libera all'intervento in Libia
Le parole di Kerry suonano come un eloquente via libera degli Usa al comando italiano dell'intervento militare in Libia, che i governi imperialisti occidentali stanno preparando e che scatterà non appena il governo di coalizione libico, che però fatica a trovare un accordo, ne farà formalmente richiesta. Intervento che comunque è già in fase avanzata e che avverrà presto, in un modo o nell'altro, come ha lasciato intendere la guerrafondaia Pinotti in un'intervista al “Corriere della Sera”, in cui ha detto: “Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo. Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazioni, tanto meno unilaterali: siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibili”.
Fermo restando che l'intervento potrebbe scattare in qualsiasi momento “nel caso di un'emergenza”, quale potrebbe essere un'improvvisa avanzata dello Stato islamico in Libia: “La stessa missione Mare Sicuro - ha aggiunto a questo proposito la ministra della Difesa - nata come operazione anti-scafisti (sic), prevedeva sin dall’inizio l’eventualità della lotta al terrorismo: ci dà infatti una capacità di intervento nel caso di rischi per le nostre piattaforme o di altro genere. Per lo stesso motivo abbiamo già spostato degli aerei a Trapani e costantemente aggiornato la raccolta di informazioni sul terreno”.
L'Italia, insomma, aumenta la sua presenza militare e il grado di intervento bellico in Iraq, e nello stesso tempo intensifica i preparativi per guidare una missione di guerra in Libia: un'escalation imperialista, giustificata con la guerra santa all'IS, alla quale occorre opporsi risolutamente e senza ambiguità, anche perché espone il nostro Paese e il nostro popolo a sanguinose ritorsioni terroristiche.

10 febbraio 2016