C'è il rischio che si replichi lo stesso copione dello scandalo di Banca Etruria
La riforma delle BCC prepara la strada alla banca renziana
Il vicepresidente di Confcooperative: “Ci riporta indietro di decenni, ai giorni del fascismo che sciolse le associazioni cooperative”

Il Consiglio dei ministri (Cdm) del 10 febbraio ha approvato una serie di provvedimenti riguardanti il settore bancario, tra cui un decreto di riforma delle banche di credito cooperativo (Bcc), l'accelerazione del recupero crediti attraverso agevolazioni alla vendita sul mercato degli immobili dati in garanzia alle banche, e la garanzia statale sui crediti deteriorati, in recepimento di un accordo con Bruxelles che riguarda i 200 miliardi di sofferenze bancarie. É stato invece stralciato, con la scusa di velocizzarne i tempi di attuazione, l'atteso decreto sul rimborso ai risparmiatori truffati dalle quattro banche “salvate” - Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti - rinviandolo a due provvedimenti amministrativi, di cui un decreto del ministro dell'Economia e un decreto della presidenza del Consiglio, che non sono soggetti al voto del parlamento.
Ma quello che ha fatto più discutere, anche perché al momento in cui scriviamo nessuno ne conosce ancora il testo esatto, è il decreto sulla riforma delle Bcc, che il governo ha motivato con la necessità di rafforzare un sistema troppo frammentato concentrandolo in un solo soggetto più solido e competitivo. Tuttavia quello che è emerso ufficialmente basta e avanza per spiegare i dubbi, le polemiche e perfino le denunce che sono piovute sul provvedimento, riproponendo quasi in fotocopia quelle sollevate dal decreto salvabanche dello scorso novembre.
La riforma delle Bcc era all'esame da più di un anno da parte del ministero dell'Economia, della Banca d'Italia e dell'associazione di categoria, la Federcasse, sulla base dell'autoriforma proposta da quest'ultima, che per il rafforzamento del settore prevedeva tra l'altro la loro trasformazione in banche popolari, e/o la creazione di più raggruppamenti bancari su base regionale o provinciale. Proposte del tutto ignorate e non accolte nel decreto governativo, che invece stabilisce che le circa 370 Bcc, dotate di 4.000 sportelli in 2.700 comuni, hanno l'obbligo di consorziarsi aderendo entro 18 mesi ad un unico gruppo bancario cooperativo, che avrà per capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore al miliardo di euro, pur “mantenendo l'autonomia” delle singole Bcc. A chi non lo farà Bankitalia non rilascerà l'autorizzazione a operare come banca di credito cooperativo.

Una clausola sospetta
Ma accanto a questo il governo ha aggiunto una clausola secondo la quale le banche che non vogliono aderire al gruppo unico potranno farlo, purché siano dotate di riserve di capitale di almeno 200 milioni e versino un'imposta straordinaria del 20% sulle riserve. In questo modo diventeranno a tutti gli effetti delle spa acquisendo nel loro capitale le suddette riserve. Uno schema, come ha spiegato Renzi, che ricalcherebbe quello della Unipol e delle grandi cooperative di consumo. Ed è questa la misura che ha destato più sospetti e polemiche, in quanto prefigurerebbe in sostanza una privatizzazione sotto altra forma, riflettente anche profili di incostituzionalità, perché il patrimonio appartiene ai soci e non può essere privatizzato, inoltre non sarebbe più vincolato al territorio e ai gruppi sociali a cui appartiene.
“Forti preoccupazioni” sono state espresse infatti da Federcasse, che giudica discriminatorio e incostituzionale il tetto dei 200 milioni, mentre l'incorporazione delle riserve nel capitale della spa sarebbe una violazione delle leggi sulla cooperazione ispirate all'art. 45 della Costituzione, che riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
Ancor più esplicita è stata Confcooperative, che attraverso una nota del suo vicepresidente, Ottolini, esprime “profonda delusione” e parla di “violenza istituzionale che ci riporta indietro di decenni, ai giorni del fascismo che sciolse le associazioni cooperative”. Secondo Ottolini, infatti, “il governo di centrodestra, mosso in passato da istinti punitivi nei confronti della cooperazione, ha capito e rispettato la natura cooperativa. Assistiamo, invece, in questo caso a intese con il governo stravolte per assecondare altre necessità (sic) nel progetto di riforma delle Bcc. Abbiamo creduto anche alle dichiarazioni di Renzi che più volte ha ribadito i valori della cooperazione, ma le misure annunciate ieri sono un attacco al cuore delle Bcc e della cooperazione in generale”.

“Emiliani” contro “toscani”
Si assiste perfino al paradosso di Forza Italia che protesta per il provvedimento renziano parlando di “colpo al cuore al sistema cooperativo”! Mentre il M5S chiede a Mattarella di non firmare il decreto. E il PD? Secondo alcune voci vi sarebbe uno scontro interno tra “emiliani” e “toscani”, i primi a difesa del sistema cooperativo “bianco” e “rosso” su cui da sempre poggiano le loro fortune politiche, e i secondi decisi a smantellarlo in nome della riscossa del vecchio sistema di potere clientelare democristiano rivitalizzato dai renziani. Apparterrebbero alla prima fazione quei ministri che hanno espresso riserve in Cdm sul decreto, come quello dell'Ambiente Galletti e quello dei Trasporti Delrio. E naturalmente, e a maggior ragione, vi apparterrebbero anche i bersaniani, con l'ex segretario PD che su Facebook si è lamentato infatti che “liberare le riserve di una cooperativa creerebbe un precedente molto serio. Si tratta di colpire al cuore il concetto stesso di cooperazione”. Aggiungendo che “una cooperativa esiste in quanto impresa delle generazioni. Tremonti pensò a operazioni del genere, poi per fortuna ci ripensò. Qui si rischia di farle senza pensarci troppo”.
Sulla clausola inserita a sorpresa della possibilità per alcune Bcc più grosse di uscire dall'obbligo di consorziarsi trasformandosi in spa si allunga inoltre l'ombra del conflitto di interessi. Quante e quali sono infatti le Bcc che ne avrebbero la possibilità? Secondo Mediobanca sarebbero una quindicina, con un patrimonio di 4 miliardi su un totale di 20, e potrebbero arrivare ad una ventina con qualche fusione tra banche minori. Tra queste si sono già dimostrate molto interessate a sfruttare questa possibilità la Cassa padana e le banche toscane. E proprio due di queste, la BCC di Cambiano del gruppo Cabel, la più antica e la quarta per grandezza, che raccoglie 9 Bcc tra Toscana e alto Lazio, e Chiantibanca, sono al centro di polemiche per i sospetti di aver ispirato la clausola in questione.

Strano girotondo di banche toscane
La Bcc di Cambiano, che ha fatto sapere di stare valutando di non entrare nel gruppo, è presieduta da Paolo Regini, ex sindaco DS di Empoli, marito della renzianissima senatrice PD Laura Cantini, ex sindaco di Castelfiorentino ed ex vice di Renzi alla provincia di Firenze. E nella filiale di Firenze della Cambiano lavora Marco Lotti, padre di Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, considerato l'ispiratore della clausola inserita nel decreto.
Guarda caso fu proprio la Cambiano nel 2009 a sponsorizzare con 72 mila euro la campagna elettorale che portò Renzi a diventare sindaco di Firenze. E ancora guarda caso fu Marco Lotti, nel 2009, come responsabile della BCC di Pontassieve, a concedere a Tiziano Renzi, padre del premier, un mutuo da 697 mila euro per salvare la Chil Post, l'azienda di famiglia per la distribuzione di giornali, ceduta poi nel 2010 ma incappata in un'indagine ancora aperta della procura di Genova per bancarotta fraudolenta.
Si sta replicando insomma lo stesso copione dello scandalo Banca Etruria, per la quale il Cdm confezionò un decreto salvabanche fatto su misura per la ministra Boschi, il cui padre Pier Luigi, vicepresidente di quell'istituto, rischiava di finire indagato insieme agli altri amministratori in caso di fallimento. Banca Etruria che, guarda caso, ha elargito finanziamenti sospetti a una società immobiliare di cui fanno parte gli stessi genitori di Renzi. E la Boschi, riguarda caso, da oscura avvocatessa praticante è stata lanciata in politica e introdotta nel cerchio magico di Renzi proprio da Luca Lotti: tutto si tiene.
In questo strano girotondo di banche toscane rientra anche Chiantibanca, che recentemente ha fatto diverse acquisizioni in regione, tra le quali anche il fu Credito cooperativo fiorentino di Verdini, alla direzione della quale sta per arrivare il fiorentino (e manco a dirlo renziano) Lorenzo Bini Smaghi. Che tra l'altro è presidente della banca d’affari francese Société Générale, ed è stato uno degli advisor per la vendita delle quattro nuove banche create il 22 novembre al posto delle decotte Etruria, Marche, Carife e Carichieti.
Si comincia così a delineare quale possa essere il disegno che sta dietro a questa nuova operazione ordita dal nuovo duce e dal suo braccio destro Lotti: creare un polo bancario tutto renziano in Toscana, che secondo alcune voci punterebbe addirittura a inglobare la decotta Monte dei Paschi di Siena, che è di fatto già sul mercato e sulla quale la sinistra del PD ha dovuto mollare da tempo la presa. Un disegno in cui sembra di sentir riecheggiare le parole dette al telefono dall'allora rinnegato DS e oggi renziano di ferro, Fassino: “Allora, abbiamo una banca”?

17 febbraio 2016