Bombe su 5 ospedali e 2 scuole in Siria, cinquanta morti
Rimpallo delle responsabilità tra gli imperialisti dell'una e dell'altra parte

 
Lo scorso 10 febbraio l'organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf) lanciava l’allarme sul possibile collasso del sistema sanitario quantomeno nella Siria settentrionale dove i pesanti combattimenti nel distretto di Azaz fra le opposizioni finanziate da Turchia e Arabia saudita e le forze di Damasco aiutate dagli aerei russi causavano lo sfollamento di altre decine di migliaia di persone; sarebbero state almeno 30 mila i nuovi profughi arrivati nelle aree al confine con la Turchia che aveva però chiuso la frontiera. Msf denunciava inoltre che due settimane precedenti diversi ospedali e piccoli centri sanitari erano stati colpiti da bombardamenti aerei ad Azaz e nelle aree rurali intorno ad Aleppo. Un altro raid da parte di jet non identificati aveva colpito un'ospedale di Msf aTafas, nel sud della Siria, causando almeno 3 morti.
Il portavoce del Pentagono, Steven Warren, accusava l'aviazione russa di aver bombardato due ospedali di Aleppo; il portavoce del ministero russo della Difesa, Igor Konashenkov, ribaltava le accuse indicando che erano stati due aerei provenenti dalle basi in Turchia a prendere di mira le strutture di Aleppo. Un vergognoso rimpallo delle responsabilità tra gli imperialisti dell'una e dell'altra parte che si ripeteva nei giorni successivi.
Il 15 febbraio, secondo il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, era salito ad almeno 50 civili morti, inclusi bambini, il bilancio provvisorio di raid aerei su due scuole e cinque ospedali nel nord della Siria, tra Aleppo e Idlib. Tra gli ospedali colpiti, anche una struttura di Msf a Maarrat al Numan, presso Idlib, dove cadevano quattro missili a distanza di qualche minuto uno dall'altro.
Missili russi, sosteneva il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, in visita in Ucraina. L'ambasciatore siriano in Russia, Riyad Haddad, sosteneva che erano stati dei jet Usa, gli Usa attribuivano i bombardamenti a Bashar al Assad. Nel gioco dei rimpalli resta ancora una volta vittima il popolo siriano schiacciato da Assad e dai suoi padrini imperialisti, o dai rivali imperialisti di Ankara e Washington.
Eppure il 12 febbraio, alla conferenza di Monaco del Gruppo internazionale di sostegno alla Siria, tra i concorrenti imperialisti che agiscono per spartirsi il paese era stato raggiunto un accordo per portare subito "aiuti umanitari" alle città siriane sotto assedio mentre la cessazione delle ostilità avrebbe dovuto entrare in vigore entro sette giorni.
Le bombe dei due schieramenti imperialisti continuano a cadere sulla Siria mentre aumentano i pericoli di un'estensione della guerra grazie ai cannoneggiamenti turchi sulle forze dei curdi siriani, che con Assad sono il vero obiettivo del regime di Ankara. Turchia e Arabia saudita viaggiano di piena intesa per preparare un intervento anche con truppe di terra in Siria, nell'ambito della coalizione contro lo Stato islamico (Is) ma intanto per difendere le formazioni anti Assad nel Nord della Siria da loro supportate e che rischiano di essere travolte dalla controffensiva di Damasco. L'asse Ankara-Riad ha come bersaglio l'Iran, secondario in Siria ma principale nella regione. E il 10 febbraio il ministro degli Esteri saudita, Adil al Jubeir, si è recato in visita ufficiale in Marocco e al collega di Rabat, Salahuddin Mezouar, ha chiesto di partecipare a un'eventuale operazione di terra in Siria.
L'11 febbraio il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, annunciava che un raggruppamento navale sotto comando tedesco sarebbe entrato in azione nel Mar Egeo per affrontare la crisi dei migranti. Una ennesima operazione "umanitaria"
affidata ai militari che avrà l’obiettivo di smantellare la rete di trafficanti che sfrutta i migranti e i rifugiati. La richiesta di intervento da parte di forze Nato era stata avanzata dalla Turchia che poteva certamente affrontare il problema da sola ma si è prestata al gioco per avere un sostegno militare dagli alleati imperialisti della Nato, che mobilita le sue forze a due passi dal centro della crisi, in Siria. "Escludo per ora che la Nato invii truppe di terra in Siria", sosteneva in una intervista alla Bild il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Almeno per ora.

17 febbraio 2016