Per contrastare l'egemonia della Cina
11 paesi, tra cui il Vietnam, si uniscono agli Usa nell'accordo Transpacifico
Firmato anche dal Giappone, il Tpp rappresenta il 40% dell'economia mondiale
Obama: “Il Tpp contribuisce a scrivere le nuove regole del commercio globale del XXI secolo”

 
I ministri del Commercio di 12 paesi affacciati sul Pacifico hanno ufficialmente firmato il 4 febbraio ad Auckland, in Nuova Zelanda il Tpp (Trans Pacific Partnership o Partenariato trans-pacifico) l'accordo di libero scambio definito lo scorso 5 ottobre a Atlanta negli Stati Uniti che sotto l'egida degli Usa dovrebbe aumentare in modo significativo il commercio nell'area, o meglio ricompattare il maggior numero di paesi dell'area sotto il controllo dell'imperialismo americano nella sfida con la superpotenza rivale, quella cinese.
Gli altri paesi, oltre gli Usa, sono Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Un gruppo di paesi che già sono nell'orbita americana anche se ne mancano alcuni significativi come le Filippine e soprattutto la Corea del Sud con le sue multinazionali di prima grandezza, da Samsung a Hyundai, da Lg a Daewoo; queste due non hanno partecipato alle trattative iniziate otto anni fa ma potrebbero recuperare entrando una volta che il trattato entrarà in vigore.
In ogni caso l’Accordo Traspacifico rappresenta il 40% dell’economia mondiale, coinvolge tre continenti e interessa un mercato potenziale di oltre 800 milioni di persone, include la prima e la terza economia del pianeta; manca la seconda, la Cina. Perché nasce come "contrappeso" al crescente potere economico della Cina e anche al ruolo dei cinque paesi emergenti, i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) per imporre nuove regole commerciali a livello mondiale.
"Il Tpp sta aiutando a scrivere le regole del commercio mondiale per il XXI secolo", dichiarava Barack Obama, "non possiamo far scrivere le regole dell’economia globale a Paesi come la Cina", spiegava il presidente americano che confessava lo scopo non dichiarato dell'accordo commerciale. Che Obama rivendeva come necessario per prevedere "norme per evitare il lavoro infantile, per proteggere l’ambiente e gli oceani e regole per combattere il traffico delle speci", includendo "sia paesi grandi che paesi piccoli, sviluppati e in via di sviluppo", tutti "con la stessa visione condivisa di come andare avanti". Se così fosse come mai allora i testi dell'accordo sono tenuti accuratamente riservati, come per il suo omologo europeo Ttip? Non sarà piuttosto che a quanto risulta dalle denunce delle organizzazioni antiliberiste e ambientaliste, come nel caso del Ttip, la vera natura dell’accordo mette a rischio i diritti del lavoro, quelli dell’ambiente, l’accesso ai farmaci e la libera proprietà intellettuale a vantaggio delle multinazionali e dei paesi economicamente più forti, quelli che in ogni caso ci guadagnano nelle liberalizzazioni dei mercati.
Può essere un esempio indicativo quello del Messico guidato dal neoliberista Henrique Peña Nieto, grande alleato degli Usa e seconda economia del continente sudamericano dopo il Brasile; Nieto ha spalancato le porte alle privatizzazioni delle imprese statali e accelerato quelle dei servizi, dove di recente sono stati tagliati altri 25.000 posti di lavoro, in nome di oltre vent’anni di politiche neoliberiste inaugurate nel 1994 con la firma del Nafta (North America Free Trade Agreement, nella sigla inglese ndr), l’accordo nordamericano di libero scambio con Usa e Canada.
L'intesa che abbatterà le barriere al commercio e aumenterà il lavoro e gli standard ambientali tra le nazioni, così viene presentata, era stata firmata ad Atlanta, in Georgia il 5 ottobre scorso; entro due anni sono previste le approvazioni dei singoli paesi firmatari e quindi l'effettiva entrata in vigore che dovrebbe cambiare le regole di scambio di servizi e prodotti, dalla carne ai prodotti agricoli, dal settore auto allo standard sulla protezione dei dati, alla durata dei brevetti farmaceutici. Secondo Washington, il Tpp prevede l'eliminazione delle barriere tariffarie e non-tariffarie e l'adeguamento degli standard commerciali e porterà alla cancellazione di circa 18 mila tariffe imposte sulle esportazioni made in America, favorendole ancora di più.
Il Tpp soprattutto crea il blocco voluto da Obama per contenere la crescente influenza economica della Cina e potrebbe aiutare l'altra potenza economica, il Giappone di Shinzo Abe, a rilanciarsi sul piano economico oltre che militare. Washington si rimette sotto le ali protettrici quella metà dei paesi firmatari del Tpp che sono tra i fondatori della Banca asiatica per le infrastrutture e lo sviluppo, istituita da Pechino in alternativa alle organizzazioni finanziare multilaterali a guida dell'imperialismo americano.
Il Tpp assieme al gemello Ttip in negoziazione con l'Unione europea e al trattato sui servizi, il Tisa, costituiranno quella ragnatela di regole che legheranno la parte più ricca dell’economia globale, un'area che comprende circa il 70% del pil mondiale, all'imperialismo americano escludendo i nuovi concorrenti emergenti come Russia, India, Cina, Brasile e Sudafrica.

17 febbraio 2016