Sperperati oltre 350 milioni di soldi pubblici
Il 17 aprile referendum sulle trivelle
Renzi non lo accorpa alle elezioni comunali per farlo fallire. Ancora un regalo alle multinazionali

Nel Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016, il governo ha fissato la data per il voto referendario sulle trivellazioni in mare al prossimo 17 aprile, non accogliendo così la richiesta avanzata dalle Associazioni, dai Comitati ambientalisti, dalle Regioni e da alcuni parlamentari di accorpare il referendum alle prossime elezioni amministrative di giugno, che vedranno coinvolti milioni di italiani in città come Roma, Napoli, Torino e Bologna. In pratica sarebbe bastato un decreto e, unendo le due consultazioni, si sarebbero risparmiati tra i 350 e i 400 milioni di soldi pubblici. Ciò nonostante il governo ha fatto senza vergogna ciò che più gli è convenuto confermando il no categorico all’election day. Ecco dunque l’ennesimo atto ostile nei confronti dei No Triv che, dall’inizio della loro battaglia ad oggi, hanno dovuto sopportare continui colpi di mano da parte dell’esecutivo.
Il fronte referendario ora si appella al presidente delle Repubblica affinché non firmi il provvedimento che fissa la data del 17 aprile; a Mattarella spetta infatti l’atto ultimo di indizione del referendum, ed i No Triv fanno osservare che l’election day è assolutamente necessario al fine di risparmiare denaro pubblico e poiché, dinanzi alla Corte Costituzionale, pendono ancora due conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni nei confronti del Parlamento e dell’Ufficio Centrale per il Referendum (Cassazione), che potrebbero portare nel 2016 gli italiani alle urne ben cinque volte: in questa occasione, per i due referendum abrogativi, per le elezioni amministrative (e ballottaggio) e per il referendum costituzionale.
Questo quadro generale dimostra ancor più chiaramente come l’ostinazione del governo alla quale consegue la decisione assunta, contiene in sé l’obiettivo fin troppo evidente, di boicottare il referendum ad ogni costo. Affinché esso sia valido è necessario infatti che marcino verso i seggi elettorali il 50% più uno degli aventi diritto al voto; Renzi quindi mira innanzitutto al non raggiungimento del quorum che farebbe fallire la consultazione rendendola nulla. Eppure nel 2011 fu proprio Renzi a tuonare contro il governo Berlusconi accusandolo di non aver voluto accorpare i referendum sul nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento (12 giugno) con le amministrative (15 e 29 maggio) solo per boicottarne il quorum. Esattamente lo stesso schema e lo stesso stile seguito ora con la solita arroganza ducesca dal Berlusconi democristiano di Rignano sull’Arno.
Inoltre, la decisione di fissare il referendum tra appena due mesi è anche la dimostrazione che il governo teme che gli italiani ne valutino fino in fondo la portata, e si dimostra riluttante ad affrontare la questione energetica seriamente e quanto più democraticamente il sistema preveda, attraverso una consultazione referendaria che abbia il tempo necessario per essere preparata e propagandata. Probabilmente i sondaggi attuali, che mostrano come circa il 47% degli intervistati ha dichiarato che andrà a votare contro le trivelle e che solo il 18 per cento degli italiani sia favorevole alla strategia energetica del governo, hanno indotto Renzi ad andare al voto in tempi così ravvicinati con l’obiettivo di non permettere un’adeguata campagna referendaria ai comitati e, di conseguenza, non consentire agli elettori di essere adeguatamente informati sul referendum stesso.
Contrari a questa misura, oltre all’associazionismo ambientalista ed alle Regioni promotrici, Sinistra Italiana di Vendola e Fassina, Possibile di Civati, PRC e Movimento 5Stelle ed anche la fantomatica minoranza PD guidata da Speranza che ha definito la posizione del governo come una “scelta incomprensibile”. Nessuna dichiarazione è invece ancora emersa dal “centro-destra” con la sola eccezione del governatore veneto Zaia, contrario alle trivellazioni nell’adriatico.
Tornando ad affrontare la questione dello sperpero di denaro pubblico, è interessante precisare che il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha giustamente osservato come per lo svolgimento del referendum ad aprile si spenderà praticamente poco meno dell’ammontare di royalties raccolte dallo Stato per le attività petrolifere nel 2014, stimate in 402 milioni di euro. Tutto denaro sottratto a potenziali quanto necessari interventi per rendere più sicuro il nostro Paese agendo sul dissesto idrogeologico, per disinquinare i nostri fiumi ed i tanti tratti di mare oggi non balneabili, per potenziare il trasporto pubblico e migliorare l’ambiente, la vita e la salute di milioni di pendolari; in estrema sintesi lo sperpero di milioni di euro che il governo farà pagare alla popolazione, altro non è che l’ennesima offerta economica ai privilegi dei petrolieri, per tenersi buone ed amiche le multinazionali dell’oro nero. In pratica una truffa alla popolazione pagata con i soldi della popolazione stessa.
Il PMLI e “Il Bolscevico” appoggiano con forza il referendum e faranno quanto sarà possibile affinché le trivelle siano di fatto bloccate, consapevoli però del fatto che una gestione energetica rispettosa della popolazione, della natura e dell’ambiente debba assolutamente prescindere dal capitalismo, dallo sfruttamento incondizionato delle risorse più remunerative ed immediate e, in ultima analisi, dalla logica del potere e del profitto nel minor tempo possibile, in barba alla salute pubblica, alla natura e all’ambiente.

17 febbraio 2016