Grazie al direttore generale renziano Campo Dall'Orto
Renzi si prende Rai3 con la Bignardi

“Fuori i partiti dalla Rai, dentro solo io”. All'insegna di questo slogan è andato in onda il 17 febbraio il terzo tempo dell'occupazione renziana della Rai: quello della nomina dei nuovi direttori delle reti da parte del renzianissimo direttore generale Antonio Campo Dall'Orto, dopo il primo tempo del 4 agosto 2015, con la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione con 5 membri di area renziana su 9, del suddetto dg e del nuovo presidente Monica Maggioni (nominata quest'ultima d'intesa con Berlusconi). E dopo il secondo tempo del 22 dicembre 2015, con la “riforma” che ha messo in mano la Rai a Palazzo Chigi attraverso il controllo dei soldi del canone e assegnato a Campo Dall'Orto, che risponde solo e direttamente al presidente del Consiglio, i pieni poteri di amministratore delegato, compreso quello di nominare direttori di reti e di tg.
I nuovi direttori di rete scelti da Campo Dall'Orto sono infatti quasi tutti di provenienza esterna all'azienda, e riconducibili in vario modo alla corte del nuovo duce. Delle tre reti principali, solo la rete ammiraglia, RaiUno, non è stata “commissariata” da un esterno, ma c'è stato solo un avvicendamento tra Giancarlo Leone, nominato coordinatore ai palinsesti, e il suo vice Andrea Fabiano: d'altra parte non c'era motivo di fare grandi cambiamenti in una rete che è da sempre la più ligia al governo di turno; e poi, senza d'altronde rischiare nulla, c'era da dare un contentino all'orgoglio aziendale ferito del personale della Rai. Invece alle direzioni di RaiDue e di RaiTre entrano due donne del tutto estranee all'azienda, anzi provenienti entrambe dal mondo delle tv private sue concorrenti: Ilaria Dallatana, che a RaiDue sostituisce Antonio Marano, passato alla presidenza di RaiPubblicità, e Daria Bignardi, che subentra ad Andrea Vianello alla direzione di RaiTre. Le altre nomine riguardano Angelo Teodoli, spostato da RaiDue alla direzione di Rai4, e Gabriele Romagnoli, collaboratore di Repubblica ed ex direttore del mensile GQ , che assume la direzione di RaiSport.

Grave attacco alla tv pubblica
L'infornata di nomine è stata criticata aspramente dal sindacato interno Usigrai, che in una nota l'ha definita “una sonora sfiducia e delegittimazione di tutti i dipendenti della tv pubblica”. “Siamo di fronte a un fatto grave - prosegue la nota -. Salvo l'eccezione di RaiUno, l'ennesima infornata di esterni. Evidentemente il dg ritiene che tra gli 11 mila dipendenti non ci sono professionisti in grado di assumere ruoli di rilievo”. D'altra parte, dati i poteri straordinari di cui la “riforma” piduista di Renzi lo ha dotato, le decisioni di Campo Dall'Orto sono praticamente blindate e insindacabili, giacché per respingerle occorrerebbe una maggioranza in Cda di 7 voti su 9. E comunque sono state bocciate solo dai due consiglieri del “centro-destra”.
La consigliera renziana di area orfiniana Rita Borioni ha salutato invece con entusiasmo la scelta di Dallatana e Bignardi, che “tingono di rosa” le nomine Rai, e l'altro consigliere renziano di area Margherita, Franco Siddi, ha definito la nomina della Bignardi a RaiTre “una scelta intrigante, la attendiamo alla prova senza pregiudizi”. Perfino il consigliere di area M5S, Carlo Freccero (ex capo di Campo Dall'Orto ai tempi di Canale 5), pur brontolando per la scelta della Bignardi, ha votato a favore dichiarando a Radio Capital che “rispetto ad altre nomine mi pare che stavolta abbia vinto l'aspetto professionale e tecnico”.
É evidente che i cambiamenti di maggior peso sono quelli operati ai vertici di RaiDue e RaiTre, dove sono state paracadutate due donne scelte volutamente al di fuori dell'azienda e le cui carriere le legano strettamente a quella di Dall'Orto e a Renzi, attraverso l'ex direttore della tv ammiraglia di Berlusconi, Canale 5, e attuale sindaco PD di Bergamo, Giorgio Gori, che le tenne a battesimo ai loro esordi in video. Campo Dall'Orto è stato infatti vice di Gori nella rete Mediaset dal 1991 al 1997, ed entrambi sono renziani della prima ora, fino cioè dalla prima Leopolda, e Gori è stato proprio colui che ha insegnato al nuovo duce come padroneggiare l'uso dei media per scalare il potere politico.
Ilaria Dallatana viene da Mediaset e ha fondato insieme a Gori la società di produzione televisiva Magnolia , creatrice di programmi di successo come L'Isola dei famosi, Pechino Express e Xfactor . Anche Daria Bignardi ha esordito in Mediaset sotto Giorgio Gori, che la lanciò nel 2000 a Canale 5 come conduttrice delle prime edizioni de Il grande fratello . Per poi passare a La7 nel 2004 per condurre il programma Le invasioni barbariche . Nel suo studio sono passati più volte Renzi e il suo codazzo di ministre telegeniche, compresa l'intervista in cui il nuovo duce anticipava lo sfratto a Letta con il famoso “Enricostaisereno”.

La stessa ghenga renziana
Non a caso la Bignardi si è vantata di averlo lanciato lei Renzi come personaggio mediatico (“Mi sento un po' come Baudo. Si intuiva il desiderio di Renzi di cambiare le cose e ce l'ha fatta”). E indovinate chi fu a portarla alla tv oggi di proprietà di Urbano Cairo? Naturalmente Antonio Campo Dall'Orto, presidente di La7 quando era di proprietà della Telecom di Tronchetti Provera. Rete che lasciò con una perdita di 120 milioni di euro e con un'audience del 2-3%, per poi approdare a Mtv. Lasciando come unica traccia di sé, debiti a parte, il licenziamento in tronco dell'odiato Daniele Luttazzi, già colpito dall'“editto bulgaro” di Berlusconi insieme a Biagi e Santoro, per uno sketch non gradito su Giuliano Ferrara.
Quando passò a RaiDue per esportarvi, con esiti disastrosi, Le invasioni barbariche , rinominate per l'occasione L'era glaciale , e prima di tornare a La7 per continuare per poco e chiudere definitivamente Le invasioni per mancanza di audience, Bignardi ebbe comunque il tempo di dare prova della sua affidabilità cancellando (maggio 2009), d'intesa col direttore leghista Antonio Marano, un'intera intervista a Vauro e Beatrice Borromeo, perché parlando di Berlusconi avrebbe violato la par condicio.
Non è tutto: il marito di Daria Bignardi è Luca Sofri, figlio di Adriano, anche lui renzianissimo (famose le sue congratulazioni al “capo” Renzi nel backstage de Le invasioni barbariche dopo la suddetta intervista che precedette il golpe contro Letta: “Ciao capo, ottimo ottimo”, gli disse). Luca Sofri è anche fondatore del sito vicino al PD, Il Post , insieme all'ex vice di Amazon, Diego Piacentini, recentemente nominato capo del digitale di Palazzo Chigi. Anche un altro azionista de Il Post , Vincenzo Manes, padrone del colosso del rame Kme Group, è stato nominato nel 2015 consulente di Renzi per il Terzo settore. E lo stesso Gori, per l'appunto, è titolare del 10% delle azioni del giornale di Sofri.
Incidentalmente, tanto per allargare la trama delle connessioni, il suocero della Bignardi, Adriano Sofri, è legato a doppio filo fin dal tempo di Lotta continua a Pisa negli anni '70 al consigliere renziano nel Cda della Rai, Guelfo Guelfi, pisano, di professione pubblicitario, considerato lo spin doctor e il gosth writer personale di Renzi fin dai tempi in cui questi si faceva le ossa alla Provincia e al Comune di Firenze. Colpisce come tutti questi personaggi si ritrovino oggi a far parte della stessa ghenga che gravita attorno a Renzi.

Quarto tempo: il tg3
Naturalmente la Bignardi nega di essere renziana: “Nell'ultima intervista non l'ho trattato benissimo, vedetevi quell'intervista e ditemi se mi si può dare della renziana. Sono veramente delle sciocchezze”, ha dichiarato a riprova. Come nega di essere stata messa lì per riallineare totalmente RaiTre a Palazzo Chigi, ripulendola dalle ancora troppe incrostazioni bersaniane e dalemiane, come invoca un giorno sì e l'altro pure il can mastino di Renzi in commissione Vigilanza Rai, Michele Anzaldi.
Ma il prossimo passo che Renzi si attende da lei e dal direttore generale sarà proprio quello di rivoltare come un calzino l'organigramma della rete e soprattutto del Tg3 e di Ballarò , dove le teste della Berlinguer e di Massimo Giannini sono in bilico da tempo perché non abbastanza accucciati nel cantare i successi del governo. Si compirà così il quarto e ultimo tempo del programma del nuovo duce di completo asservimento della Rai a Palazzo Chigi, in perfetta sintonia al piano della P2 che non a caso prevedeva il “dissolvimento della Rai” come servizio pubblico e il suo diretto controllo da parte del governo.
 

24 febbraio 2016