Con una norma nel ddl delega “contro la povertà” che le lega all'Isee
Renzi vuole tagliare le pensioni di reversibilità
Per lo Spi-Cgil è una “rapina legalizzata sulle spalle delle vedove”

Quando si tratta di cancellare i diritti dei lavoratori il nuovo duce Renzi una ne fa e cento ne pensa, e così ora si è messo in testa di tagliare anche le pensioni di reversibilità, quelle cioè che in caso di morte prematura del titolare vengono trasferite parzialmente al coniuge e ai figli: a lanciare l'allarme è stato lo Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil, il cui segretario Ivan Pedretti, parlando di “rapina legalizzata”, in un'intervista all'Huffington Post aveva accusato il governo di voler “far cassa sulle spalle delle vedove”.
Pedretti aveva denunciato infatti che nel disegno di legge delega per il “contrasto alla povertà”, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 28 gennaio e depositato presso la Commissione lavoro della Camera, e non ancora reso pubblico, è contenuta una misura che converte tali pensioni da trattamento previdenziale spettante di diritto a “prestazioni assistenziali” soggette all'Isee (l'indicatore di stato economico familiare equivalente), e quindi assegnabili solo a famiglie particolarmente disagiate.
Una rapina perpetrata soprattutto ai danni delle donne, aveva sottolineato il sindacalista, perché l'età media degli uomini è più bassa e la reversibilità è quindi una prestazione che riguarda soprattutto loro. “Donne che oltretutto sarebbero doppiamente colpite perché, come è a tutti noto, hanno una pensione mediamente inferiore a quella degli uomini. E che in futuro rischiano quindi di impoverirsi ulteriormente”.
Le pensioni di reversibilità non possono essere equiparate a misure assistenziali, in quanto sono un corrispettivo per contributi versati dal pensionato durante tutta la sua vita lavorativa, e tra l'altro sono già pesantemente decurtate per legge: al vedovo o alla vedova spetta infatti solo il 60% della pensione del coniuge deceduto se non ci sono figli a carico, l'80% se c'è un solo figlio e il 100% se ci sono due o più figli; ma solo finché i figli sono in età scolare, e in tutti i casi non oltre i 26 anni. Inoltre la pensione è tagliata del 25% se è superiore a tre volte la pensione minima (1.500 euro), del 40% se supera i 2.000 euro e del 50% oltre i 2.500 euro. Lo stesso presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha negato che ci siano le basi giuridiche per il taglio previsto nel ddl delega del governo: “Per due ragioni”, ha spiegato Boeri, “non c'è un problema di sostenibilità perché nel calcolo dell'importo si tiene già conto della speranza di vita del superstite, e perché è già stata fatta la riforma legata alla situazione reddituale del superstite”.

Da diritto previdenziale a elemosina assistenziale
Se la reversibilità fosse soggetta a Isee potrebbe bastare anche che in famiglia vi sia una casa di proprietà, dei risparmi depositati in banca, il reddito o la pensione del coniuge superstite, o magari il reddito di un figlio convivente, anche da lavoratore precario, affinché dalla cumulazione di questi vari elementi si possa perdere il diritto ad averla del tutto. La clausola in questione è nascosta furbescamente nelle pieghe del ddl, laddove allo scopo di reperire fondi per il demagogico ed elettoralistico “piano di lotta alla povertà” di Renzi si annuncia la “razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi”.
Di fronte all'ondata di indignazione e di proteste, con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e i segretari dei rispettivi sindacati dei pensionati che hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio e al ministro del Lavoro chiedendo un incontro urgente, il governo, i ministri Padoan e Poletti e lo stesso Renzi hanno cercato di buttare acqua sul fuoco, smentendo di volere far cassa sulla pelle dei pensionati: “La polemica sulle pensioni di reversibilità è totalmente infondata”, precisava una nota del ministro del Lavoro Poletti, firmatario del ddl. “Tutto quello che la delega si propone – proseguiva la nota – è il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale”: una formula abbastanza ambigua da comprendere tutto e il contrario di tutto. “Non si fa nessuna cassa sulle pensioni di reversibilità. L'articolo 1 comma 3 lettera b) della delega lo impedisce”, affermava perentoriamente a sua volta una nota di Palazzo Chigi.
E invece in quell'articolo, come ha confermato poi il presidente della commissione Lavoro, il PD Cesare Damiano, che il testo lo conosce, le pensioni di reversibilità vengono espressamente citate nelle prestazioni “razionalizzabili”, insieme agli assegni sociali, le integrazioni e le maggiorazioni del minimo e gli assegni per i nuclei familiari con tre o più figli minori. E lo stesso articolo precisa anche come verranno fatti i tagli, cioè “introducendo in via generale principi di universalismo selettivo nell'accesso alle prestazioni medesime, secondo criteri unificanti di valutazione della condizione economica in base all'indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”.

Mezze smentite e solide conferme
Insomma, mezze smentite che suonavano in realtà come conferme, tant'è che in una successiva nota la presidenza del Consiglio era costretta a precisare che quella norma “riguarda solo le prestazioni future”. Dunque è confermato che le pensioni di reversibilità verranno tagliate, anche se a parole si promette che non verranno toccati i diritti già acquisiti. Ma si sa quanto possano valere simili “rassicurazioni”, ammesso che le si possa chiamare tali: anche fino a poco prima che fosse varata la legge Fornero il governo Monti spergiurava che in ogni caso l'aumento dell'età pensionabile avrebbe riguardato solo le pensioni future, senza toccare i diritti già acquisiti dei lavoratori al momento della “riforma”, ma poi senza battere ciglio ha creato centinaia di migliaia di esodati.
E comunque ciò nulla toglierebbe alla gravità di un simile piano del governo, ma confermerebbe solo che in un modo o nell'altro, per finanziare la campagna elettorale del nuovo duce Renzi, si vuole fare cassa tagliando anche le pensioni di reversibilità. Tant'è vero che nella relazione tecnica allegata al ddl si fa esplicito riferimento ai costi delle pensioni di reversibilità, erogate “a 3,052 milioni di persone per una spesa di 24,15 miliardi”, come a dire implicitamente che sono troppe e il sistema non le può sopportare. Infatti si sottolinea anche che “devono essere verificate nella loro appropriatezza” e occorre “razionalizzare i trattamenti esistenti, ma anche riorganizzare il sistema di accesso alle prestazioni, a partire dalle modalità di valutazione del bisogno”. Del resto fu proprio il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, a dichiarare tempo fa che “la reversibilità in Italia è molto alta, circa il 30-40% in più del resto d'Europa. Ci sono margini per ridurre qualcosa, certo non le pensioni basse”.
Sta di fatto che al di là di rassicurazioni verbali, peraltro assai ambigue e furbastre, Renzi e i suoi ministri si sono guardati bene dall'andare, facendo anzi orecchie da mercante a quanti – come lo stesso opportunista Damiano e il bersaniano Speranza, ma anche Pedretti nella trasmissione Otto e mezzo - hanno chiesto loro semplicemente di cancellare dal ddl delega il riferimento alle pensioni di reversibilità. Come sempre la tattica del nuovo duce, come dimostra il caso dell'articolo 18, è quella di tirare lo schiaffo lasciar sfogare le proteste, lasciando fare al tempo e contando nell'arrendevolezza e nel collaborazionismo dei vertici sindacali e nell'opportunismo della sinistra del PD. Né può temere che il parlamento gli metta i bastoni tra le ruote, giacché, come per la cancellazione dell'articolo 18 e il Jobs Act, si è premunito infilando il provvedimento in un disegno di legge delega, che come tale è soggetto ad un parere solo consultivo da parte delle Camere.

24 febbraio 2016