Da parte del Consiglio europeo
Concesso lo “status speciale” alla Gran Bretagna per farla rimanere agganciata alla Ue

 
Il premier britannico David Cameron iniziava il discorso alla Camera dei Comuni il 22 febbraio a Londra per illustrare la posizione del suo governo sull'accordo appena definito al vertice Ue di Bruxelles, che aveva concesso un “status speciale” alla Gran Bretagna per farla rimanere agganciata al sistema dell'euro e evitare la cosiddetta Brexit, con un “se vuoi guidare l'Europa devi starci dentro”. Come dire che la posizione in parte già defilata di Londra nelle vicende della Ue che viaggiano sull'asse Berlino-Parigi, qualche volta allargato a Roma, non poteva essere ulteriormente allentata.
“Se invece vuoi essere guidato dall'Europa, sei libero di fare come la Norvegia”, che non appartiene all'Ue ma ne subisce le normative, affermava Cameron, “il Regno Unito è già un grande Paese ma può essere ancora più grande all'interno dell'Unione europea. La Brexit sarebbe un salto nel buio economico e minaccerebbe la nostra sicurezza economica e nazionale: in caso di uscita, l'Unione europea penserà prima a se stessa e agli accordi fra i suoi Paesi membri e solo secondariamente a un qualche patto con il Regno Unito”. Occorre rimanere in Europa per avere un ruolo da leader, cosa permessa dagli accordi definiti al vertice e che saranno la base per motivare la posizione pro Ue del governo nel referendum già convocato per il 23 giugno sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea.
L'intesa maturata il 19 febbraio a Bruxelles recepiva buona parte delle richieste avanzate dal governo di Londra e già discusse con le istituzioni europee. Secondo l'intesa la Gran Bretagna potrà attivare per 7 anni il cosiddetto “freno d'emergenza”, ovvero permettere l'accesso graduale, diluito in quattro anni, al sistema di welfare da parte dei cittadini comunitari. Cameron aveva chiesto un “freno d’emergenza” di 13 anni, non l'ha avuto; come non ha avuto il via libera al rimpatrio di chi non trovava lavoro in Gran Bretagna entro sei mesi.
Cameron otteneva che al momento della prossima revisione dei Trattati venga inserito un paragrafo in cui sia esplicitamente scritto che Londra è esentata dal concetto di “Unione sempre più stretta”, il principio su cui si fonda l'Europa a partire dal Trattato di Roma del 1957. Il testo dell'accordo finale, approvato all'unanimità, prevede fra le altre l'attuale grado di autonomia per banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie inglesi rispetto le norme europee. Un'autonomia condizionata dai ripetuti richiami all’obbligo di rispettare le “condizioni di parità nel mercato interno” per non concedere altri vantaggi alla finanza inglese che dovrà inoltre rispondere alle authority europee di controllo.
“Ho negoziato un accordo per dare al Regno Unito uno speciale status nella Ue” esultava Cameron, “ora posso raccomandare di votare per la permanenza della Gran Bretagna nella Ue” nel referendum del 23 giugno. Certo l'intesa di Londra con Bruxelles contiene una serie di “vittorie simboliche”, come quella dei risibili risparmi sul bilancio statale ottenuti dai tagli sul welfare, che però peseranno sui lavoratori stranieri, o come la conferma che l'imperialismo britannico vuole mantenere una sua autonomia e non intende ancora far parte di un'Unione “sempre più stretta”. Tanto serve ora a Cameron per sbandierare i successi e affermare che “lasciare l'Europa minaccerebbe la nostra sicurezza economica e nazionale” per superare intanto lo scoglio del 23 giugno.

24 febbraio 2016