Sotto la regia del governo del nuovo Mussolini Renzi, il Senato approva una legge antidemocratica, discriminatoria, omofoba e oscurantista
La legge sulle unioni civili è da respingere
Le unioni civili e le coppie di fatto non considerate famiglie a tutti gli effetti. Ancora vietato il matrimonio alle coppie omosessuali. Cancellato l’articolo sullo “stepchild adoption”. Eliminato l’assegno di mantenimento per la “convivenza di fatto”
Riconfermata la supremazia della famiglia borghese e cattolica fondata sul matrimonio

Il 25 febbraio 2016 il Senato ha approvato con la fiducia il maxiemendamento interamente sostitutivo del testo del disegno di legge sulle unioni civili, il cosiddetto ddl Cirinnà, denominato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Ora il testo passerà all’esame della Camera.
Hanno votato a favore, oltre alla maggioranza di governo, i senatori dell’Ala, il gruppo del plurinquisito ed ex braccio destro di Berluscuni, Denis Verdini, imbarcato ancora una volta da Renzi per mettere in sicurezza il voto di fiducia e al quale prima o poi il premier dovrà saldare il conto. I voti di Verdini non sono risultati decisivi solo perché i senatori del Movimento 5 stelle, uscendo dall’aula al momento del voto, hanno fatto abbassare il quorum necessario a raggiungere la maggioranza assoluta dei voti.
Tutto è stata fuorché una “Giornata storica, ha vinto l’amore”, come l’ha definita entusiasta il nuovo Mussolini Renzi che, con la mossa del maxiemendamento e soprattutto col ricatto di far saltare in aria tutta la legge, è riuscito a far ingoiare il suo completo svuotamento e snaturamento, cancellando l’articolo sullo “stepchild adoption”, il riferimento alla fedeltà fra le parti dell’unione, l’assegno di mantenimento per i “conviventi di fatto”. Così facendo l'ha resa una legge intollerabile e inaccettabile.
E’ stata la vittoria della destra più conservatrice, retrograda e oscurantista che da sempre si batte contro il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e delle famiglie di fatto. Una vittoria del papa, della Conferenza episcopale italiana (Cei) e del Vaticano che si sono spesi fortemente per compattare tutte le proprie truppe cammellate presenti trasversalmente in tutti i partiti parlamentari, compreso il PD, affinché prevalesse una scelta conservatrice e propria di uno Stato confessionale come di fatto è quello italiano.
E’ da trent’anni che in Italia si parla inutilmente del riconoscimento delle coppie omosessuali e di fatto: dai Pacs, ai Dico, ai Cus, ai Didoré. Renzi l’ha tirata per le lunghe ma di fronte all’ennesima condanna dell’Italia da parte della Corte europea che gli ha intimato di allinearsi alle altre legislazioni europee in materia di unioni di coppie gay e lesbiche, ha dovuto abdicare. Ha però scelto la strada di una legge fra le più arretrate sulla materia in Europa e in molti paesi del mondo. Una legge che invece di riconoscere parità di diritti alle coppie omosessuali e di fatto rispetto a quelle sposate, concede ad esse solo dei contentini, alcuni parziali diritti, una sorta di matrimonio di serie B che è considerato un “male minore” persino dall’“Avvenire”, organo ufficiale della Cei.
Col divieto dell’adozione del figlio del partner, è caduto infine ogni scudo da parte della destra più reazionaria e cattolica. Significativo il commento profondamente omofobo e vergognoso del ministro degli interni nonché presidente del “Nuovo centrodestra”, Angelino Alfano, all’indomani del voto quando ha dichiarato entusiasta: “Abbiamo impedito una rivoluzione contro natura e antropologica”.

Unioni di serie B
La legge sulle unioni civili nella sua ispirazione di fondo, nel suo linguaggio, nel suo contenuto non è concepita come un allargamento di diritti democratico borghesi, ma come un recinto invalicabile al riconoscimento di tali diritti per le coppie omosessuali e di fatto, alle quali sono riservati quantità e soprattutto qualità di diritti che non scalfiscono minimamente ma al contrario riconfermano pienamente la supremazia sociale e nel diritto del matrimonio eterosessuale e della famiglia borghese e cattolica. Le unioni civili e le convivenze di fatto vengono insomma ancora considerati rapporti affettivi e familiari di serie B, non degni della stessa considerazione e rispetto della famiglia tradizionale.
La legge introduce infatti le unioni di fatto anziché estendere il diritto di matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso. Con tutto ciò che comporta nell’ambito dell’acquisizione di diritti economici e sociali. La cancellazione dell’obbligo di fedeltà per le coppie omosessuali, concessa dal governo nell’accordo con l’Area popolare (NCD+UDC), rappresenta proprio la volontà di non far corrispondere i diritti e i doveri all’interno dell’unione civile con quelli di un matrimonio tra eterosessuali.
Stessa cosa si può dire per la cancellazione, anch’essa frutto del compromesso con AP, della norma che estendeva l’applicazione alle parti dell’unione civile “di tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole 'coniuge', 'coniugi' o termini equivalenti, ove esse ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi”.
Nella legge non si fa mai esplicito riferimento alla “famiglia”. Tant’è vero che è stato espressamente introdotto il riferimento diretto agli articoli 2 e 3 della Costituzione, annoverando così le unioni civili fra le “formazioni sociali” qui genericamente riconosciute, affinché non vi potesse essere alcun riferimento, nemmeno implicito, all’articolo 29 che riconosce “la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Negli articoli che regolano i diritti e i doveri delle persone dello stesso sesso, è stato ridotto al minimo indispensabile il rinvio diretto ad articoli del codice civile che riguardano il matrimonio. E quando lo si è dovuto fare, sono stati esclusi totalmente gli articoli che contengono la parola “famiglia”. In questo modo si evita anche lessicalmente che le coppie omosessuali siano chiamate, considerate e trattate come vere e proprie famiglie.
In altri casi si è parafrasato articoli del codice civile inglobandoli nella legge stessa ma epurandoli della parola “famiglia”. Così le “parti dell’unione civile” sono tenute a contribuire “ai bisogni comuni” e non ai “bisogni della famiglia” come invece è dovere dei coniugi eterosessuali per il Codice civile. Allo stesso modo le “parti dell’unione civile” concordano la “residenza comune” non “la residenza della famiglia” come invece devono fare per legge i coniugi.
Il codice civile consente il matrimonio a chi ha compiuto sedici anni con un’autorizzazione del giudice. Per contrarre unione civile invece si dovrà aspettare sempre i diciotto anni perché si presume che il minorenne omosessuale non abbia mai la “maturità psicofisica” come recita l’articolo 84 del codice civile.
Ancor più declassate le famiglie di fatto a cui vengono concessi solo alcuni minimi diritti, distanti anni luce da quelli del matrimonio. Per questo tipo di famiglie non viene per esempio concessa la reversibilità della pensione che viene invece concessa persino alle coppie sposate ma separate e in alcuni casi anche a quelle divorziate, e nell'ultima riscrittura è stato eliminato anche l'assegno di mantenimento in caso di cessazione della convivenza di fatto.
Non è ancora chiaro come saranno trattate le coppie omosessuali in cui una delle parti sia straniero e provenga da paesi dove l’omosessualità non è ammessa o addirittura sia considerata un reato grave. Oppure le coppie che hanno contratto matrimonio all’estero e intendono registrare tale matrimonio in Italia.

Diritto all’adozione e maternità surrogata
La legge non contiene più l’ex articolo 5 sulla “stepchild adoption”, cioè la possibilità anche per le coppie omosessuali di adottare il figlio del partner. E’ stata stracciata nonostante si trattasse di un’adozione parziale dal momento che l’adottato non acquisiva un rapporto di parentela con l’adottante, compresi i diritti patrimoniali.
Su questo articolo vi è stato una vera e propria alzata di scudi, non tanto per i risvolti pratici di questa norma, quanto per il suo valore simbolico e culturale e per la costituzione di un precedente giuridico. Perché ammettere l’adozione da parte di coppie gay del figlio legittimo di una delle due parti, significa ammettere comunque il diritto delle coppie gay e lesbiche alla paternità e alla maternità, alla formazione di una propria famiglia, alla nascita e alla crescita di figli. Inoltre, un’altra forte motivazione dei suoi più acerrimi oppositori è stata quella che sarebbe stato un implicito riconoscimento della legittimità della “maternità surrogata” che è l’unico modo in cui le coppie omosessuali maschili, oltre le coppie eterosessuali sterili, possono diventare genitori.
Tant’è vero che nonostante il problema sia stato rimandato ad una prossima riforma dell’istituto delle adozioni, che Renzi ha già comunque rimandato alle calende greche, c’è chi propone di inserire al suo interno una condanna esplicita e di tipo penale per la “maternità surrogata”.
Incredibilmente su questa stessa linea retrograda e omofoba non si trovano solo molti esponenti del PD e ovviamente della destra governativa e parlamentare, ma persino l’imbroglione arcirevisionista Marco Rizzo che intervistato da Radio Vaticana si è detto nettamente contrario in ogni caso alla “maternità surrogata”.

Il primato alla famiglia borghese e cattolica
E’ evidente che le unioni civili e le famiglie conviventi sono tutta un’altra cosa dalla famiglia riconosciuta come naturale, fondata sul matrimonio, possibilmente cattolico, indissolubile e prolifico, fra un uomo e una donna. Quest’ultima è di fatto l’unico soggetto riconosciuto, titolare di diritti soggettivi e sovraordinati rispetto a quelli dei suoi componenti. L’unica che lo Stato intende riconoscere, garantire, supportare. E questo nonostante essa sia una famiglia fondata sull’interesse economico, sull’ereditarietà della proprietà privata capitalistica, sulla subalternità, la disparità e l’oppressione della donna e persino sulla violenza fisica sulle donne e i bambini, su una concezione della riproduzione, della sessualità e della vita oscurantista, dogmatica e medievale. Una famiglia borghese e cattolica che come dimostrano i fatti è già fortemente in crisi perché non risponde più alle esigenze, alle aspettative e alla realtà delle masse popolari, femminili e giovanili anche cattoliche del nostro Paese.
La legge sulle unioni civili non fa fare un passo avanti reale nella lotta contro questo tipo di famiglia e nemmeno allarga effettivamente i diritti civili e sociali democratico borghesi per gli omosessuali e per gli eterosessuali che non intendono avvalersi dell’istituto borghese del matrimonio.
Il movimento LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali) ha promosso una manifestazione per il 5 marzo per esprimere “la nostra indignazione per questa legge”.
Noi marxisti-leninisti che da sempre appoggiamo e sosteniamo il loro movimento e le loro rivendicazioni, torniamo a chiedere l’estensione di tutti i diritti garantiti dal matrimonio anche unioni civili e alle famiglie di fatto. Il diritto al matrimonio per le coppie Lgbti. Tutti i nuclei familiari, comunque composti e costituiti, devono essere considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici, amministrativi e fiscali. Chiediamo anche che venga affermato il diritto all'adozione del figlio del partner, nonché venga legalizzata la “maternità surrogata” liberamente scelta dalle donne e non a scopo di lucro. Per tutto questo chiediamo anche la cancellazione dell’articolo 29 della Costituzione del ’48 che, frutto di un inaccettabile compromesso fra DC e PCI revisionista, rappresenta la garanzia del privilegio e della supremazia della famiglia borghese e cattolica sopra ogni altra forma di famiglia.

2 marzo 2016