L'ha confermato la procura di Roma
Regeni torturato da professionisti
La procura di Giza: Regeni torturato per sette giorni. Il governo egiziano continua a non collaborare
L'Italia deve rompere i rapporti diplomatici con l'Egitto

 
Il ministero degli Esteri egiziano trasmetteva il 2 marzo all’ambasciata italiana al Cairo una parte dei documenti richiesti, reperti cartacei in lingua araba, con nessun filmato, registrazione o foto, una serie di atti parziali senza un quadro di insieme; queste le prime comunicazioni ufficiali che sono state ricevute sul caso del giovane dottorando italiano Giulio Regeni, sequestrato il 25 gennaio e il cui cadavere era stato ritrovato il 3 febbraio lungo una strada della periferia del Cairo con segni evidenti di torture. A un mese di distanza dal ritrovamento del corpo e dalla promessa del regime del generale Al Sisi di una stretta collaborazione con i rappresentanti italiani, in primo luogo al gruppo investigativo spedito da Roma al Cairo, si registra dunque un parziale primo scambio informativo neanche a livello investigativo diretto tra procure ma da governo a governo. A sottolienare che per il Cairo la questione più che di polizia è politica.
Il ministero degli Esteri italiano giudicava l'invio dei documenti “un primo passo utile” e il ministro Paolo Gentiloni, smessi i consueti sfavillanti panni del crociato e riindossati quelli grigi di quando da esponente dell'opposizione in Commissione di vigilanza Rai avallava tutte le porcherie dei governi Berlusconi, incassava il pacco dimentico che neanche tre giorni prima aveva spiegato ai giornalisti che confidava di ricevere presto dal Cairo “elementi di indagine seri in tempi rapidi”.
I documenti contenevano tra le altre una parziale sintesi degli elementi emersi dall’autopsia eseguita al Cairo il 4 febbraio scorso che se non altro confermerebbero quanto fatto sapere in forma ufficiosa da fonti della procura di Giza sulle prove che Giulio Regeni è stato torturato nei sette giorni del suo sequestro, in vari momenti e fino a poco prima della morte ipotizzata attorno al 31 gennaio, dovuta alla frattura delle vertebre cervicali.
L'1 marzo era l'agenzia Reuters a riportare le dichiarazioni di fonti della procura egiziana sulla testimonianza del direttore del dipartimento di medicina legale del Cairo che aveva eseguito l'autopsia e certificava le torture e l'assassinio. Il ministero della Giustizia egiziano smentiva le notizie definendole “destituite di qualsiasi fondamento” così come il medico che aveva eseguito l'autopsia. Il procuratore di Giza e altre fonti del giornalista investigativo egiziano Ahmed Ragab le confermavano. Ragab è il giornalista che già aveva denunciato il capo della polizia investigativa che si sta occupando del caso come un noto torturatore, condannato nel 2003 dal Tribunale di Alessandria.
Giulio Regeni è stato ucciso da professionisti della tortura e il movente sarebbe da ricercare nell'ambito della sua attività di studio in Egitto, riconoscevano anche i pm della procura di Roma che seguono la vicenda.
D'altra parte il saggio in lingua inglese, Egypt's Long Revolution (La lunga rivoluzione dell'Egitto), scritto da Regeni e pubblicato nell'autunno del 2014, era il suo punto di partenza della ricerca di dottorato e contiene una denuncia delle costanti violazione dei diritti umani, della tortura regolarmente utilizzata come metodo di interrogatorio, della centralità delle Forze armate e dei Servizi segreti nella vita politica dell'Egitto, quelle praticate dalla dittatura di Mubarak denunciate dalla rivoluzione di piazza Tahrir e ripristinate in pieno dal regime di Al Sisi. A cui si è aggiunta quella del subappalto del “lavoro sporco” a gruppi di criminali comuni che in cambio dell'impunità si mettono al servizio della polizia e dei servizi segeti.
Una analisi quella di Regeni che potrebbe aver tragicamente svelato anzitempo la trama del suo assassinio. E che spiegherebbe anche la mancata collaborazione del governo egiziano col team italiano al lavoro al Cairo e con le autorità italiane. Una mancata collaborazione dovuta a questa ricostruzione dei fatti ma probabilamente anche a una modifica degli interessi egiziani non più collimanti con quelli dell'imperialismo italiano, quantomeno in Libia.
In Libia Al Sisi finora si è mosso in sintonia con l'Italia nel sostegno al governo unitario promosso dalle Nazioni Unite ma che resta bloccato dall'opposizione del Parlamento di Tobruk e dal capo militare, il generale Haftar, entrambi retti dal Cairo. Le recenti notizie sulla presenza di commando francesi al fianco delle milizie di Haftar e quelle su esercitazioni della portaerei De Gaulle nelle acque egiziane indicano un possibile cambio di preferenze del Cairo, da Roma a Parigi.
Questo non inficia ancora il complesso dei rapporti tra l'Italia e l'Egitto, legati anche da mega affari come quello in capo all'Eni che ha scoperto al largo di Alessandria il giacimento di gas naturale più ricco del Mediterraneo. Intanto la Farnesina avalla le prese in giro sulle indagini del Cairo sul caso Regeni e non la sfiora minimamente neanche l'idea di rispondere come dovrebbe, con la rottura dei rapporti diplomatici con l'Egitto.
 

9 marzo 2016