Al Senato nero, in un clima consociativo nazionalista
Passa la legge quadro sulle missioni internazionali imperialiste
Le missioni di guerra travestite da “missioni di pace”

Il 9 marzo, immediatamente prima del dibattito col ministro Gentiloni sulla Libia, in sordina e nel silenzio totale di tutta l'informazione borghese, il Senato ha approvato in seconda lettura il disegno di legge quadro del governo sulle missioni internazionali, dopo la prima approvazione praticamente all'unanimità avvenuta a maggio dello scorso anno a Montecitorio.
Il provvedimento nasce dall'esigenza di inquadrare in una legge organica tutta la materia coinvolta nelle missioni militari all'estero (ambito di applicazione, modalità di deliberazione e finanziamenti, stato giuridico e trattamento economico del personale, ecc.). Questioni che a tutt'oggi sono decise attraverso decreti legge del governo, soggetti quindi a conversione in legge entro 60 giorni dal parlamento, e che per di più necessitano di successive deliberazioni periodiche (finora trimestrali, con questa legge diventeranno annuali) per quanto riguarda il loro prolungamento e rifinanziamento. Lo stesso ambito di applicazione dei decreti era incerto (quando e a quali condizioni si può deliberare l'invio di una missione militare all'estero?), e rimaneva sempre aperto il problema se quella determinata missione violasse o meno l'articolo 11 della Costituzione.
Ora con questa legge quadro tali problemi non esisteranno più, perché già al suo articolo 1 si stabilisce che “la partecipazione delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene o comunque istituite in conformità al diritto internazionale, comprese le operazioni militari e le missioni civili di polizia e per lo Stato di diritto dell'Unione europea, nonché a missioni finalizzate ad eccezionali interventi umanitari, è consentita, in conformità a quanto disposto dalla presente legge, a condizione che avvenga nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”.
In sostanza, cioè, è sempre e comunque consentita, dal momento che l'Italia fa parte dell'Onu, della Nato, della Ue e di “altre organizzazioni internazionali”, e perché sarà sempre possibile appellarsi ai “diritti umani” e al “diritto penale internazionale” per inviare missioni di guerra travestite da “missioni di pace”.

Il governo “delibera”, il parlamento “discute”
Risolto così una volta per tutte il problema dell'articolo 11, la legge stabilisce poi, con l'articolo 2, la procedura per la deliberazione delle suddette missioni. Non ci sarà più quindi un decreto da convertire successivamente, con tutte le incognite annesse, ma una semplice “deliberazione” del governo, che viene “trasmessa” alle Camere “che tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, le autorizzano per ciascun anno, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero ne negano l'autorizzazione”.
Sembrerebbe a prima vista che al parlamento spetti quindi l'ultima parola, ma ciò non è affatto chiaro, come è emerso anche in alcuni interventi in dichiarazione di voto. Intanto non sono indicati i tempi in cui tale “trasmissione” deve avvenire, e non è chiaro nemmeno se nel frattempo le operazioni militari possano iniziare e andare avanti o no. Non è chiaro in altre parole se la decisione del parlamento è preventiva e vincolante oppure è solo una discussione ex post, a cose già avvenute. Il che fa una bella differenza.
Vedremo se e come verrà chiarito questo punto fondamentale in sede di discussione alla Camera, anche perché se la decisione del parlamento fosse vincolante, non si capisce allora perché il comma 4 dello stesso articolo 2 stabilisca che i decreti governativi per il finanziamento delle missioni deliberate debbano sottostare solo ad un parere consultivo delle commissioni parlamentari. E parimenti non è chiaro se l'esame parlamentare della relazione che il ministro degli Esteri, di concerto coi ministri della Difesa e dell'Interno, deve presentare entro il 31 dicembre di ogni anno per il rinnovo delle missioni e i relativi finanziamenti (articolo 3), debba concludersi con un voto vincolante delle Camere oppure no.

Il famigerato “emendamento Parigi”
Senza addentrarci ulteriormente negli altri articoli della legge, che riguardano in gran parte il trattamento economico delle forze impiegate all'estero, mentre per quanto riguarda gli aspetti giuridici (immunità concesse ai militari, applicazione del codice di pace o di guerra, ecc.) converrà aspettare il testo definitivo, vale la pena comunque di riferire su alcuni aspetti che la dicono lunga sul contesto politico in cui si è andato a inserire questo provvedimento, e cioè quello dell'imminente intervento in Libia a guida italiana e all'unità nazionalista e imperialista a cui tutti i partiti parlamentari vengono chiamati ad adeguarsi.
Bisogna fare un passo indietro e ricordare che in questa legge era previsto anche l'articolo (il 19) che concedeva al presidente del Consiglio la facoltà di ordinare direttamente alle forze speciali, dotate per l'occasione di immunità speciali e licenza di commettere reati, azioni di supporto ai servizi segreti in territori stranieri in caso di “pericolo” per la sicurezza nazionale e altri casi di “emergenza”, tramite una catena di comando svincolata dalla stessa Difesa e rispondente solo a Palazzo Chigi. Con il solo obbligo di riferire entro 24 mesi al Copasir (Comitato interparlamentare per i servizi e la sicurezza), tenuto peraltro a mantenere il segreto. Su proposta del presidente della commissione Difesa del Senato, il PD ex dalemiano e ora renzianissimo Latorre, questo articolo venne inserito anticipatamente come emendamento al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali approvato lo scorso dicembre (il famigerato “emendamento Parigi”, perché l'operazione fu fatta approfittando dei recenti attentati di Parigi). E passò tra l'altro con il voto favorevole del M5S e l'astensione di SEL.

Coinvolti nell'unità patriottarda anche SEL e M5S
Ora è stato lo stesso Latorre a proporre e far approvare lo stralcio dell'articolo 19 dal ddl quadro, con la motivazione che essendo già stato approvato a dicembre col decreto missioni non era più necessario. E' evidente invece che il vero motivo dello stralcio era evitare che questo articolo guerrafondaio venisse discusso in aula, e magari che passasse anche qualcuno dei tanti emendamenti preparati, rischiando di riaccendere i riflettori e le polemiche sull'intervento delle forze speciali in Libia che Palazzo Chigi aveva già preparato e poi dovuto rinviare ai primi di marzo. Sicché l'articolo stralciato sarà oggetto di un apposito ddl, ma nel frattempo resta pienamente utilizzabile da Renzi in qualsiasi momento.
Inoltre, sempre su proposta del rinnegato Latorre, l'aula ha approvato l'allargamento del Copasir ad un altro senatore e un altro deputato, apposta per inserire due rappresentanti di Forza Italia che in questa legislatura non ne aveva nessuno. Si aggiunga a questo anche il fatto che sia SEL che il M5S si sono astenuti sulla votazione finale del provvedimento, e si avrà un quadro piuttosto eloquente del clima consociativo di unità nazionale patriottarda che si è instaurato tra i partiti borghesi di maggioranza e “opposizione” col governo e le forze armate, in vista dell'imminente intervento imperialista contro lo Stato islamico in Libia.

23 marzo 2016