I revisionisti di Pechino ricorrono al pop per convincere i giovani a seguire il nuovo imperatore Xi

 
Il pop è la nuova trovata “moderna” e “in linea con i tempi” escogitata dal partito revisionista cinese per innovare la propria propaganda e raggiungere l'immensa platea dei giovani cinesi drogati dalla depoliticizzazione e dal consumismo, entrambi foraggiati dal regime di Pechino dopo la restaurazione del capitalismo nel 1978, ma che ora rischiano di erodere la base di potere del partito, riconosciuto ormai come un semplice strumento per fare carriera ma senza principi.
I modelli ora esaltati dalla propaganda sono cantanti particolarmente amati, attori e attrici di successo, star di Internet e sportivi famosi, che compaiono in video musicali diffusi su Weibo, uno dei maggiori social network cinesi, mentre decantano le parole d'ordine dell'attuale dirigenza cinese o esprimono il loro “amore” per “papà Xi”, come viene definito Xi Jinping.
Cartoni animati, spot musicali, ritmi rap e pop sono i nuovi strumenti della propaganda cinese. Di recente è stata persino messa in rete un'allegra canzoncina per esaltare la “saggezza” e il “progresso” garantiti dal 13° Piano quinquennale (2016-2020), che punta a rafforzare il ruolo del libero mercato. “Se abbiamo abbastanza cibo da mangiare e soldi da spendere, non c'è più nulla di cui preoccuparsi” recita la canzoncina di un altro cartone animato che espone i “quattro principi complessivi” di Xi: costruire una società di media prosperità, approfondire le riforme economiche, governare secondo la legge e rafforzare il partito, cioè i canoni del “sogno cinese”. Negli ultimi mesi è diventata virale su Internet anche una poesia scritta da un dirigente dell'agenzia governativa Xinhua che osanna la figura di Xi in occasione della sua visita del 19 febbraio. Allora, il presidente cinese aveva sentenziato che i media devono limitarsi a essere i portavoce del governo.
L'obiettivo di questa propaganda pop è veicolare rapidamente, tramite canali graditi ai giovani, un messaggio semplice ma essenziale: bisogna venerare e sostenere il nuovo imperatore Xi. Il paragone con Mao e la Rivoluzione culturale proletaria, tentato per esempio dal noto anticomunista Giampaolo Visetti sulla “Repubblica”, non regge proprio: questi messaggi e la loro tipologia sono tipici del capitalismo e del liberismo, oggi praticati in Cina. Anzi, com'è evidente, la propaganda di regime è perfettamente in grado di conformarsi e adattarsi ai nuovi modelli, sfruttando le star e le mode del capitalismo cinese. Xi inoltre è tutt'altro che un “nuovo Mao” perché ha spostato ancora più a destra la linea politica ed economica di Deng Xiaoping, sostenendo che il mercato e l'iniziativa privata devono diventare l'elemento decisivo e trainante dell'economia. Xi, inoltre, ha accentrato sempre più potere nelle sue mani ed ha avviato un vero e proprio culto della sua persona per imporsi a scapito delle altre cricche di potere che animano gli intrighi di palazzo a Pechino.
I colori accesi e le allegre canzoncine nascondono la realtà ben più tetra dei milioni di operai, soprattutto giovani migranti dalle campagne, sfruttati a bassissimo costo per sostenere lo sviluppo ineguale dell'economia capitalista cinese e l'arricchimento di un pugno di milionari che vive nel lusso come i mandarini di un tempo. Le misure legate al nuovo piano quinquennale, approvato la settimana scorsa alla sessione annuale del parlamento, prevedono addirittura il licenziamento di 6 milioni di lavoratori per far fronte alla crisi di sovrapproduzione.

23 marzo 2016