Documento del Comitato centrale del PMLI
I diritti e le battaglie LGBT, il matrimonio e la “maternità surrogata”

 
I marxisti-leninisti italiani sono sempre stati dalla parte dei diritti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali), hanno sempre appoggiato le loro battaglie e le rivendicazioni dei loro movimenti e continueranno a farlo fino a quando non verranno eliminate tutte le discriminazioni nei loro confronti. Siamo assolutamente contro ogni ingiustizia sociale, ogni disparità di sesso, ogni atteggiamento omofobo da parte del governo, delle istituzioni, dei gruppi e dei singoli individui. Per noi LGBT devono avere gli stessi diritti politici, sociali e civili di qualsiasi altro italiano.
Il dibattito che è esploso a livello di massa circa le questioni LGBT, scaturito dalla cosiddetta “teoria gender” nelle scuole e più recentemente dal disegno di legge (ddl) Cirinnà, l'offensiva della destra reazionaria su questo fronte (addirittura strumentalizzando meschinamente fatti di cronaca nera come il caso Luca Varani) e anche l'uso a sproposito di concetti di classe da parte dei falsi comunisti per dividere le lotte dei lavoratori da quelle LGBT, sono tutte ragioni che ci impongono di tornare sul tema e di fare chiarezza, da un punto di vista di classe e marxista-leninista.
 
La legge sulle unioni civili, discriminatoria e gradita al papa
La legge sulle unioni civili approvata al Senato il 25 febbraio scorso è stata decantata come “storica” dal nuovo duce Renzi, mentre è in realtà irricevibile, perpetua le discriminazioni, continua a vietare il matrimonio agli omosessuali e non considera le unioni civili come famiglie a tutti gli effetti, ma solo come “formazioni sociali” di serie B. Lo dimostrano la cancellazione dell'obbligo di fedeltà e della norma che considerava i contraenti dell'unione civile coniugi a tutti gli effetti, ma soprattutto lo stralcio dell'adozione del figlio del partner, norme infime per evitare a tutti i costi che l'unione civile fosse equiparata al matrimonio. Ancora meno per le coppie di fatto, alle quali non è stata concessa nemmeno la reversibilità della pensione ed è stato tolto l'assegno di mantenimento in caso di cessazione del rapporto. È stata la vittoria della destra più conservatrice, retrograda e oscurantista che ha prodotto un testo gradito anche alla Chiesa e al papa, perché non tocca la “sacralità” della famiglia tradizionale.
Non sono soddisfatti nemmeno i movimenti LGBT, che il 5 marzo hanno promosso una combattiva manifestazione nazionale a Roma per chiedere “che sia sancita la piena uguaglianza di tutte e tutti di fronte alla legge, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Puntiamo pertanto al matrimonio egualitario, che dovrà iscriversi in una riforma complessiva del diritto di famiglia che preveda anche l’adozione piena e legittimante per i bambini e le bambine che già esistono, e il riconoscimento alla nascita dei figli che verranno”.
Movimenti che sono stati doppiamente traditi da chi si spacciava a loro paladino nella speranza di raccattare il loro voto alle prossime tornate elettorali. Li ha traditi il Movimento 5 Stelle, che (dopo che Grillo aveva ordinato la “libertà di coscienza” sulle adozioni), dietro il pretesto di un velleitario rispetto delle procedure istituzionali, ha gettato la legge in pasto alla destra conservatrice e reazionaria di Alfano e Verdini; ma li ha traditi soprattutto il PD, che è sempre stato succube della sua ala destra cattolica e non è stato in grado (né ha voluto) di produrre una legge ben più avanzata e veramente paritaria.
Le concessioni positive della legge, come il riconoscimento di diritti basilari e di uno status giuridico benché minimo (e subordinato) alle coppie omosessuali, erano ormai inevitabili perché la coscienza delle masse, ben più avanzata rispetto a quella poi emersa in parlamento, stava rendendo impossibile al governo e persino alla Chiesa continuare a negare ogni diritto ai LGBT. Inoltre, sempre per il governo e per la Chiesa, queste concessioni sono un comodo specchietto per le allodole nella vana speranza che il movimento LGBT si accontenti e si dimentichi del contenuto discriminatorio della legge, che non riconosce le coppie omosessuali come famiglie al pari di quelle eterosessuali. Infine, il PD può presentarsi ipocritamente come il partito al quale il movimento LGBT può affidarsi e, magari, delegare le proprie battaglie, perché è l'unico che ha portato casa un “risultato”, addossando ad altri le colpe delle mancanze.
 
Il matrimonio
Tanto per cominciare, la legge Cirinnà mette le unioni civili su un gradino più basso rispetto al matrimonio. Si tratta cioè di unioni di serie B, giuridicamente non considerate una famiglia e prive della possibilità di avere e crescere figli, anche se nati da precedenti relazioni eterosessuali di uno dei partner.
Eppure è almeno dagli anni Ottanta che si parla di equiparare le coppie omo a quelle etero. Allora era già nato anche in Italia il movimento di liberazione omosessuale, sull'onda di quello sorto negli Stati Uniti dopo la storica ribellione dello Stonewall, un locale ritrovo per gay di New York che il 27 giugno 1969 resisté con la forza all'ennesimo raid della polizia. Quella del matrimonio non è sempre stata una rivendicazione centrale, ma è maturata nel tempo, dopo che il movimento omosessuale aveva attraversato la fase in cui si trattava di conquistare il proprio diritto ad esistere senza discriminazioni e persecuzioni, naturale se si pensa che l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) depennò l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali solo nel 1990. Arcigay, per esempio, ha inserito il matrimonio (esplicitamente differenziato dalla convivenza e dall'unione civile) fra le sue rivendicazioni prioritarie nel 2010.
Comunque è dagli anni Ottanta, dicevamo, che vengono avanzate proposte di legge regolarmente ignorate. Nel febbraio 1988 la deputata socialista Alma Agata Cappiello presenta una proposta di legge per le “famiglie di fatto”, mai calendarizzata. Stessa sorte attende altre proposte simili nelle successive legislature. Nel 2005 i DS presentano i Pacs (Patti civili di solidarietà) per riconoscere le coppie di fatto indipendentemente dall'orientamento sessuale, ma il governo Berlusconi e la sua maggioranza neofascista li fanno naufragare, nonostante una grande mobilitazione di piazza. L'8 febbraio 2007 il governo Prodi adotta i Dico (Diritti e doveri delle persone conviventi), giudicati insufficienti dal movimento LGBT e comunque affossati su ordine della Cei (Conferenza episcopale italiana) diretta da Angelo Bagnasco. I DiDoRe (Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi) nel 2008 non avranno vita migliore.
Il minimo comune denominatore di tutte queste proposte, però, è che mai si parla di matrimonio, ma solamente di convivenza. Eppure una risoluzione del Parlamento europeo dell'8 febbraio 1994 chiedeva di rimuovere gli “ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente”. Concetto ribadito e rafforzato dalla risoluzione del 4 settembre 2003, che impone di mettere fine alle discriminazioni contro gli omosessuali “in particolare in materia di diritto al matrimonio e all'adozione”.
Per capire il motivo del livore reazionario e cattolico contro le unioni gay bisogna risalire ad un documento del Ponticio Consiglio per la Famiglia del 21 novembre 2000, dal titolo: “Famiglia, matrimonio e 'unioni di fatto'”. Il lungo documento vieta esplicitamente il riconoscimento delle unioni omosessuali dietro non meglio precisate “gravi conseguenze sociali”. Per giustificarsi, vengono riportate due citazioni di Giovanni Paolo II (santificato da Bergoglio) che, da allora, hanno costituito il mantra della crociata omofoba: secondo il pontefice morto nel 2005, alla “pretesa di attribuire una realtà coniugale all'unione fra persone dello stesso sesso [si] oppone, innanzitutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio” (discorso al Tribunale della Rota Romana, 21-1-1999); “non può costituire una vera famiglia il legame di due uomini o di due donne, e molto meno si può attribuire a questa unione il diritto di adottare bambini senza famiglia” (Angelus del 20-2-1994). Pertanto, intima il documento: “nelle società aperte e democratiche di oggi, lo Stato e i poteri pubblici non devono (sic!) istituzionalizzare le unioni di fatto, accordando loro uno statuto simile a quello del matrimonio e della famiglia” .
Torneremo su questo punto. È comunque evidente che non vi sia nessuna ragione per negare agli omosessuali il diritto al matrimonio con condizioni assolutamente paritarie a quello eterosessuale, se non la crociata retrograda della Chiesa appoggiata dai governi e politicanti nostrani di destra e “sinistra”.
 
L'adozione
La legge sulle unioni civili ha anche stracciato la norma sull'adozione del figlio del partner, che è stata rimandata a data da destinarsi, cioè probabilmente a mai, visto che Renzi se ne lava le mani affidandosi al fatto che spesso i tribunali riconoscono comunque l'adozione, ma si tratta di casi specifici per i quali i genitori omosessuali devono spendere denaro ed energie. Comunque non gli è stato riconosciuto un diritto legittimo.
I vari Giovanardi e Adinolfi adducono presunti “dati” psicologici per dimostrare che i bambini hanno bisogno di due genitori di sesso diverso per crescere sani. In realtà innumerevoli ricerche e prese di posizione di studiosi e specialisti di psicologia, psichiatria e pediatria confermano che il sesso dei genitori è irrilevante per la regolare e serena crescita della bambina o del bambino.
Già nel 2004 l'American Psychological Association, all'avanguardia su questo tipo di studi, affermava che “non esiste alcuna prova scientifica che l'essere dei buoni genitori sia connesso all'orientamento sessuale dei genitori medesimi. Al contrario, i risultati delle ricerche indicano che genitori lesbiche e gay hanno la stessa probabilità di quelli eterosessuali di fornire ai loro figli un ambiente di crescita sano e favorevole”. Nel 2011 l'Associazione italiana di psicologia ha espresso una posizione simile sottolineando che ciò che conta “è la qualità dell'ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano dello stesso sesso”. Il 20 settembre 2014 l'Ordine degli psicologi ribadiva il concetto e il 9 febbraio 2016 addirittura consegnava ai senatori un dossier di 70 studi condotti in diversi Paesi dal 1972 al 2015 per dimostrare che non esiste “alcun collegamento o connessione tra il sesso dei genitori e un ipotetico disagio dei bambini presenti in famiglia”. Si potrebbe continuare, ma già questi esempi sono sufficienti per capire come la teoria secondo cui avere due genitori dello stesso sesso danneggerebbe la crescita regolare dei bambini, non ha nessun fondamento scientifico.
Peraltro quella degli omogenitori in Italia è già una realtà, ma difficilmente quantificabile. Il censimento Istat del 2011 rilevava che, su 7.513 coppie dichiaratesi “dello stesso sesso”, solo 529 avevano figli; il dato però risulta poco attendibile se si tiene conto che l'indagine non era anonima. La ricerca più approfondita risale al 2006 e fu condotta da “Modi di”: emerse che il 17,2% dei gay e il 20,2% delle lesbiche sopra i 40 anni aveva figli propri, per gran parte nati da precedenti relazioni eterosessuali, mentre una percentuale molto più bassa, inferiore all'1%, aveva figli non biologici.
Ciò dimostra che la possibilità per i gay e le lesbiche di adottare il figlio del partner è quantomai urgente ma insufficiente: bisogna riconoscere il pieno diritto delle coppie omosessuali all'adozione e, contestualmente, rendere le procedure più semplici ed economiche per tutte le coppie sia omosessuali sia eterosessuali. A compromettere la crescita serena dei bambini sono semmai l'esistenza dello sfruttamento capitalistico, la divisione della società in classi e lo sfacelo dei servizi pubblici, per cui molte famiglie vivono in condizioni di povertà e faticano persino a permettersi l'asilo e la scuola per i figli.
 
La gestazione per altri, o “maternità surrogata”
Benché non fosse contemplato nel ddl, il forcaiolo ministro del governo Renzi Alfano ha sostenuto che “la stepchild rischia veramente di portare il Paese verso l'utero in affitto, verso il mercimonio più ripugnante che l'uomo abbia saputo inventare” (intervista all'“Avvenire”, 6-1-2016).
L'obiettivo di Alfano chiaramente era distogliere l'attenzione dai punti veramente in discussione, ma probabilmente non si aspettava che sarebbe riuscito ad unire, sotto la sua bandiera non solo i reazionari più beceri, i cattolici di destra e buona parte del PD, ma persino parte della cosiddetta “sinistra” (come Fassina), le femministe di “Se non ora quando” e il partito falso comunista di Marco Rizzo. Tutti uniti in una sorta di armata Brancaleone in lotta contro la “maternità surrogata” perché, secondo loro, sarebbe una mercificazione del corpo femminile. Rizzo, addirittura tramite la Radio Vaticana, e altri intellettuali piccolo-borghesi hanno addirittura rispolverato Marx e la lotta di classe per portare acqua, invano, al mulino dell'oscurantismo clericale. Se non altro, si è aperto un dibattito che, siamo convinti, alla fine sancirà la sconfitta di chi vuole tirare indietro le ruote della storia sulla base di concezioni retrive e religiose.
Per “maternità surrogata”, chiamata incorrettamente anche “utero in affitto” per darle un tono ancora più dicriminatorio e disumano, si intende la possibilità per una donna di partorire un figlio per conto di altri. In Italia è vietata, ma è già largamente praticata di fatto e, in certi Paesi, anche legalmente, dalle coppie eterosessuali.
Per noi marxisti-leninisti italiani, è un diritto che va riconosciuto sia alle coppie eterosessuali sterili che a quelle omosessuali, cioè a chi è biologicamente impossibilitato a generare figli, purché basata sulla libera scelta da parte delle donne e mai a scopo di lucro. Come nel caso dell'aborto e della fecondazione assistita, le donne devono avere il diritto di decidere da sole, accettando o meno di prestarsi alla gestazione per altri. Si nega tale diritto non per difendere le donne e la loro dignità, ma perché si vuole continuare a tenere la nascita, come la morte, vincolate al “mistero” e alle leggi divine e impedire che vengano poste sotto il controllo degli esseri umani. Devono peraltro essere facilitate le procedure per l'adozione, che va legalizzata anche per le coppie gay. Ovviamente, sotto il capitalismo, dove vige la legge della giungla del libero mercato, solo i più ricchi possono permettersi questa pratica ed esiste il pericolo che le donne proletarie e oppresse siano barbaramente costrette a “vendere” il proprio corpo. A ben vedere ciò vale anche per molti altri diritti, a partire dalla stessa adozione, per via delle differenze di classe che esistono nella società. La cultura individualista ed edonista del capitalismo può portare anche ad aberrazioni come la scelta della donatrice in base a caratteristiche fisiche come il colore degli occhi e dei capelli, come avviene negli Usa. Tutto questo è inaccettabile e deve essere rifiutato, battendosi per strappare leggi a tutela delle “madri surrogate”, in particolare affinché la pratica sia realizzata esclusivamente dalla sanità pubblica, non da cliniche private a caccia di profitti.
Si tratta di lottare per eliminare sia le condizioni economiche e sociali che possono portare allo sfruttamento delle donne povere, sia quelle che impediscono alle coppie etero e gay appartenenti alle classi oppresse di poter ricorrere alla surrogata. Siamo di fronte ad un'ulteriore prova che senza diritti sociali non ci possono essere diritti civili autentici per tutti. Ecco perché la battaglia per il matrimonio, l'adozione e la “maternità surrogata” anche per le coppie omosessuali è parte integrante e non in contraddizione con la lotta più generale per l'emancipazione del proletariato e dell'intera umanità.
 
La questione della “teoria gender” nelle scuole
Ad aggiungere altro fumo alla campagna di demonizzazione operata dalla destra c'è la cosiddetta “teoria gender”, agitata da certi esponenti e gruppi cattolici come Giovanardi, Adinolfi e le “Sentinelle in piedi” quale uno spauracchio rivolto a deviare la sana crescita sessuale dei bambini.
Di una certa “teoria gender” si parla nel già citato documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ma la questione resta perlopiù dormiente fino al 2014, quando l'adozione della “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere”, fatta anche di interventi nelle scuole da parte di esponenti di associazioni LGBT, diventa il casus belli per l'ennesima crociata oscurantista e omofoba.
Numerose associazioni cattoliche, fra cui gruppi già conosciuti per la loro linea reazionaria su aborto ed eutanasia come il “Movimento per la vita” e “ProVita”, conducono da allora una vera e propria campagna di disinformazione, sostenendo con toni allarmistici che sarebbe in corso un tentativo di far passare nelle scuole una certa “teoria gender”. Questa “teoria” direbbe che non si nasce maschi o femmine, ma si può scegliere il proprio sesso in base alle inclinazioni psicologiche o agli influssi culturali ricevuti e che non esistono differenze di genere. L'anno scorso “ProVita” ha messo in rete un ridicolo video-spot di meno di un minuto, poi andato virale, per diffondere queste bugie.
Da allora non si contano le sciocchezze che sono state dette sulla “teoria gender”. Nel novembre 2014 la Curia di Milano è arrivata persino a indire una caccia alle streghe tramite una lettera agli insegnanti di religione per chiedere di “segnalare” chi osa parlare di omosessualità e identità di genere a scuola. Addirittura un certo Comitato “Difendiamo i nostri figli” (composto da noti oscurantisti come Adinolfi, Costanza Miriano e Giusy D'Amico) ha stravolto un documento dell'Oms facendolo passare come un invito a insegnare ai bambini a praticare la masturbazione e ad amare persone dello stesso sesso a partire dai 4 anni e questo, secondo loro, sarebbe la prova che la “teoria gender” è “un preciso disegno pilotato da alcuni poteri forti” (“Avvenire”, 16-4-2015). Ovviamente il documento in questione, pubblicato nel 2010 con il titolo “Standard per l'educazione sessuale in Europa”, non dice nulla di tutto ciò ma si limita a suggerire delle linee-guida per l'educazione sessuale, eppure proprio su questa bufala è stato costruito tutto il “Family Day” del 20 giugno 2015. Lo stesso Adinolfi si è candidato a sindaco di Roma con una lista chiamata “No gender nelle scuole – Il popolo della famiglia”.
In realtà non esiste nessuna “teoria gender”. Ciò da cui la destra cattolica ha estrapolato le sue strumentalizzazioni altro non sono che gli studi di genere. Questo filone, comparso a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, nasceva con l'obiettivo di decostruire i tradizionali “ruoli di genere” della donna e dell'uomo, dietro il corretto assunto che questi “ruoli”, generalmente entrati nelle abitudini quotidiane al punto da sembrare “naturali”, favoriscono il patriarcato e il maschilismo. In altre parole, alle donne e agli uomini sono associate certe caratteristiche e comportamenti che finiscono per definire ciò che è appropriato per le donne e per gli uomini, come se fosse naturale che la donna si occupi dei lavori di casa, della cura dei figli e delle mansioni meno pesanti e specializzate e l'uomo si faccia carico di maggiori responsabilità e del ruolo di capofamiglia e abbia un ruolo più forte e imponente. Solo in questo senso, quindi, gli studiosi affermano che l'immagine della donna e dell'uomo, dei loro ruoli e delle loro inclinazioni sono frutto dell'influenza della società.
In un secondo momento, gli studi di genere hanno affrontato anche la differenza fra l'identità e l'orientamento sessuali. Per identità sessuale si intende il sesso nel quale ci si identifica; capita che non sia il sesso con il quale si è nati, come nel caso dei transessuali. Ciò non significa affatto invitare ciascuno a scegliere il proprio sesso, ma semplicemente che può capitare di non identificarvisi. Per orientamento sessuale si intende invece l'attrazione, totale o parziale, verso un determinato sesso. Identità e orientamento sessuali non coincidono e, anzi, oggettivamente esistono numerose varianti.
È quindi chiaro che la “teoria gender” è un'invenzione bell'e buona della Chiesa e dei suoi servi politici con lo scopo di spaventare le masse e demonizzare i diritti degli omosessuali e transessuali. Ricorrendo a questi metodi medievali, come quando i preti agitavano lo spauracchio di Satana, delle streghe e dei fantasmi per i propri fini politici, oggi non vogliono che l'omosessualità, la bisessualità, la transessualità e l'intersessualità vengano accettati come normali varianti della sessualità umana e quindi prevenire fenomeni estremamente negativi come il bullismo e le discriminazioni omofobe. Il vero obiettivo è impedire l'approvazione del ddl Scalfarotto, attualmente fermo in Senato, che introduce il reato di omofobia, e perpetuare il modello unico di famiglia, capitalista e cattolico, con la donna come moglie e madre. Per la Chiesa, inoltre, è un convenientissimo espediente per sviare l'attenzione da problemi ben più gravi e reali come le sue inaccettabili e antistoriche ingerenze sullo Stato italiano, che è laico solo sulla carta, e scandali imbarazzanti come le ricchezze vergognose del Vaticano e i preti pedofili impuniti.
È invece necessario promuovere corsi di informazine sessuale nelle scuole da un punto di vista scientifico, dando una corretta visione della sessualità, istruendo sull'uso dei contraccettivi, mettendo in guardia contro i rischi connessi alla pratica sessuale irresponsabile ed educando anche all'accettazione e al rispetto delle differenze sessuali e di genere.
 
La vera posta in gioco: la sopravvivenza del modello cattolico e capitalista di famiglia
Da dove nasce un'offensiva così dura e accanita da parte della destra reazionaria e cattolica? Cosa significa “difendere la famiglia tradizionale”, una parola d'ordine agitata anche da una fetta considerevole della “sinistra” borghese e del M5S? Insomma, qual è la vera posta in gioco?
Evidentemente l'offensiva reazionaria nasconde una battaglia all'ultimo sangue in difesa del modello tradizionale di famiglia, cioè borghese e cattolica, monogamica e patriarcale, nel vincolo del matrimonio indissolubile fra un uomo e una donna e fondata sulla doppia schiavitù domestica e salariale di quest'ultima. Un modello sancito anche dall'articolo 29 della Costituzione italiana.
Questo modello di famiglia non è sempre esistito né esisterà sempre, ma è nato con l'avvento della proprietà privata e della società divisa in classi e si è via via sviluppato nel corso della storia. Nella sua magistrale opera “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, Engels lo spiega molto bene: "L'origine della monogamia (...) non fu, in alcun modo, un frutto dell'amore sessuale individuale, col quale non aveva assolutamente nulla a che vedere, giacché i matrimoni, dopo come prima, rimasero matrimoni di convenienza. Fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune. La dominazione dell'uomo nella famiglia e la procreazione di figli incontestabilmente suoi, destinati a ereditare le sue ricchezze: ecco quali furono i soli ed esclusivi fini del matrimonio monogamico" .
Naturalmente nel corso del tempo la famiglia monogamica ha visto molti cambiamenti e si è in parte modificata, grazie anche alle lotte del movimento operaio e femminile per la conquista di diritti come il divorzio e della parità donna-uomo. Tuttavia non sono cambiate la natura e la funzione del modello borghese di famiglia: tramite la famiglia il capitalismo si assicura ogni giorno la riproduzione della forza-lavoro, non solo intesa come riproduzione della specie, ma anche come soddisfacimento di tutta una serie di bisogni della vita materiale e spirituale che permettono alla forza-lavoro di rigenerarsi, rinfrancarsi e modellarsi in base alle esigenze dello sfruttamento capitalistico. Questi bisogni se dovessero essere soddisfatti socialmente attraverso adeguati servizi sociali costerebbero troppo ai capitalisti che dovrebbero rinunciare a una parte dei loro profitti.
La famiglia è inoltre il più efficace “ammortizzatore sociale” di cui il capitalismo dispone. Essa infatti impedisce che fenomeni come i bassi redditi, la disoccupazione, il precariato, la carenza di case, l'assenza, la carenza o il costo sempre più oneroso dei servizi sociali, assistenziali e sanitari pubblici, il bisogno di cure e assistenza per bambini, anziani, diversamente abili, facciano esplodere violente contraddizioni e lotte sociali. In più la famiglia, alla quale viene affidato un ruolo particolare nell'educazione delle nuove generazioni, ha il compito fondamentale di perpetuare e tramandare le idee, i “valori” e i costumi borghesi, da quelli religiosi e morali, a quelli sociali e politici.
La famiglia borghese è infine il luogo dove si perpetua e istituzionalizza la schiavitù domestica della donna. “La moderna famiglia singola” , continua Engels, “è fondata sulla schiavitù domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Al giorno d'oggi l'uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nella famiglia egli è il borghese, la donna rappresenta il proletario”. Queste parole non sono forse attualissime, oggi che solo il 47% delle donne ha un lavoro, soprattutto nel terziario e in professioni a bassi livelli di reddito e specializzazione, guadagnando in media il 41% in meno dei lavoratori, e che la maggior parte dei femminicidi avviene in ambito familiare o di coppia?
Non stupisce che la triade mussoliniana, poi craxiana, berlusconiana e oggi renziana, che guida l'azione di governo e ne orienta gli indirizzi ideologici, sia “Dio, patria, famiglia”: uso della religione per la perpetuazione del sistema vigente, nazionalismo, difesa della famiglia borghese come cellula di base del capitalismo.
Far passare questa famiglia come “naturale” rientra negli interessi della classe dominante borghese, affinché questo modello passi per sacro e immutabile. Qui la religione ha svolto un ruolo ideologico assai importante, tipico della sua natura di oppio dei popoli. L'idea della famiglia eterosessuale come “naturale” nasce infatti dalla Chiesa, nel cui “Catechismo” si legge: “La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l'uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell'amore e nel dono della vita”. Concetto ribadito nella “Dichiarazione comune” di Cuba fra papa Bergoglio e il patriarca russo Kirill del 12 febbraio, dove si sottolinea che essa “si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna” (proprio “progressista”, questo Bergoglio!). Tra l'altro, proprio come il capitalismo considera la famiglia il primo luogo di educazione ideologica conscia o inconscia, il suddetto documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia afferma anche che la Chiesa “riconosce nella famiglia la 'Chiesa domestica'”, ossia il luogo dove perpetuare tradizioni, usi, abitudini convenienti a mantenere il potere del clero.
Da qui nasce anche la condanna morale e giuridica degli omosessuali: tuttora nel “Catechismo” è scritto che i rapporti omosessuali sono “gravi depravazioni”, “intrinsecamente disordinati”, “contrari alla legge naturale”, frutto del vizio e dell'immaturità sessuale.
Il modello borghese e cattolico di famiglia però non corrisponde più alle esigenze, alla coscienza e alla realtà delle masse popolari, femminili e giovanili del nostro Paese. Esso è stato incrinato dalle conquiste delle donne, dal declino dell'influenza limitante della religione cattolica fra i giovani, dalla diffusione di forme diverse di famiglie come quelle di fatto e dall'esplosione della battaglia per i diritti delle famiglie gay. Lo dimostra, oltre alla grande mobilitazione di massa a favore delle unioni gay, un importante documento firmato da sette preti cattolici a febbraio che critica la legge Cirinnà come “un compromesso al ribasso, frutto della peggiore interdizione reciproca dentro una maggioranza di governo raccogliticcia e indifferente ai diritti civili, ma interessata alle manovre di potere”.
È esattamente la crisi di questo modello a portare la destra più reazionaria ad opporsi a ogni tentativo di riconoscere le coppie di fatto e le famiglie omosessuali, talvolta raggiungendo punti di isteria delirante come le affermazioni di Costanza Miriano, promotrice del “Family Day”, che ha ancora il coraggio di sostenere che la donna deve essere sottomessa all'uomo.
In questo quadro, come abbiamo visto, la legge Cirinnà ribadisce la supremazia della famiglia tradizionale eterosessuale, che continua a essere l'unica all'interno della quale è possibile crescere dei figli, addirittura l'unica ad essere considerata giuridicamente una famiglia vera e propria. Si spiega così perché la legge, una volta scremata dalle adozioni e dalle altre norme paritarie, sia risultata accettabile dalla destra conservatrice “ripulita” e ciellina di Alfano e Verdini, dall'ala destra cattolica del PD e in qualche modo dallo stesso papa Francesco, il quale pare avere accettato tatticamente il riconoscimento di pochi diritti basilari alle coppie gay purché fosse giuridicamente ribadita la loro impossibilità di formare una famiglia e avere figli. Ciò ha prodotto una spaccatura nella destra e nella Chiesa, con Adinolfi, Giovanardi, Salvini, Meloni e la parte più oscurantista del clero come la Conferenza episcopale italiana (Cei) assolutamente contrari a qualsiasi apertura. Vorrebbero tornare al fascismo, quando gli omosessuali venivano perseguitati, mandati al confino o nei campi di concentramento secondo le “misure di pulizia” allora in vigore. O come avviene tuttora in molte parti del mondo, dove essere omosessuali o transessuali è un reato.
Legittimare la famiglia omosessuale e dare alle coppie di fatto gli stessi diritti di quelle sposate è quindi inaccettabile alla borghesia nostrana, perché sarebbe un incrinamento dell'ordine capitalistico che vede la sua economia, le sue istituzioni politiche e la sua morale già fortemente in crisi e sempre meno accettate dalle nuove generazioni. Si tratta di riaffermare la supremazia assoluta del modello capitalista e cattolico di famiglia fondato sul matrimonio eterosessuale e sulla subalternità della donna come l'unico modello possibile, nonché del suo ruolo di tappabuchi a costo zero dello Stato capitalista, in un momento caratterizzato dalla demolizione dello “Stato sociale”.
Naturalmente, quand'anche gli omosessuali ottenessero di poter formare famiglie proprie, queste ultime, perdurando il capitalismo, assumerebbero le medesime caratteristiche della famiglia borghese come comodo ammortizzatore sociale per risparmiare allo Stato gli onerosi costi dei servizi sociali. Non sarebbe ancora la fine del modello borghese e cattolico di famiglia e la nascita di un nuovo modello fondato sulla parità e sulla socializzazione del lavoro domestico. E tuttavia sarebbe un ulteriore colpo all'ordinamento sociale capitalistico ed allo strapotere clericale.
 
La lotta per i diritti LGBT sia parte integrante della lotta contro il capitalismo, per il socialismo
Fin qui abbiamo voluto esporre un punto di vista marxista-leninista, rivoluzionario e di classe sulla questione delle battaglie LGBT per i diritti civili, che sono sacrosanti e vanno assolutamente riconosciuti a tutti, senza distinzione di orientamento sessuale.
Noi incoraggiamo il movimento LGBT a continuare la sua battaglia fino in fondo, cioè fino a quando tutte le sue rivendicazioni non saranno state realizzate e alle coppie omosessuali saranno riconosciuti gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, non uno di meno. Ce la farà, secondo noi, se si staccherà dai partiti del regime neofascista, se non demanderà le sue lotte al dibattito parlamentare e se non si accontenterà delle briciole lasciate dal governo e dalla Chiesa, ma continuerà a battersi e a trovare forme di lotta sempre più incisive e avanzate per portare avanti i propri obiettivi.
Visto che è emerso con assoluta chiarezza che la “sinistra” borghese non è dalla sua parte, sarebbe un bel segnale se il movimento LGBT prendesse posizione a favore dell'astensionismo alle prossime elezioni amministrative per punire sonoramente il governo Renzi e i falsi amici dei diritti civili. Potrebbe farlo anche favorendo la vittoria del Sì al referendum contro le trivellazioni del 17 aprile e la vittoria del NO al referendum di autunno sulle controriforme neofasciste e piduiste del Senato e della legge elettorale. Quest'ultimo è d'interesse diretto del movimento LGBT perché un restringimento delle libertà democratico-borghesi non potrà che favorire le forze reazionarie e omofobe. Si tratta, in breve, di contribuire alla formazione di una grande opposizione sociale e di massa per buttare giù Renzi e il suo governo neofascista, antipopolare, presidenzialista, interventista e omofobo.
Per quanto ci riguarda, la piattaforma rivendicativa del PMLI per i diritti LGBT è la seguente:
- Garantire a omosessuali, lesbiche e transessuali parità di trattamento in relazione alla sicurezza sociale, l'assicurazione delle malattie, le prestazioni sociali, il sistema educativo, il diritto professionale, matrimoniale e di successione, il diritto di adozione, la legislazione sui contratti d'affitto.
- Diritto al matrimonio civile fra coppie dello stesso sesso e riconoscimento degli stessi diritti e doveri previsti per il matrimonio eterosessuale.
- Diritto per le coppie omosessuali comunque costituite di adottare i figli del partner o bambini non biologicamente propri. Contestualmente, adeguare le norme legislative e le strutture operative per favorire l'accesso alle adozioni a tutte le famiglie, comunque formate, anche di fatto, etero e omosessuali e ai singoli, alzando il tetto dell'età massima, velocizzando i tempi e abbattendo le spese burocratiche.
- Parità di diritti e trattamenti sociali, economici e fiscali per le coppie di fatto, sia eterosessuali che omosessuali, a partire dalla reversibilità della pensione.
- Introduzione del reato di omofobia e transfobia attraverso l'estensione della legge Mancino alle discriminazioni sessuali e di genere.
- Forti agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa per le famiglie con un reddito medio-basso, le giovani coppie e i singoli, senza discriminazioni verso gli immigrati, le famiglie di fatto e le convivenze etero e omosessuali.
- Diritto, anche per le famiglie di fatto, comprese le coppie omosessuali, lesbiche, transessuali, di accedere ai bandi di concorso per l'assegnazione delle case popolari.
- Diritto a ricorrere alla gestazione da parte di altri (la “maternità surrogata”), gestita esclusivamente dalla sanità pubblica, che strategicamente deve essere controllata, insieme alla ricerca, dai lavoratori del settore e dai pazienti.
- Diritto per tutti, ivi comprese le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere gratuitamente alla fecondazione assistita nelle strutture pubbliche.
- Possibilità per i transessuali di scegliere il genere sulla carta d'identità.
- Informazione sessuale pubblica e scientifica che tocchi anche il tema dei diversi orientamenti e identità sessuali e che svolga un ruolo centrale nella lotta all'omo-transfobia e alla lotta contro l'infezione da HIV e al rispetto e alla tutela dei sieropositivi, con partecipazione degli studenti alla sua pianificazione e organizzazione e preceduta da corsi di formazione per gli insegnanti finalizzati alla comprensione dell'omosessualità e alla protezione da abusi, molestie e discriminazioni di natura omo-transfobica.
- Diritto di asilo per i migranti perseguitati nei Paesi di provenienza in base al loro orientamento sessuale.
- Messa al bando di gruppi che praticano, sotto qualsiasi forma, programmi di “cura” dell'omosessualità.
I diritti civili, però, non bastano. Senza il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato, senza la casa, senza la scuola pubblica e gratuita dove mandare i figli, senza la pensione pubblica, senza servizi sociali pubblici, gratuiti e funzionanti, le famiglie popolari anche omosessuali rischieranno di vivere nella povertà e nella precarietà.
Gli imbroglioni riformisti alla Vendola, Ferrero e Bertinotti hanno fatto un gran baccano sui diritti civili per nascondere la loro totale omologazione al capitalismo e per distogliere l'attenzione delle masse in lotta dalla vera fonte del problema, ossia il sistema economico fondato sullo sfruttamento e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione che garantisce il profitto di pochi.
Siamo però assolutamente contrari a mettere i diritti sociali contro i diritti civili, cioè a mettere la classe operaia e i lavoratori contro chi, in questi giorni come nel passato, si sta battendo per i diritti civili.
Fa riflettere che certi omosessuali appartenenti alla borghesia, come Dolce e Gabbana, siano contrari all'estensione dei diritti alle coppie gay, a partire dall'adozione. Evidentemente vogliono farsi belli nei salotti che frequentano. In ogni caso, ciò dimostra che l'estensione dei diritti civili va soprattutto a vantaggio dei LGBT appartenenti alle masse popolari, che non possono certo compensare la mancanza di questi diritti con ampie disponibilità economiche o comodi allacci personali. D'altra parte, per chi venera il profitto, diritti sacrosanti come la reversibilità della pensione del partner si possono tranquillamente sacrificare, visto che i propri guadagni astronomici lo consentono.
Per tutti questi motivi, senza veri diritti sociali per tutti non ci possono essere veri diritti civili per tutti. Le battaglie per i diritti LGBT devono quindi essere viste come parte integrante e non in contraddizione con la lotta generale e strategica contro il capitalismo, per il socialismo.
Battiamoci perché a tutti siano riconosciuti gli stessi diritti sociali e civili!
Spazziamo via il governo neofascista, antipopolare, presidenzialista, interventista e omofobo del nuovo duce Renzi!
Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
Il Comitato centrale del PMLI
Firenze, 21 marzo 2016

30 marzo 2016