Nemmeno Berlusconi era giunto a tale falsa denuncia
Renzi: “Per 25 anni barbarie del giustizialismo”
L'arroganza del nuovo duce non ha limite
La piazza lo deve cacciare

Ringalluzzito dalla vantata “vittoria” astensionista al referendum sulle trivelle, e per uscire dall'angolo in cui le numerose inchieste giudiziarie, in testa quella di Potenza l'avevano messo, Renzi ha approfittato del dibattito sulle due mozioni di sfiducia delle opposizioni al governo per usare il Senato come una tribuna per sferrare un ulteriore e più duro colpo all'intera magistratura, e per sancire una volta per tutte la superiorità e l'intoccabilità del potere politico rispetto al potere giudiziario.
Prendendo spunto dall'intervento del NCD Gabriele Albertini, che aveva appunto rivendicato il diritto di governo e parlamento di approvare tutti i decreti Tempa Rossa che vogliono, senza che la magistratura ci possa mettere becco (“faccio totalmente mie le considerazioni del senatore Albertini”, aveva sottolineato infatti come premessa Renzi, dopo aver già fatto recapitare all'ex leghista un biglietto di apprezzamento), il nuovo duce si è così scagliato contro i magistrati: “Questo Paese ha conosciuto figure di giudici eroi che hanno perduto la vita nella lotta contro la mafia, contro la camorra, contro la corruzione e contro l'illegalità. Ma questo Paese ha conosciuto anche negli ultimi venticinque anni, pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo”.
Un attacco, nel tono e nel contenuto, di una violenza e di un'arroganza senza precedenti, tale da far impallidire perfino quelli a cui Berlusconi ci aveva abituato, con i suoi “magistrati cancro della nazione” e “disturbati mentali”. Tant'è vero che a rincarare la dose il premier non si è peritato di aggiungere: “Un avviso di garanzia, strumento processuale a tutela dell'indagato, è stato per oltre vent'anni una sentenza mediatica definitiva. Vite di persone perbene, e ripeto persone perbene, sono state distrutte mentre i delinquenti avevano il loro guadagno nell'atteggiamento demagogico e populista di chi faceva di tutta l'erba un fascio. E oggi io dico, davanti a quest'Aula, che l'avviso di garanzia non è mai una condanna e dico all'assessore dei 5 Stelle di Livorno che noi non chiederemo le sue dimissioni perché è stato indagato perché crediamo nella Costituzione e crediamo nei processi, che si fanno nelle aule”.

Riabilitazione di Craxi e di Berlusconi
In sostanza il nuovo Mussolini ha detto e sottolineato che da “mani pulite” fino ad oggi la storia giudiziaria di questo Paese è stata solo una storia di “barbarie giustizialista”, comprese quindi anche le condanne di Craxi e di Berlusconi, i quali sono stati da lui implicitamente riabilitati come martiri della “persecuzione giudiziaria”, insieme a tutti i politici corrotti della prima e della seconda repubblica neofascista, arrivando naturalmente a comprendere gli inquisiti e i condannati del suo partito. E lo ha proclamato proprio mentre il suo governo è stato beccato con le mani nel barile di petrolio, nel pieno dell'inchiesta che in Basilicata vede coinvolti tutti personaggi del suo partito, dopo lo scandalo di Banca Etruria che chiama in causa la Boschi e mentre in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, come documentato da Il Fatto Quotidiano del 21 e 22 aprile, sono decine e decine i sindaci, i governatori di Regione, i consiglieri e gli esponenti del PD coinvolti a vario titolo in scandali e inchieste legate a corruzione, mafie, abuso d'ufficio, appalti truccati, spese pazze, e chi più ne ha più ne metta.
Non c'è da meravigliarsi, allora, se tra i più entusiasti a spellarsi le mani per il suo sfacciato attacco ai magistrati, siano stati i suoi ascari di Ala, il gruppo di fuorusciti dal partito di Berlusconi capeggiato dal plurinquisito Verdini: “Ero seduto vicino a Denis Verdini e ci siamo dati dei pizzicotti”, ha raccontato ancora incredulo a Il Fatto il capogruppo di Ala, l'ex sindaco di Aulla Lucio Barani, quello che nel suo comune aveva fatto erigere una statua a Craxi. “L'ho detto a Denis: Ma è Renzi o Craxi? Non volevo crederci, non volevamo crederci... la stessa cultura garantista, socialista e riformista. Renzi è tornato alla casa del Padre”, ha aggiunto trionfante l'ex sindaco di Aulla, sottolineando anche che se nel 2013 ci fosse stato Renzi come presidente del Consiglio Berlusconi non sarebbe mai stato condannato.
Sulla scia del nuovo duce si è subito infilato il rinnegato Napolitano, ben felice di poter aggiungere a quella di Renzi anche la sua pugnalata alle spalle dei magistrati, per vendicarsi dello “sgarbo” dell'interrogatorio da parte dei giudici di Palermo sul caso Mancino-D'Ambrosio: “Ci sono stati – ha sentenziato l'(ex?) capo dello Stato - casi gravi di montature scandalistiche e giornalistiche contro persone che hanno ricevuto un avviso di garanzia e sono state poi scagionate... spesso vengono pubblicati pezzi di conversazioni non contestualizzate, come è successo al mio consigliere Loris D'Ambrosio che ci ha rimesso la pelle per un attacco cardiaco e io queste cose non le posso dimenticare”.

Il processo mediatico a Davigo
Com'era scontato, anche se ciò non rende la cosa meno scandalosa e intollerabile, non uno dei mass-media e dei pennivendoli di regime ha condannato o anche solo criticato la provocazione di Renzi. Al contrario, tutti costoro si sono scagliati come una muta di cani rabbiosi sul neo presidente dell'Associazione nazionale magistrati (Anm), l'ex pm di “mani pulite” Piercamillo Davigo, non appena questi si è sentito giustamente in dovere, a nome dei magistrati che rappresenta, di controbattere la tesi demagogica e arrogante del nuovo Mussolini.
“Non commento le dichiarazioni del presidente del Consiglio – aveva detto il presidente dell'Anm a Il Fatto del 20 aprile - ma è una vecchia storia, questa del ‘giustizialismo’ e del ‘conflitto’. Non c’è nessuna guerra. Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici. Se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche”.
Due giorni dopo Davigo aveva rilasciato un'intervista al Corriere della Sera , in cui riferendosi alla differenza tra i politici corrotti di tangentopoli e quelli di oggi aveva detto: “Non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto. Dicono cose tipo: 'Con i nostri soldi facciamo quello che ci pare'. Ma non sono soldi loro; sono dei contribuenti”. A questo punto apriti cielo: tutti i titoli dei giornali di regime, da La Stampa a La Repubblica , da L'Unità al Giornale , e tutte le tv, dalla Rai a Mediaset a La7, hanno distorto le sue parole mettendogli in bocca la frase, mai detta, che “tutti i politici sono dei ladri”.

Renzi realizza il disegno della P2
In questo modo truffaldino non solo giornalisti e politici, con in testa il PD, si sono potuti sbizzarrire nel tiro al bersaglio contro il magistrato “giustizialista”, facendo finta che la presunta “guerra tra politica e magistratura” fosse stata iniziata dalle sue parole, e non da quelle di Renzi, ma perfino alcuni magistrati compiacenti, come il garante all' Anticorruzione, il convertito renziano Carbone, l'ex procuratore di Milano Bruti Liberati, e l'imbelle ex presidente dell'Anm, Luca Palamara, hanno avuto la scusa buona per intervenire e attaccare Davigo, fornendo a loro volta ai giornali il pretesto per inventarsi un suo presunto “isolamento” all'interno dell'Anm. A censurare Davigo è piombato dall'alto anche il vicepresidente del CSM, Legnini, dopo aver chiesto e ottenuto il nulla osta di Mattarella. Intervento censorio sottolineato con grande enfasi dai media, come se non si sapesse che Legnini è stato messo lì da Renzi proprio per servirlo a dovere in casi come questo!
In realtà Davigo non è affatto “isolato” tra i magistrati, come millantano tutti i giornali di regime, ma anzi la sua denuncia ha ricevuto l'appoggio esplicito di molti magistrati che non sono caduti nel ricatto morale dei media renziani, e in particolare di magistrati di prima linea nella lotta a mafia, Camorra e 'ndrangheta: come il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, il pm antimafia di Palermo, Nino Di Matteo, e il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.
Questa vicenda dimostra ancora una volta che l'arroganza di Renzi non ha limiti, e che non si darà pace finché non avrà saldato definitivamente i conti con la magistratura, tagliando le sue teste indipendenti e pensanti e sottomettendola completamente al governo. Che poi non è altro che il vecchio disegno della P2, subordinare il potere giudiziario a quello esecutivo, che il nuovo Mussolini ha ripreso dalle mani di Craxi e di Berlusconi per portarlo finalmente a compimento. E l'unico modo per impedirglielo è cacciarlo via al più presto con la lotta di piazza.
 
 
 
 

27 aprile 2016