In base all'accordo del vertice di Hannover e alla richiesta del fantoccio Serraj all'Onu e alla Ue
Renzi pronto a inviare soldati in Libia
La Nato pattuglierà le coste libiche
L'Italia deve ritirarsi dalla guerra all'IS per evitare attentati

“Quando il governo Sarraj dovrà formalizzare le sue richieste troverà nell’Italia un partner sensibile. Siamo pronti a dare una mano dentro un progetto complessivo e all’interno della comunità internazionale”. Con questa dichiarazione al termine del G5 con Obama, Merkel, Hollande e Cameron, Matteo Renzi ha annunciato con soddisfazione il “sostegno unanime” dei cinque capi di Stato al governo libico fantoccio di Fayez Serraj e alla sua richiesta di “aiuto” inviata al vertice di Hannover per proteggere le installazioni petrolifere dalle minacce dello Stato islamico e per garantire la sicurezza delle sedi delle istituzioni internazionali e dello stesso governo a Tripoli. Soddisfazione che includeva, stando alle parole da lui scelte, anche il riconoscimento del ruolo di attore principale che l'Italia vuole giocare in questa partita.
Tanto più che, sempre secondo Renzi, l'accordo dovrebbe aprire la strada ad una riduzione del numero di migranti che partono dalla Libia: “Se in Libia si consolida il governo potremo mettere fine alla parola emergenza”, ha aggiunto infatti il premier, alludendo evidentemente alla possibilità che i migranti vengano imprigionati e respinti dal governo libico prima di potersi imbarcare, come faceva Gheddafi in base ai vecchi accordi con l'Italia. E se questo non bastasse c'è anche l'accordo con Obama, che “si è detto disponibile all'impiego di mezzi Nato per bloccare il traffico di uomini e scafisti”, ha spiegato gongolante il nuovo duce. Scenario questo confermato anche dalla guerrafondaia Pinotti, quando ha dichiarato che l’Italia si aspetta che la Nato approvi al prossimo vertice del 7 luglio in Polonia il nostro coordinamento per impiegare i suoi mezzi nell’emergenza dei migranti in partenza dalla Libia, e è pronta ad aiutare il governo di accordo nazionale a stabilizzare il Paese.
“La presa di coscienza di tutti sul problema della Libia ha dell'incredibile”, ha sottolineato quindi con enfasi Renzi. “Un anno fa eravamo lontanissimi da questo obiettivo”. “Tutti insieme dobbiamo fare di tutto perché lo sforzo del governo libico abbia successo” ha poi concluso, pur precisando che “tutte le iniziative che si vorranno prendere di sostegno e di supporto dovranno essere richieste dal governo Serraj medesimo”.
Su questo sia Roma che Tripoli ci stanno lavorando alacremente, visto che proprio alla vigilia del G5 Serraj ne ha parlato personalmente con Renzi in una lunga telefonata. Nella quale, secondo quanto riferito dall'ambasciatore libico presso il Vaticano, Mustafa Rugibani, si è discusso di protezione delle ambasciate e delle sedi dell'Onu a Tripoli, ma anche di “difesa dei confini terrestri e marittimi” della Libia. E a questo riguardo l'ambasciatore ha rivelato che la missione aeronavale europea a guida italiana Eunavfor Med, potrebbe essere autorizzata dal governo di Tripoli ad entrare nelle acque territoriali libiche.

Risposta alle operazioni in Cirenaica
La richiesta di intervento internazionale da parte di Serraj era una mossa prevista, visto che il premier fantoccio libico era stato insediato dall'Onu, sotto la regia Usa ed europea, proprio a questo scopo specifico. Solo che non è ancora nella pienezza dei poteri; o meglio lo è solo (e ancora precariamente) in Tripolitania, ma non in Cirenaica, visto che non è stato ancora riconosciuto dal parlamento di Tobruk, sul quale spadroneggia il generale ex gheddafiano, Khalifa Haftar, sostenuto dall'Egitto, dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi, nonché da francesi e britannici.
Ad affrettare i tempi della richiesta di “aiuto” di Serraj, nonostante il suo governo non sia ancora riconosciuto da tutte le fazioni libiche, più che la presunta minaccia dell'IS ai pozzi petroliferi è stata proprio l'offensiva dell'esercito di Haftar verso ovest, ufficialmente diretta contro le milizie dello Stato islamico a Derna e Bengasi, e più oltre verso Sirte, ma in realtà mirante a prendere il controllo di tutta la Cirenaica e dei suoi pozzi e terminali petroliferi, secondo il piano anglo-franco-egiziano di divisione e spartizione della Libia.
Proprio alla vigilia del G5, infatti, le agenzie avevano battuto la notizia dell'arrivo nel porto di Tobruk di un ingente rifornimento di armi e mezzi blindati leggeri all'esercito di Haftar da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi. E mentre già da tempo si sa che l'offensiva di Haftar è sostenuta dalla Francia, sia con bombardamenti aerei che con truppe speciali sul terreno, in questi giorni i media britannici hanno rivelato che forze speciali inglesi sarebbero già schierate a fianco delle truppe di Tobruk nell'offensiva contro l'IS a Sirte. Non a caso l'inviato del ministero degli Esteri italiano, Giorgio Starace, parlando al governo di Tripoli ma rivolto evidentemente a Francia e Gran Bretagna, che sponsorizzano Al-Sisi e Haftar, che “crediamo in una Libia forte, stabile e unita, non permetteremo che venga divisa”.
É da tutto questo che nasce l'accelerazione della richiesta di “aiuto” internazionale da parte di Serraj, e segnatamente al governo italiano, con cui i rapporti sono più stretti che con altri, rafforzati anche dalla recente visita di Gentiloni a Tripoli, primo tra i rappresentanti di governi esteri a mettere piede sul suolo libico. E non a caso, dopo la richiesta di Tripoli, ci sono state manifestazioni di protesta contro Serraj nelle città controllate dal governo di Tobruk, durante le quali sono state anche bruciate dalla folla delle bandiere italiane.

Pronto un contingente di 250 uomini
A causa di questa situazione estremamente confusa, e anche per venire incontro alle raccomandazioni di Serraj a Renzi di non inviare truppe tutte in una volta per non dare l'impressione di un'invasione straniera, sia fonti di Palazzo Chigi che della Difesa hanno smentito la notizia circolata dopo gli accordi del G5 che il governo italiano era già pronto ad inviare 900 soldati in Libia. Non è stato smentito invece l'invio imminente di un primo contingente di 250 uomini per mettere in sicurezza le ambasciate e le strutture dell'Onu a Tripoli e per “addestrare” la polizia e un primo nucleo del futuro esercito libico. Il tutto nel quadro della coalizione di 34 paesi che compongono la Libian international assistance mission (Liam), che grazie al beneplacito di Obama sarà guidata proprio dall'Italia.
Tale missione, su richiesta ufficiale del governo di Tripoli, dovrebbe sbarcare in Libia forte di un contingente complessivo di 500 soldati, di cui la metà italiani appoggiati da blindati leggeri, e i suoi compiti, una volta protette le ambasciate e le altre sedi istituzionali, sarebbero allargati anche alla protezione delle installazioni petrolifere. É stato smentito invece dal ministero della Difesa l'invio di forze speciali, ma tutti sanno che sul terreno sono già presenti non solo i servizi segreti ma anche uomini del Col Moschin direttamente agli ordini di Palazzo Chigi, in base al famigerato decreto che mette a disposizione del presidente del Consiglio una catena di comando diretta per l'invio di forze speciali in caso di “crisi” internazionali. E d'altra parte sarà un caso se col recente giro di nomine ai vertici di polizia, forze armate e servizi, il nuovo duce ha nominato come suo consigliere militare il generale Carmine Masiello, un esperto proprio nella gestione di forze speciali?
Insomma, col vertice di Hannover l'Italia di Renzi, che procede sempre più spedito sulle orme del suo maestro Mussolini, ha fatto un altro passo decisivo verso una pericolosa avventura imperialista in Libia. Dove, col pretesto di contrastare il “traffico di esseri umani” e gli scafisti, il nuovo duce mira a ricacciare indietro il flusso di disperati che fuggono dalle guerre e dalla fame; e dove, dietro la guerra allo Stato islamico e al “terrorismo”, cela le sue ambizioni neocolonialiste su quel Paese. Ambizioni che, in concorrenza con la Francia imperialista di Hollande e la Gran Bretagna imperialista di Cameron, puntano soprattutto sul petrolio e sul gas di cui è ricco quel Paese.
Anche per questo il nuovo Mussolini va cacciato via al più presto con la lotta di piazza, prima che riesca a trascinare l'Italia in una guerra senza ritorno allo Stato islamico che rischia di attirare sul Paese e sulle masse sanguinosi attentati per rappresaglia.

4 maggio 2016