La famiglia di Giulio “angosciata” in particolare per Abdallah, suo consulente, che rischia la pena di morte
Ondata di arresti in Egitto tra i contatti di Regeni

Il 7 maggio diversi giornali egiziani sono usciti con la prima pagina in nero e la richiesta delle dimissioni del ministro degli Interni Ghaffar, seguendo le indicazioni del sindacato della stampa che già aveva fatto pubblicare nei banneri sui siti e sui quoridiani il logo “No alla censura” per protestare contro il raid della polizia nella sede del sindacato per ostacolare l'assemblea di almeno 2 mila giornalisti, avvocati e attivisti che manifestavano per il rilascio dei giornalisti agli arresti e nuova legge a protezione della stampa. I giornalisti rigettavano il tentativo di imposizione del governo del Cairo di mettere la sordina alle critiche contro il governo e il presidente Al Sisi, fra le quali quelle sul caso Regeni.
Nella seconda metà di aprile il regime del golpista Al Sisi ha dato il via in Egitto a una crescente repressione del dissenso che ha portato all'arresto in molti casi "preventivo" di quasi mille e trecento oppositori e ha scatenato la polizia contro le manifestazioni di piazza comprese quelle dell'1 Maggio al Cairo, dove gli agenti hanno impedito a centinaia di lavoratori di prendere parte nella capitale all’assemblea che doveva celebrare la festa. Diversi gli arrestati che si aggiungevano ai molti dei giorni precedenti.
Fra gli arrestati anche Ahmed Abdallah, l'avvocato egiziano difensore dei diritti umani e responsabile della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà (Ecrf) che da due mesi era anche consulente della famiglia Regeni per seguire le vicende legate all'assassinio del giovane Claudio da parte del regime egiziano; il ricercatore italiano era scomparso il 25 gennaio e ritrovato cadavere il 3 febbraio lungo una strada alla periferia del Cairo, con il corpo martoriato da feroci torture.
Ahmed Abdullah era prelevato nella sua abitazione nella notte tra il 24 e il 25 aprile dalle forze speciali e tradotto in carcere con l'accusa di aver "manifestato senza autorizzazione" contro la decisione del golpista Al Sisi di cedere le isole Tiran e Sanafir nel Mar Rosso all’Arabia Saudita, che con forti iniezioni di petrodollari sostiene il regime del Cairo. Era uno dei quasi 400 egiziani arrestati preventivamente dalle forze di sicurezza che volevano impedire una protesta che comunque si è tenuta lo stesso.
Il 27 aprile al Cairo diverse decine di manifestanti sono riusciti a marciare dalla sede del Sindacato della Stampa fino all’ufficio della procura della capitale per denunciare l’arresto e gli abusi compiuti contro i reporter il lunedì 25 aprile e l’attacco alla sede del sindacato nello stesso giorno. Dei 33 arrestati erano ancora sei quelli chiusi in prigione fra i quali Abdallah che dopo un fermo di quattro giorni vedeva allungato il periodo di carcerazione a 30 giorni con ben più pesanti accuse, dall'incitamento all’uso della forza per rovesciare il governo e cambiare la costituzione all’incitamento ad attaccare stazioni di polizia con fini terroristici, all’appartenenza ad un gruppo terroristico collegato alla Fratellanza Musulmana. Accuse che prevedono la pena di morte.
Il 27 aprile l'avvocato di Abdallah denunciava che in un colloquio informale la procura di Heliopolis che segue il caso lo aveva interrogato sui legami con la famiglia Regeni. Il che fa pensare che sia stato preso di mira dagli apparati repressivi di Al Sisi soprattutto perché oltre ad essere presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, una ong che denuncia in particolare gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate, è anche consulente degli avvocati della famiglia Regeni per le indagini sulla morte di Giulio. E la famiglia del ricercatore italiano si diceva "angosciata" per l’arresto di Ahmed Abdallah, esprimeva "preoccupazione per la recente ondata di arresti in Egitto ai danni di attivisti dei diritti umani, avvocati, giornalisti anche direttamente coinvolti nella ricerca della verità circa il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio".
Il 26 aprile il portavoce di Amnesty International Italia denunciava l'inasprimento delle azioni repressive da parte del governo del Cairo e sosteneva che "l'azione politica italiana deve essere commisurata a questa escalation egiziana". Dopo tre giorni la risposta del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni non si spostava da un innocuo "la nostra ricerca della verità finora non ha avuto risposte soddisfacenti", nulla a fronte della montagna di menzogne e dei comportamenti arroganti del governo egiziano. Il richiamo a Roma dall'8 aprile scorso del nostro ambasciatore al Cairo non può essere l'unica risposta del governo italiano che non vuole mettere in pericolo gli stretti legami economici e politici costruiti col regime di Al Sisi e l'alleanza costruita per potere intervenire in Libia, ultimamente messi in pericolo dall'offensiva del concorrente imperialista francese Hollande.

11 maggio 2016