Indagato il presidente del PD campano: “Voti per favori ai boss casalesi”
Graziano, già consulente dei governi Letta e Renzi, è accusato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso

La bufera giudiziaria che ha investito il PD di Renzi e alcuni massimi esponenti del suo nero governo nel corso degli ultimi mesi non accenna a placarsi. Ormai si contano a decine fra ministri, sottosegretari, parlamentari, amministratori locali e dirigenti di partito arrestati o iscritti nel registro degli indagati dalle procure di mezza Italia con accuse gravi e infamanti che vanno dalla corruzione all'associazione per delinquere di stampo mafioso.
L'ultimo in ordine di tempo, anzi il penultimo, visto che il 2 maggio è finito in galera anche il sindaco di Lodi Simone Uggetti per turbativa d'asta, porta la data del 26 aprile e riguarda il presidente del PD campano nonché consigliere regionale e consulente dei governi Letta e Renzi per l'attuazione del programma, Stefano Graziano, accusato dai Pubblici ministeri (Pm) della Dda di Napoli di concorso esterno in associazione mafiosa.
L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, riguarda un mercimonio di voti, tangenti, appalti e scambi di favori fra Graziano e il clan dei Casalesi.
In carcere sono finite nove persone fra cui Biagio Di Muro, sindaco PD di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) fino al novembre scorso, e l'attuale responsabile dell'Ufficio Tecnico dello stesso comune Roberto Di Tommaso.
Sono tutti accusati a vario titolo dei reati di corruzione e turbativa d’asta con l’aggravante di aver agevolato il clan camorristico dei Casalesi.
Gli inquirenti hanno perquisito le abitazioni di proprietà di Graziano a Roma e Teverola (Caserta) e il suo ufficio presso il Centro Direzionale di Napoli.
Dalle indagini è emerso che il boss politico piddino ha chiesto e ottenuto appoggi elettorali in riferimento alle ultime consultazioni per l’elezione del Consiglio regionale della Campania. Graziano, si legge nel provvedimento giudiziario, si è posto “come punto di riferimento politico ed amministrativo” del clan Zagaria del quale è accusato di far parte Alessandro Zagaria, imprenditore ritenuto l’anello di congiunzione tra l’amministrazione e il clan guidato dal boss camorrista Michele Zagaria.
L'inchiesta è partita da una intercettazione di colloqui tra Zagaria e Di Muro nel corso dei quali i due facevano esplicito riferimento all’appoggio elettorale che occorreva garantire a Graziano. Infatti, dopo aver fatto il pieno di quasi 16mila preferenze alle ultime regionali, il boss piddino si è subito attivato per favorire il clan dei casalesi nell'assegnazione dell'appalto da due milioni di euro per realizzare il cosiddetto Polo della legalità nello storico Palazzo Teti Maffuccini di Santa Maria Capua Vetere. Una gara per la quale sono state accertate mazzette per circa 100 mila euro, 70 mila dei quali effettivamente corrisposti.
Emblematica in tal senso risulta l’intercettazione ambientale del novembre 2014 tra Zagaria e Di Muro. I due parlano di politica e di affari. "Ma che c...stai dicendo, io tengo per il PD", dice Zagaria a Di Muro. E aggiunge: "E già non sta bene... perché noi dobbiamo portare a Graziano (Stefano, precisano gli inquirenti) e tu non ti fai vedere. Ti dovrei allontanare io a te! O no?"
In un'altra conversazione, Di Muro fa esplicito riferimento all'appalto e all'aiuto che Graziano avrebbe dovuto fornire affinché il finanziamento per palazzo Teti Maffucini venisse trasferito da un capitolato di spesa ad un altro. "Io tengo un santo in paradiso che mi protegge!... o no?" afferma Di Muro. Zagaria conferma e aggiunge: "Come a me! Quando va bene...hai capito?... in grazia di Dio! Quello domani va a Roma e giovedì siamo qua".
Di Muro secondo gli inquirenti si sarebbe mosso attraverso Graziano presso il ministero dell'Interno per lo spostamento del finanziamento ad un altro capitolo di bilancio, "dalla misura 2.5 al Piano azione giovani sicurezza e legalità".
Nell'ordinanza di custodia cautelare, il giudice Anna Laura Alfano accusa Di Muro di aver "veicolato l'aggiudicazione dell'appalto in favore delle ditte gradite disposte a pagare la tangente". Il sindaco, aggiunge il Gip, "segue attentamente la vicenda e si preoccupa della risoluzione degli intoppi perché altrimenti - aggiunge citando una delle intercettazioni - 'l'ossigeno finisce mano a mano'”.
Per il momento l'identità del referente politico di Roma su cui Graziano per conto dei casalesi ha fatto pressioni per sbloccare l'appalto, rimane nell’ombra. Ma tra i faldoni dell'inchiesta c'è un'intercettazione in cui l'architetto napoletano Guglielmo La Regina, finito ai domiciliari per corruzione, parla con un'altra indagata, la professionista Loredana Di Giovanni, e accenna alla sua amicizia con Alessandro Picardi, compagno della ministra della Salute Beatrice Lorenzin "con il quale - annota la polizia giudiziaria - egli andrà in vacanza" mentre La Regina aggiunge "che la cosa potrebbe interessare il marito di Loredana, che opera in campo sanitario".
Interrogata a settembre 2015 la Di Giovanni ha dichiarato fra l'altro che "Era chiaro che per poter far vincere la ditta indicata da La Regina occorreva pagare una percentuale ". Il ruolo di Graziano "era quello di mediare tra il sindaco e La Regina e anche quello di quantificare la percentuale che l'impresa aggiudicataria avrebbe dovuto versare a Di Muro a titolo di tangente corruttiva". L'accordo fu raggiunto sul 3 per cento, dopo una prima ipotesi del 10, poi "ridotta a causa della resistenza di La Regina che la riteneva troppo elevata".
Nato ad Aversa, 45 anni, Graziano inizia la sua carriera politica tra file dell’Azione Cattolica per poi passare “sotto la fibbia” dei vecchi boss democristiani Ciriaco De Mita e successivamente con Marco Follini con il quale dà vita a Italia di mezzo.
Nel 2007 aderisce insieme a tanti altri “amici” e ferri vecchi democristiani al PD e viene subito nominato capo del tesseramento nazionale, e successivamente viene deputato per una legislatura fino al 2013. Nel settembre il 2013 Letta lo nomina consigliere per l’attuazione del programma di governo alla presidenza del consiglio dei ministri nel settembre 2013. L’incarico, secondo quanto fatto sapere da Palazzo Chigi, non è stato riconfermato dal governo Renzi poiché la nomina aveva la durata di 12 mesi e non c’è stata nessuna proroga. Ma è lo stesso Graziano a smentire le affermazioni di Renzi precisando che lui non è “stato cacciato da Palazzo Chigi” ma si è dimesso “per motivi etici all’atto dell’accettazione della candidatura in Consiglio Regionale, per non ricoprire un duplice ruolo”. E comunque se Renzi sapeva che Graziano se la intendeva con la camorra perché si sarebbe limitato a “cacciarlo da Palazzo Chigi” mantenendolo nel PD con la prospettiva oltretutto di diventare presidente regionale del Partito nel 2014 e consigliere regionale nel 2015?

11 maggio 2016