Tramite i pennivendoli Fabrizio D'Esposito e Massimo Fini
Fesserie, bugie e disinformazione del “Fatto” sui “maoisti d'Italia”

 
Sembra che i giornali della borghesia si siano messi d'accordo per scatenare l'ennesima canea anticomunista in occasione del 50° Anniversario della Rivoluzione culturale proletaria cinese. Se il 6 maggio “Il Venerdì di Repubblica” aveva calunniato gli avvenimenti di allora in Cina, è toccato al “Fatto quotidiano” attaccare Mao e la Rivoluzione culturale proletaria in riferimento all'influenza che esercitarono sul Sessantotto in Italia. Ad aprire tale canea anticomunista non stupisce che sia stata “La Repubblica”, ormai ridottasi a compiacente megafono personale del nuovo Mussolini, semmai è gravissimo che l'abbia in ciò affiancata “Il Fatto”, che almeno a parole è nato per rompere la generalizzata opera di omologazione e disinformazione condotta sistematicamente dai mass media dominanti. Non ci aspettavamo certo giudizi benevoli sul PMLI e sui marxisti-leninisti italiani ma ridurli esclusivamente a quel fenomeno da baraccone che fu “Servire il popolo” e tacere e negare la stessa esistenza di quelli autentici di ieri e di oggi, è davvero troppo. Cosicché all'ignaro lettore de “Il Fatto” è stato fatto credere che ieri erano una masnada di illusi esaltati fuori di testa e oggi si sarebbero estinti irrimediabilmente. Eppure i due giornalisti del quotidiano ben sanno dell'esistenza del PMLI e della sua recente iniziativa di ricordare il 50° della Rivoluzione culturale proletaria cinese invitando i giovani a fare come le Guardie rosse, come risulta peraltro dal Comunicato stampa a loro inviato.
Davvero non si contano le fesserie e le bugie uscite sul “Fatto” del 16 maggio dalle penne di Fabrizio D'Esposito, già giornalista del fogliaccio neofascista “Libero” assunto da Vittorio Feltri, e Massimo Fini, quest'ultimo ex PSI oggi votato a Nietzsche, alla decrescita ed al revisionismo storico in chiave anticomunista (a dicembre sempre sul “Fatto” considerava ingiusto e illegittimo il processo di Norimberga del 1945). Entrambi, molto meschinamente e scorrettamente, riconducono “tout court” i “maoisti d'Italia” a “Servire il popolo”, in realtà un partito opportunista e trotzkista creato dall'imbroglione Aldo Brandirali, poi vendutosi a Berlusconi e “Comunione e Liberazione”, che ha partorito altri “pentiti” del Sessantotto e lautamente ricompensati dalla borghesia come i piddini Barbara Pollastrini, Linda Lanzillotta, Nicola Latorre e l'avvocato di Craxi Enzo Lo Giudice, per non parlare di Renato Mannheimer o Michele Santoro. Scopo di ciò è presentare i marxisti-leninisti come “monaci senza canne e senza sesso libero”, i quali “vivevano su un altro pianeta”, mentre “il maoismo vi era inteso come dogma e ripetizione talmudica”. Insomma, niente più che esaltati fuori dal mondo e inebriati da un'utopia del passato dai contorni grotteschi. Lasciando intendere che il Sessantotto non fu altro che un'occasione di sballo e divertimento, anziché il più grande episodio della lotta di classe in Italia nel dopoguerra, e tralasciando tutte le straordinarie conquiste e sperimentazioni politiche di allora.
Se fossero stati intellettualmente onesti, avrebbero dovuto parlare dell'influenza determinante del pensiero e dell'esempio di Mao, della Rivoluzione culturale e delle Guardie rosse sulla coscienza politica delle masse soprattutto operaie e giovanili che animarono il Sessantotto, a cominciare dal movimento studentesco. Avrebbero dovuto parlare del PMLI e de “Il Bolscevico”, nati proprio nel fuoco delle lotte del Sessantotto (allora il PMLI era preceduto dall'Organizzazione comunista bolscevica italiana marxista-leninista), volutamente escluso dalla lista degli “innumerevoli gruppuscoli che nacquero nel Sessantotto”. Invece lo scopo di tale spreco d'inchiostro è calunniare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e i marxisti-leninisti con la più viscida disinformazione, e in secondo luogo tenere chi è alla ricerca di una reale alternativa al capitalismo all'oscuro del PMLI. Non sia mai che qualcuno si incuriosisca e scopra che i “maoisti d'Italia”, cioè i marxisti-leninisti, sono vivi e vegeti e non corrispondono alla narrazione falsa e ironica di D'Esposito e Fini ma si battono contro il capitalismo e il nuovo duce Renzi. Quindi non è affatto vero che è finita l'influenza del comunismo in Italia, come blaterano gli scribacchini di regime nel vano tentativo di esaltare la supremazia del capitalismo in putrefazione e salvarlo, questo sì, dal passato a cui appartiene.

18 maggio 2016